1989. Sotto il sole di un’estate italiana che anticipa quella in cui si giocheranno i mondiali di Italia 90, Firenze si gode il buon momento della sua squadra al termine di una stagione in cui le soddisfazioni non sono mancate, anche se di grandi vittorie non si parla più.
La B&B ha fatto di nuovo sognare con i suoi 29 gol segnati. Peccato che Stefano Borgonovo sia rientrato al Milan per fine prestito. Ma l’altra metà della premiata ditta del gol è ancora qui, e guai a chi ce la tocca.
Il tormentone musicale di quell’estate è Non è un miraggio, è Roberto Baggio. A Firenze la cantano tutti, come dieci anni prima l’enorme talento di un singolo giocatore finisce per compensare ampiamente le lacune della squadra, almeno se rapportate alle ambizioni che la città aveva imparato a coltivare di nuovo grazie ad una proprietà, quella dei Pontello, che negli ultimi anni si è autoridimensionata.
Non arrivano più i grandi campioni, ma soltanto buoni e in qualche caso ottimi giocatori come Renato Buso, Giuseppe Volpecina, il ceco Luboš Kubík, Giuseppe Iachini, Marco Nappi, Mario Faccenda, la meteora argentina Oscar Dertycia e quello Stefano Pioli destinato a riavere parte nel futuro viola come allenatore. Ma va bene così, o almeno così sembra, con un campionato da giocare migliorando se possibile il piazzamento dello scorso, l’ultimo di Eriksson, e soprattutto disputando la Coppa UEFA lasciata in eredità dallo svedese e dal gol di Pruzzo nello spareggio di Perugia con la Roma.
Il cielo sembra finalmente benevolo nei confronti della città che la domenica si tinge di viola. In realtà, in lontananza si stanno già addensando nere nubi, ma nessuno in quell’estate può presentirle, o tantomeno vederle arrivare.
Da tempo gira voce in città che i Pontello vogliano mollare, per tornare a dedicarsi alla loro attività edilizia, al di fuori di un mondo del calcio che li ha profondamente delusi. Gira voce anche che stiano stringendo alleanze strategiche con il gruppo FIAT, sia con le controllate edili di quest’ultimo sia nel settore delle commesse, che l’azienda di Agnelli può elargire in quantità e qualità ai costruttori fiorentini. Gira infine anche voce che tutto ciò abbia un prezzo, e qualcuno inizia a sussurrare che quel prezzo sia il gioiello. La Juve ha messo gli occhi su Baggio, come tempo prima li aveva messi su Antognoni, ma stavolta – dicono i bene informati – una trattativa tra Fiorentina e Juventus c’é, ed anzi pare che le cose siano molto ma molto avanti.
Per il momento sono voci sussurrate a mezza bocca. I fatti concreti parlano di una panchina affidata ad un allenatore emergente, Bruno Giorgi, che ha fatto molto bene in provincia, soprattutto in quella Vicenza dove qualche anno prima aveva lanciato, guarda un po’, proprio Roberto Baggio. I presupposti di un’altra stagione almeno divertente sembrano esserci, e poi chi vivrà vedrà.
In realtà il campionato della Fiorentina si avvita subito su se stesso, anche se il divin Codino cerca subito di impreziosirlo con un gol da cineteca segnato al San Paolo di Napoli al cospetto di Sua Maestà Diego Maradona, che si appresta a rendere al Milan il servizio della rimonta dell’88 vincendo il suo secondo scudetto, ma che quella domenica ha soltanto parole di elogio per quel ragazzino viola la cui classe non sfigura affatto se paragonata alla sua.
Ma il compito del numero dieci viola è ingrato, come lo è da una ventina d’anni a quella parte, salvo annate eccezionali: sopperire con quella classe immensa alle carenze del contorno, gratificando tifosi che tornano ad essere costretti a recarsi allo stadio per l’unica gioia di assistere alle sue giocate. I tempi del giovane Antonio sono tornati, al giovane Codino l’onere di inorgoglire Firenze tirando nel contempo fuori dai guai una squadra che ad un certo punto si ritrova di nuovo invischiata nelle zone pericolose della classifica.
Diverso il discorso in Coppa UEFA. La Fiorentina schizofrenica di quell’anno compie una prodezza dietro l’altra, eliminando nell’ordine l’Atletico Madrid ai calci di rigore, poi il Sochaux grazie al gol del pareggio dell’1-1 segnato fuori casa. Negli ottavi di finale l’impresa assoluta. La Dinamo Kiev del colonnello Valerij Vasyl’ovyč Lobanovs’kyj non sarà più quella che vinceva in lungo e in largo facendo del suo allenatore un eroe dell’Unione Sovietica, ma è pur sempre una squadra che incute timore. Alla vigilia del doppio confronto, sembra che gli ucraini faranno un sol boccone della povera Fiorentina aggrappata ai piedi del suo immenso ma unico gioiello. Richiesto di un pronostico circa le possibilità dei viola di passare il turno, il colonnello fa lo spiritoso: «Sotto zero».
E invece Baggio la porta di peso ai quarti di finale, segnando a Firenze su rigore il vantaggio che poi la squadra difenderà con le unghie e con i denti sotto zero, in un campo colorato di bianco dalla neve a Kiev.
Si va avanti così, fino a primavera, con i viola che stentano in campionato arrivando all’ultima giornata invischiati in quel pattuglione di squadre per le quali un punto vuol dire salvezza o morte. E volando invece a giro per l’Europa sulle ali di un entusiasmo che rinasce per incanto, non appena la squadra esce dai confini nazionali. Doppia vittoria con l’Auxerre, poi in semifinale partitone a Brema contro il Werder, pareggio per 1-1 che a Perugia (nello stadio Curi opzionato perché il Comunale di Firenze è in ristrutturazione a causa dei lavori in vista di Italia 90) basta solo difendere. Magari senza ricorrere nelle intemperanze di alcuni tifosi gigliati troppo entusiasti, che costeranno alla società la squalifica del campo.
Squalifica che risulterà determinante in finale, dove i viola incontreranno nientemeno che la Juventus. Per il calcio italiano si tratta della prima volta in cui due delle sue squadre si affrontano in una finale continentale, e la certezza di un sicuro en plein dopo le vittorie del Milan in Coppa Campioni e del Napoli in Coppa Coppe. Tutto ciò in vista dei mondiali casalinghi da affrontare con la splendida Nazionale di Azeglio Vicini (di cui Baggio sarà sicuro protagonista).
Ma di questi aspetti ai fiorentini importa poco. Ciò che conta per loro è che la sorte ha messo sul piatto la possibilità di vendicare Cagliari e lo scudetto soffiato. Una vendetta sportiva a cui Firenze si prepara con tutti i sentimenti, dimenticando quasi che prima c’é da regolare la pratica salvezza.
Alla 34^ e ultima giornata a Firenze si presenta l’Atalanta, già salva. I viola hanno un solo risultato, la vittoria. Che è appena sufficiente ad issarli a quel punto in più rispetto alle quattro squadre che retrocedono. Finisce 4-1, gli ultimi due gol sono segni del destino e dei suoi incroci curiosi. Il primo è una autorete di Cesare Prandelli, che chiude quel giorno la sua carriera calcistica e che è destinato a tornare in riva all’Arno come allenatore, così come il Pioli che sempre quel giorno lo affronta sul campo. L’ultimo gol lo segna Roberto Baggio, ed è l’ultimo in tutti i sensi.
Nessuno ancora lo sa o lo immagina, tranne i bene informati, ma come è successo tre anni prima ad Antognoni, sempre contro l’Atalanta, la maglia viola che il numero dieci si toglie a fine partita per scambiarla con gli avversari è l’ultima che ha indossato.
Resta la finale UEFA, a cui la Fiorentina si presenta con Ciccio Graziani in panchina. Alla 31^ giornata i Pontello, che non vogliono macchiare il loro palmares privo di vittorie con una retrocessione, hanno esonerato un Giorgi ormai incapace di dare una sferzata alla Fiorentina impelagata in fondo alla classifica, chiamando al suo posto il vecchio condottiero che a Cagliari nell’82 il suo l’aveva fatto, segnando quel gol – annullato dall’arbitro Mattei – che avrebbe dato ai viola lo scudetto. La proprietà confida nell’esuberanza di Ciccio e nella sua capacità di trasmetterla. Il resto lo farà, si spera, l’entusiasmo e l’aspettativa con cui tutta Firenze si avvicina alla resa dei conti con la Juventus.
Ci sono ancora quelle voci, è vero, e ancora più insistenti…..
E’ con un’ombra addosso più pesante di quello che vorrebbero ammettere che i tifosi seguono la squadra a Torino il 2 maggio 1990. E l’andamento del match non fa nulla per rasserenarli. Segna Galia, pareggia Buso, il primo tempo è quasi un monologo viola. Sembra davvero che da un momento all’altro il piede di Baggio possa strapparci dalla gola quell’urlo che da otto anni rimane strozzato nelle nostre gole. Sembra, e invece… Sarà un caso, ma il Codino sembra titubante, si trova due volte solo davanti al portiere e sbaglia come un principiante alla prima convocazione, lui che i portieri non li perdona mai. C’é qualcosa che non va.
Il primo tempo si chiude sull’1-1, quando avrebbe potuto finire con i viola in netto vantaggio. Nella ripresa la Juve dilaga, sfruttando le maniere forti e una evidente benevolenza arbitrale. Finisce 3-1, ai tifosi fiorentini presenti saltano i nervi, ci sono tafferugli dentro e fuori lo stadio.
Per la gara di ritorno, c’é da scontare la squalifica inflitta dall’UEFA al campo viola a seguito degli incidenti accaduti in occasione della semifinale con il Werder Brema, a Perugia. Stavolta ci tocca giocare in trasferta per sanzione disciplinare. La distanza minima prevista dall’UEFA in questi casi è di 500 chilometri, e sembra che l’unica città italiana in grado di soddisfare questo requisito, sempre per l’UEFA, sia Avellino. Peccato che da quelle parti gli unici che non tifano Juve sono i morti.
I coraggiosi che da Firenze si spingono laggiù, sfiduciati ma non domati, assistono ad uno 0-0. La squadra appare sfiduciata, e non ce la fa a ribaltare risultato e clima avverso. In più, i fiorentini vengono caricati dalla polizia e dalla tifoseria juventina. E tornano a Firenze – come si dice – becchi e bastonati. Ancora una volta, il sogno viola si è trasformato in un incubo bianconero.
Alberto Di Chiara, uno dei giocatori viola che quel giorno era in campo, sintetizzerà molti anni dopo nel suo libro Quella sporca finale, quella vicenda e cosa ne sarebbe seguito. «Quando sono arrivato a Firenze non comprendevo perché la gente odiasse così tanto la Juventus. Quando sono andato via, avevo capito tutto».
E’ la sera del 18 maggio 1990 quando Stefano Tacconi alza la Coppa UEFA, mentre i tifosi fiorentini rimontano avviliti e carichi di rabbia su treni e pullman. Sembra che il peggio ormai sia passato. E invece, il peggio deve ancora accadere.
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