Per i Quarti di Finale di Russia 2018 abbiamo scelto come titolo uno dei capolavori di Isaac Asimov, indimenticato padre della fantascienza moderna che tra l’altro era nato da queste parti prima di emigrare negli Stati Uniti in fuga dalle persecuzioni antiebraiche che all’epoca andavano di moda quanto e più del gioco del calcio.
Le stelle, a questa ventunesima edizione della Coppa del Mondo, si frantumano, si polverizzano con una facilità mai vista. Assieme agli squadroni monopolizzatori dei pronostici, si smaterializzano come neve al sole. Se France Football è veramente una rivista sportiva, quest’anno il Pallone d’Oro deve toccare ad un outsider. Che poi tanto outsider non sarebbe, visto che Modric, Hazard, Kane e Griezmann cantano e portano la croce da anni, oscurati dalla fama di chi era già arrivato in cima e quest’anno avvia le pratiche di pensionamento.
Quel che è certo è che la Coppa del Mondo stavolta andrà a chi non l’ha mai stretta in pugno, oppure a chi lo ha fatto una volta sola, tanto tempo fa e per di più in casa. Il verdetto dei Quarti di Finale è questo, ed è incontrovertibile.
Francia – Uruguay. Purtroppo per la celeste, Cavani è più di mezza squadra. Senza di lui la banda di Tavarez è una delle tante squadre sudamericane che corrono, corrono, menano e non combinano nulla. Suarez, anche con la testa più a posto che in passato, non è un uomo squadra e non fa reparto. Gli altri sono onesti pedatori che non possono far rivivere il mito di Petrone e Schiaffino. Per l’Uruguay i Quarti sono il capolinea. Per la Francia sono un altro tassello aggiunto alla costruzione di una consapevolezza di sé che a prescindere dal sentimento di grandeur che non può mai abbandonare i bleus (anche e soprattutto nella versione che ne fa la più settentrionale delle squadre africane) si è nutrita di vittorie toste, contro avversari tosti. E se l’astro nascente Mbappe si permette già atteggiamenti da ragazzino a cui è stato detto troppo presto che gioca bene, stavolta è il collettivo che si esalta, favorito anche da una boiata del portiere uruguagio Muslera che passerà alla storia dei Mondiali, ed anche di Mai Dire Mondiali. La nazione che fischia gli inni nazionali altrui ha la soddisfazione di sentir risuonare il proprio cantato a squarciagola da uno stadio russo intero, e più ancora di vedersi avvicinare quel jour de gloire di cui parla la Marsigliese. Tra la banda Deschamps ed una nuova finale dopo quella persa contro l’Italia nel 2006 c’è adesso solo il Belgio, dove quel solo ovviamente indica quantità, non qualità.
Belgio – Brasile. Dopo il Maracanazo 1950 ed il Mineirazo 2014, i verdeoro si erano quasi convinti che bastasse giocare al di fuori dei confini nazionali per risolvere tutti i problemi e riprendersi la Coppa del Mondo. Nossignore, il Brasile vive da troppo tempo al di sopra dei propri mezzi reali, almeno nei pronostici di una stampa sempre fin troppo ossequiosa verso che detiene – o crede di detenere – il potere. Nel sessantesimo anniversario della prima vittoria in Svezia firmata dalla Perla Nera (guai a chi gli paragona Mbappe o chiunque altro), i carioca mettono in campo la solita squadra delle ultime edizioni, muscolari di discreta tecnica e tanta presunzione. E vanno fuori sbattendo dolorosamente la faccia non appena trovano qualcuno che ormai sa giocare a calcio meglio di loro. Ripresentare Avenida Marcelo sulla fascia sinistra al cospetto di Hazard & c. è un suicidio appunto da presuntuosi, e il Brasile lo paga con il raddoppio da parte di un Belgio che se non fosse esausto nella ripresa non diciamo che potrebbe rifarne sette come la Germania a Belo Horizonte, ma potrebbe andarci vicino. Invece i brasiliani salvano almeno l’onore nel finale, prima che Neymar faccia il suo unico qualcosa di brasiliano al 90 illudendo il suo popolo. Proprio Neymar è ad oggi il problema più grande di questo Brasile. Un giocatore che, a cadenza regolare, riesce ad indisporre tutti, compagni, avversari, tifosi e spettatori neutrali, ha ben pochi precedenti. Maradona indisponeva, a volte, ma poi sopperiva con una classe immensa, e con lo spettacolo che regalava. Neymar resterà nella storia per la clausola rescissoria pagatagli dal PSG, per certe sue comparsate da fumetto o da videogioco, per le smorfie di dolori immaginari, per un rigore trasformato a dei Giochi Olimpici a cui non doveva nemmeno partecipare, e per poco, pochissimo altro. Addio Brasile, senza rimpianti. I Red Devils a questo punto sono i veri favoriti della Coppa.
Inghilterra – Svezia. Partita d’altri tempi, calcio d’altri tempi. Inghilterra e Svezia sembrano tornate quelle degli anni in cui il fisico e la corsa contavano più della tecnica, almeno nel Mare del Nord. Gli svedesi ad ogni apparizione rendono meno amara la pillola di noi italiani che grazie a loro – insieme agli olandesi – seguiamo questi Mondiali sul divano dal primo giorno all’ultimo. Ma i Quarti sembrano essere davvero un capolinea meritato per loro. Hanno fatto tanto ad arrivare fino a qui, andare oltre è proibitivo. Gli inglesi invece, non saranno quelli del 1966 ed é ancora è presto per dire se equivalgono almeno quella golden generation di cui il loro attuale tecnico Gareth Southgate ha fatto parte (una parte sfortunata) assieme a Shearer, Gascoigne & c., ma di sicuro hanno quadrato molti cerchi rispetto al passato anche recente. Trascinati dall’Uragano del Tottenham, i Tre Leoni sembrano davvero una compagine capace di qualsiasi razzia come i pirati di Francis Drake, che avevano la meglio su milizie all’epoca assai più accreditate dal pronostico di quanto non fossero loro. Contro la Svezia si ricordano che l’unico modo di battere i Vichinghi è essere più Vichinghi di loro. Solidità e tecnica, soprattutto nella ripresa affrontata con il vantaggio dell’assai britannico gol di Maguire, hanno la meglio degli Scandinavi, e quel talentuoso giocatore dal nome che ricorda un atto notorio, Dele Ally, mette il suggello al risultato che vale il ritorno dell’Inghilterra in una semifinale mondiale per la prima volta da Italia 90.
Russia – Croazia. L’ultimo Quarto si apre con lo stadio di Sochi che canta a squarciagola il bellissimo inno russo, già sovietico. Sembra impossibile che una squadra che gioca in casa, sospinta da un pubblico e da una voglia di fare la storia simili, possa soccombere. Di fronte la Russia ha una Croazia che dopo l’Argentina non ha fatto più cose trascendentali, superando tra l’altro il turno precedente ai rigori. Ma la sua solidità di squadra unita al talento di alcuni dei suoi avanti, in primis quel numero 10 Luka Modric che sembra sempre più preso di peso dal calcio olandese d’altri tempi e che è destinato a diventare la stella più fulgida del Real con l’addio di CR7, ne fanno un team capace di qualsiasi impresa. E infatti, se nel primo tempo i croati appaiono una riedizione – ancora più sterile – della Spagna cercando di tenere palla ma senza fantasia, nella ripresa con il calo delle energie russe salgono in cattedra. La Russia ci mette la classe di Cheryshev – gran primo gol – e una corsa a perdifiato che sembra a tratti quella della vecchia URSS di Lobanowski. Non può durare, la Croazia ci mette l’estro dei suoi non appena può, Mandzukic per Kramaric ed è pareggio. Poi è solo il gran cuore russo ad evitare la fuga dei croati. Gol di Vida su corner nei supplementari, risposta di Fernandes, unico brasiliano – naturalizzato russo – rimasto al mondiale. Si va ai rigori ed è proprio Fernandes a condannare la sua patria adottiva. Modric va sul dischetto con le ginocchia tremanti come già contro la Danimarca, ma la sua fortuna è pari al suo talento, ed i compagni dopo di lui mantengono il vantaggio. Finisce il grande sogno russo, comincia quello croato.
Fare pronostici per le semifinali è come andare a tirare un rigore contro il portiere croato Subasic, a questo punto. Francia-Belgio è un derby, come Italia-Svizzera o Pisa-Livorno. A prescindere dalla classe degli interpreti, può succedere – e succederà – di tutto. E’ pronto il calcio africano a vincere in Europa e nel Mondo? Sono pronte le Fiandre a succedere ai Paesi Bassi come maestri del calcio totale?
Dall’altra parte, l’Inghilterra ha voglia di perdere il suo aplomb british come nel 1966, impazzendo per un secondo titolo mondiale che aspetta da più tempo di quanto le piaccia dover ammettere. Dall’altra parte, c’è una Croazia che aspetta da sempre, e che vorrebbe diventare il primo paese dell’Est europeo ad alzare la Coppa del Mondo, dopo esserci andata vicina a Francia 98. E far diventare un paese di 4 milioni di abitanti un modello sportivo da seguire ed imitare a livello mondiale.
Quattro nazioni a cui non mancano determinazione e un a volte invidiabile sciovinismo. Comunque vada, sarà un bel finale, per un bel mondiale. Il migliore da diverso tempo a questa parte. Grazie anche a certe stelle ridotte in polvere, ed alla polvere di nuove stelle che si è disseminata sugli stadi di una Russia che il mondo sportivo deve solo ringraziare.
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