Diario Viola Fiorentina

Storia della Fiorentina – 19. L’uomo delle stelle

Sic transit gloria mundi. Erano arrivati come i salvatori della patria, coloro che avrebbero fatto grande la Fiorentina e spazzato via quei meccanici di Torino. Dieci anni dopo erano quasi assediati in casa propria, la sede della Fiorentina era guardata a vista da carabinieri e poliziotti, mentre la città era in preda ad una guerra civile ed al lancio di fumogeni si rispondeva con il lancio di sanpietrini. I meccanici di Torino si erano portati via il gioiello della corona, e Firenze avrebbe tanto voluto linciare i salvatori della patria di dieci anni prima, che nel frattempo di quella patria erano diventati i traditori.

In quello scorcio di primavera del ’90, la situazione era senza via d’uscita. Narrano le ricostruzioni postume di una famiglia Pontello spaccata in due, tra chi aveva voluto vendere Baggio alla Juventus (il conte Flavio Callisto, il patriarca) e chi lo avrebbe tenuto. Tra chi adesso avrebbe voluto continuare l’avventura alla guida della Fiorentina e chi invece avrebbe accettato come una liberazione l’offerta che nel frattempo era stata avanzata da un compratore.

Nei mesi in cui il conte aveva trattato Baggio con la Juve, aveva condotto anche in parallelo dei sondaggi per la cessione del pacchetto di maggioranza dell’A.C. Fiorentina ad un altro gruppo imprenditoriale, proveniente da un settore completamente diverso. La Mario & Vittorio Cecchi Gori Productions si occupava di cinema, non di mattone. Lo faceva da tempo, come i Pontello, e con una fama ed un successo che travalicavano i confini nazionali. Tanto che il patriarca Mario era accreditato alla fine degli anni ottanta di essere il più importante cinematografaro europeo, o comunque non americano.

Mario Cecchi Gori, sua moglie la signora Valeria (con la quale era felicemente sposato da una vita) ed il figlio Vittorio vivevano a Roma, perché per chi faceva cinema Hollywood all’epoca era sul Tevere. Ma erano, Mario e Valeria, fiorentini purosangue. E come ogni fiorentino purosangue che si rispetti, follemente tifosi della Fiorentina.

Sentendo in qualche modo che il loro momento stava arrivando, i coniugi Cecchi Gori avevano avviato sondaggi per capire la volontà della famiglia Pontello di cedere o meno la proprietà della squadra del cuore di Firenze. Sentendo in qualche modo che il suo tempo era agli sgoccioli, il conte Pontello aveva da parte sua tenuto in vita quel canale sotterraneo, presentendo che sarebbe venuto un giorno – quello dell’annuncio della cessione di Baggio alla Juve, per esempio – in cui gli sarebbe tornato comodo. Come via di fuga.

E così, mentre a Firenze si disperdeva il fumo dei lacrimogeni e l’eco delle urla dei tifosi inferociti, divisi soltanto sulla volontà del giocatore di restare in viola (anche se non essendo ancora entrata in vigore la legge Bosman la volontà del giocatore era relativa, come lo era stata – bisogna dirlo – al tempo di Antognoni) ma assolutamente compatti sul tradimento perpetrato nei confronti della città dai padroni viola, Flavio Callisto Pontello mandò a dire a Mario Cecchi Gori che l’offerta di acquisto della Fiorentina avanzata da costui era diventata improvvisamente interessante, e che se ne poteva discutere.

I due imprenditori si videro in segreto e si misero d’accordo nello spazio di una serata. Ai Pontello andava, oltre ai proventi della vendita di Baggio che non sarebbe confluita nelle casse societarie, una cifra pari a quindici miliardi delle lire di allora. Otto milioni di euro di adesso, per una società che allora vantava anche proprietà immobiliari (la sede di Piazza Savonarola – Piazzale Donatello) e che a differenza di adesso poteva contabilizzare nel patrimonio i cartellini dei giocatori sotto contratto. Viene da riflettere, con il senno di poi/adesso, sulle cifre a cui viene stimato il valore attuale della società A.C.F. Fiorentina, che nel frattempo risulta non essere più proprietaria di alcuna unità immobiliare.

A Cecchi Gori andava la A.C. Fiorentina, la squadra che aveva appena disputato una finale di Coppa UEFA ma priva del suo giocatore migliore e più rappresentativo. Il nuovo proprietario cercò di convincere il vecchio a ritornare sui suoi passi e a lasciargli Baggio, ma il contratto di cessione era stato ormai firmato, l’inchiostro si stava già asciugando e Baggio ormai era a Torino a fare le visite mediche e a tenere le prime conferenze stampa, per quanto evidentemente imbarazzato.

Non solo, ma in virtù del principio che i contratti si rispettano e si ereditano, Cecchi Gori dovette ingoiare anche l’ingaggio del nuovo allenatore perfezionato da Pontello, quel Sebastiao Lazaroni che aveva condotto a Italia 90 il peggior Brasile della storia dei Mondiali di calcio, malgrado schierasse quel Carlos Dunga che a Firenze era il principale beniamino rimasto. Pontello aveva anche messo sotto contratto quel Marius Lacatus nazionale romeno che si sarebbe dimostrato nella stagione successiva giocatore tutt’altro che determinante.

Per fortuna, Mario & Vittorio Cecchi Gori arrivavano alla Fiorentina con alle spalle un impero economico che all’epoca aveva come punto di forza l’alleanza strategica nientemeno che con Silvio Berlusconi, l’uomo che tra le tante altre cose stava facendo del Milan la squadra dominatrice del calcio mondiale. La Pentafilm sembrava una solida garanzia per il futuro, soprattutto perché a differenza dei Pontello i Cecchi Gori arrivavano al timone viola senza mettersi subito in urto con i potenti del calcio italiano, anzi forti di sodalizi consolidati.

Nell’immediato, ciò volle dire soprattutto il ritorno a Firenze di un altro beniamino. Stefano Borgonovo era tornato al Milan l’anno prima per giocarsi una maglia con Marco Van Basten, il centravanti più forte del mondo in quel momento. Infortuni e acciacchi vari lo avevano penalizzato, convincendo la dirigenza rossonera a rispedirlo a Firenze per riacquistare condizione e morale. Stefano per parte sua tornava volentieri, anche se non avrebbe ritrovato più l’altra B di quella ditta del gol che due anni prima aveva fatto divertire i fiorentini e disperare i loro avversari.

Insieme a lui arrivò sempre dal Milan e sempre in prestito Diego Fuser, solidissima e validissima colonna di centrocampo. Dalla Carrarese arrivò il portiere Gianmatteo Mareggini, che insieme a Fuser era destinato a legare il proprio nome ad una delle più belle giornate della storia viola.

Dalla Juventus, a parziale risarcimento per l’operazione Baggio, arrivò in viola – sempre in prestito – Massimo Orlando, giovanissimo talento di centrocampo a cui veniva chiesto nientemeno che di mettersi addosso quella benedetta maglia numero dieci e far dimenticare il fantasista di Caldogno. Impresa che si sarebbe rivelata impossibile non solo per lui, ma per chiunque.

Insomma, il 21 giugno del 1990 a Firenze non era cominciata soltanto l’estate, ma anche un nuovo ciclo per la Fiorentina. Nei cui tifosi prevalse il sollievo per essersi liberati di padroni ormai odiati e la gratitudine per i nuovi proprietari arrivati in soccorso di una patria nuovamente da salvare. Nessuno si voltava indietro a considerare il decennio appena trascorso, le sue speranze e delusioni, le sue luci ed ombre. Tutti guardavano avanti, alle nuove speranze accese per miracolo da questi signori del cinema, questi uomini delle stelle che pur tra mille difficoltà mostrarono subito di volersi gettare a capofitto nella nuova avventura come fiorentini qualsiasi, facendo tornare agli altri fiorentini una voglia impetuosa di sognare. E i fiorentini, è risaputo, sognano sempre in grande.

 

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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