Diario Viola Fiorentina

Storia della Fiorentina – 14. Agroppi ci mette la faccia

Il fallimento dell’operazione Socrates aveva lasciato il segno sulla Fiorentina, i suoi proprietari, i suoi tifosi. Ad ogni colpo avverso della sorte, i Pontello avevano reagito rilanciando più forte, come consumati giocatori di poker. Allo scudetto sfumato (molti dicevano rubato) negli ultimi minuti a Cagliari avevano reagito prendendo Passarella, il temibile e prestigioso capitano sella seleccion argentina che avrebbe dovuto spaccare il campionato così come dal 1978 aveva spaccato il mondo, e che invece si ritrovò a pagare lo scotto dell’ambientamento come un ragazzotto qualsiasi.

Al secondo scudetto sfumato sulle gambe di Luca Pellegrini della Samp che aveva messo knock out per un bel pezzo Antognoni, avevano reagito prendendo il mitico capitano della seleçao Socrates, che avrebbe dovuto mettere a sedere gli avversari come aveva fatto con Zoff al Sarrià e che invece si ritrovò seduto lui, a boccheggiare, dopo avere affrontato la prima salita dura nel ritiro di Pinzolo. Confermando ciò che si era già visto in Spagna: per i brasiliani, anche i migliori, i ritmi dei campionati europei erano spesso letali.

Nell’estate del 1985 il Dottore aveva fatto mestamente ritorno ai patri lidi, lasciandosi dietro più che altro macerie (soprattutto nello spogliatoio che si era diviso tra lui e l’aziendalista Passarella). Ma stavolta, i Pontello non avevano nessun colpo da annunciare al suo posto. Erano arrivati due ragazzini, Nicola Berti dal Parma e Roberto Baggio dal Lanerossi Vicenza, di cui si diceva un gran bene, soprattutto del secondo. Un giorno qualcuno avrebbe paragonato il ragazzo con il codino nientemeno che a Giuseppe Meazza, ma per adesso era un giovanotto di grande talento e di sfortuna – tanto per cambiare – pari a quella della società che lo stava ingaggiando, visto che due giorni prima della firma del contratto aveva subito un grave infortunio ai legamenti del ginocchio, il primo di una carriera che ne sarebbe stata funestata. I Pontello avevano dimostrato una volta di più di che pasta erano fatti, e di crederci ancora in qualche modo, mettendo sotto contratto ugualmente il ragazzo che un giorno si sarebbe dimostrato il loro investimento migliore.

Ma erano acquisti di prospettiva, funzionali ad una nuova politica societaria che aveva rotto in sostanza con il passato, stavolta senza proclami pubblici. Si puntava su giovani talenti e non più su grandi nomi (spesso a fine carriera), che poi lasciavano più che altro conti da pagare e delusioni cocenti.

Un altro nome di prospettiva era quello di Roberto Onorati, centrocampista veloce e di buona tecnica arrivato l’anno prima dalla Pistoiese, e che si era messo subito in luce. In tempi normali un acquisto che i tifosi fiorentini, dal palato fino e abituati a scommettere sui giovani e le linee verdi, avrebbero benedetto. Ma quelli non erano tempi normali, erano i tempi in cui la gente fremeva per veder tornare in campo Giancarlo Antognoni, dopo un anno e mezzo di calvario seguito all’incidente con Pellegrini. Nell’estate 1985 non si parlava d’altro, e il principale obbiettivo societario sembrava diventato quello, più che le vittorie ed i titoli.

La gente ci credeva ancora ad una Fiorentina vincente con al centro del campo il suo numero 10. Il problema era che su entrambe le cose era la società che aveva smesso di crederci. Italo Allodi aveva lasciato il club management per trasferirsi a Napoli, dove l’arrivo di Maradona aveva acceso entusiasmi e voglia di provarci, facendo vivere alla città partenopea la stessa estasi che aveva pervaso Firenze quattro anni prima. Se n’era andato anche Tito Corsi, direzione Udinese (un’altra società che sembrava fare sul serio come aveva dimostrato l’acquisto del fuoriclasse brasiliano Zico, assai più fruttuoso di quello di Socrates da parte dei viola), prima di venire coinvolto nello scandalo del Calcioscommesse bis.

A Firenze era arrivato Claudio Nassi, direttore sportivo che non aveva da imparare nulla da nessuno, come aveva dimostrato alla corte sampdoriana di Paolo Mantovani. Ma era un fatto che perdere uno come Allodi a quel tempo appariva oggettivamente un ridimensionamento. Italo allestiva squadre per vincere, il resto lottava per i posti di rincalzo.

Nassi si mise al lavoro, portando a Firenze giocatori del calibro del romanista Iorio e la vecchia gloria milanista e romanista Aldo Maldera, oltre ai suddetti Baggio e Berti. Sembra una favola a raccontarla oggi, ma il diesse viola aveva quasi portato a termine l’ingaggio di colui che sarebbe diventato un’altra leggenda del calcio anni 80: Marco Van Basten. Sembrava tutto fatto, ma all’ultimo momento per un disguido burocratico (qualcuno dice per l’ingaggio troppo forte richiesto dall’olandese) tutto saltò. Marco sarebbe arrivato in Italia due anni dopo, ma per vestire la casacca del Milan di Berlusconi. Che non si fermava di fronte a nessuna richiesta d’ingaggio.

Non era male neanche quell’anno la Fiorentina, ma aveva anch’essa problemi di fondo che ne avrebbero minato le prestazioni ed i risultati. A gestire le quali, e soprattutto a gestire quella che si sarebbe dimostrata la grana Antognoni, era stato chiamato il personaggio forse meno adatto.

Aldo Agroppi

Picchio De Sisti non era rientrato dalla malattia. Ferruccio Valcareggi era un po’ in là con gli anni per rituffarsi nella mischia del campionato a tempo pieno. Alla Fiorentina serviva un allenatore, ed ecco allora che il piombinese Nassi si fece venire un’idea che in altre circostanze sarebbe stata ottima, ma che in quella si dimostrò devastante: chiamare sulla panchina viola il suo concittadino Aldo Agroppi.

Agroppi era stato un giocatore di grande talento, ma sfortunato. Colonna portante del Torino di Orfeo Pianelli, fu ceduto l’anno prima che il club rinverdisse finalmente i fasti del Grande Torino vincendo lo scudetto nel 1976 con Radice, Graziani & c. Passato alla corte di D’Attoma a Perugia, scelse di ritirarsi un anno prima che Ilario Castagner conducesse la squadra a quel favoloso campionato da imbattuta, con il quale eguagliò il record della Fiorentina di Befani.

Un grande talento calcistico mai remunerato dallo scudetto. Fatte le debite proporzioni, come quell’Antognoni di cui si sarebbe trovato a gestire il reinserimento in squadra. Non aveva e non ha un carattere facile, Agroppi. Come ha dimostrato in seguito come opinionista televisivo, è uno che dice sempre quello che pensa e non lo manda a dire. Solitamente i tifosi apprezzano queste qualità. A meno che dall’altra parte della contesa non ci sia il loro beniamino assoluto, come quell’anno.

Agroppi fece subito capire come la intendeva, che cioè alla Fiorentina in quel momento c’erano giocatori più utili di Giancarlo Antognoni. Il capitano aveva superato i trent’anni, e l’anno e mezzo di fermo si faceva sentire, la sua corsa non era e non poteva essere più quella incontenibile, spettacolare, aggraziata e sempre a testa alta che gli aveva valso negli anni indietro il paragone con il David di Michelangelo (senza che Michelangelo si offendesse). La Fiorentina aveva cominciato bene il campionato, con risultati a volte anche eclatanti, ed il ragazzo Onorati giocava bene, anche se sentiva i mugugni di un pubblico che non lo stava prendendo a benvolere perché stava in campo con una maglia indosso che tutti volevano vedere addosso ad un altro.

La grana scoppiò alla vigilia di una partita interna con il Bari che doveva essere un turno tranquillo, e che invece si complicò perché fu la domenica in cui Antonio rifiutò platealmente di starsene buono in panchina, per l’ennesima volta. La Fiesole lo sostenne altrettanto platealmente, esponendo lo striscione: Niente ti ha distrutto  sei come il sole… risorgi ed illumini tutto. Agroppi fu costretto a metterlo dentro nell’ultima mezz’ora, che il numero 15 (quella era la maglia assegnatagli quel giorno) cercò di giocare come se il tempo non fosse passato. Il risultato finale fu però di 0-0, e non contribuì a rasserenare gli animi. Da quel momento la città si ritrovò spaccata in due: tutti con Antonio e pochi, soprattutto nei ranghi societari, con il mister che peraltro faceva a sua volta poco o nulla per smorzare i toni. Finendo per gestire il crepuscolo dell’unico 10 fiorentino come Spalletti un giorno avrebbe gestito il crepuscolo dell’unico 10 romano: male.

Tensioni e malumori montarono per tutto l’inverno, senza che nessuna delle due parti facesse un passo indietro. Antonio arroccato in un silenzio da lesa maestà, Agroppi spavaldo come sempre nel suo vedrete che ho ragione io. La situazione degenerò a fine marzo, sempre tra un turno casalingo finito 0-0 (ma contro il Verona campione d’Italia in carica ci poteva stare) e la partita di ritorno a Bari. Agroppi se ne stava andando a casa da un’uscita secondaria dei Campini quando fu affrontato da un gruppo di tifosi che passarono subito dalle parole pesanti alle vie di fatto.

Botte e pedate rischiavano di ridurre a mal partito l’allenatore viola, che quel giorno ebbe una fortuna sola: assieme a lui c’era uno solo dei suoi giocatori, ma quello giusto. Daniel Passarella intervenne nel pestaggio e malgrado fosse uno contro sei, in pochi istanti risolse la situazione mettendo in fuga gli aggressori. Antognoni si dissociò dal gesto per quanto compiuto in suo favore, ma la situazione ormai era compromessa. I segni che rimasero addosso ad Agroppi, al di là di quelli sul viso, erano tali da indurlo a chiudere il contratto con i viola a fine stagione. Una stagione che la Fiorentina concluse al 4° posto, e che si può dunque annoverare – almeno per come fu vissuta – come l’ennesimo campionato buttato via.

Atterra l’elicottero di Berlusconi a Milanello. Comincia una nuova era….

Una stagione che dette la spinta decisiva al ridimensionamento societario, sull’onda delle contestazioni sempre più plateali della tifoseria nei confronti dei Pontello. A fine stagione, Galli e Massaro lasciarono la squadra che li aveva tenuti a battesimo per accasarsi al Milan che da tre mesi era di proprietà di Berlusconi e che già aveva visto il suo elicottero atterrare sullo sfondo di orizzonti di gloria. Daniel Passarella invece passò all’Inter, e fu l’addio più doloroso, anche se il più bello da raccontare.

Quest’uomo, come suo solito, aveva dato tutto ai colori viola, lasciandosi dietro un modello che molti in futuro avrebbero cercato di imitare e che pochi sarebbero riusciti ad avvicinare. All’ultima giornata, a Pisa, la Fiorentina sapeva già di perderlo in favore dell’Inter, diretta concorrente dei viola nella corsa alla Coppa UEFA. Con i due gol segnati nel derby dell’Arno, il Caudillo salutò Firenze lasciandole la qualificazione alla Coppa. Accogliendolo a Milano, nessuno dei suoi nuovi tifosi ebbe l’ardire di rinfacciargli il fatto che i nerazzurri erano rimasti fuori. Qualcosa nel suo sguardo dissuadeva ancora dal farlo, come ai vecchi tempi.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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