Diario Viola Fiorentina

Storia della Fiorentina – 22. La vendetta di Don Matarrese

Nella foto, i “gioielli” del 1993: Stefan Effenberg e Brian Laudrup

Pare che in un momento in cui era in vena di confidenze, Mario Cecchi Gori abbia dichiarato a degli amici: «Nella mia vita ho avuto tanta fortuna, ed una sola disgrazia: un figlio bischero».

A Firenze, si dà di bischero quando più che offendere si vuol criticare quasi con affetto. E’ l’aggettivo giusto per un figliolo che in qualche modo dirazza. Dà grattacapi ad un genitore. E non solo.

C’è una foto di quel periodo che riassume tutta la vicenda viola: Vittorio Cecchi Gori in piedi sulla balaustra della tribuna d’onore, e sotto il padre Mario che lo riprende. Marione è girato verso Vittorio, non si vede la sua espressione, né si possono intuire le sue parole. Ma si possono immaginare, sono quelle di qualsiasi padre in quella situazione: «Vieni giù! Ma che fai? Smettila!»

All’inizio di quell’anno di disgrazia 1993, i fiorentini hanno grande affetto e stima per il proprietario della squadra che ha detto di voler riportare lo scudetto nella loro città, ed altrettanto grande perplessità nei confronti del di lui figlio. Colui che – molti aggiungono: purtroppoun giorno tutto questo sarebbe stato suo. Così come il padre aveva dato prova di saggezza ed equilibrio nel corso della sua lunga vita ed anche nei due anni trascorsi alla guida della Fiorentina, il figlio era già famoso da tempo per le sue intemperanze. La sua capacità di prendere fuoco e smontare in un attimo ciò che la sua famiglia aveva costruito con pazienza nel tempo.

Gigi Radice

All’inizio di quel 1993 a cui la Fiorentina si affaccia come seconda in classifica a poca distanza dal Milan capolista, i primi nodi di un destino che si rivelerà sportivamente tragico arrivano al pettine. Non si saprà mai bene esattamente cosa è successo. Voci di popolo parlano di questioni private tra il figlio del padrone ed il mister. Questioni di mogli altrui, tanto per capirsi. Alla ripresa del campionato si perde in casa con l’Atalanta, una partita sulla carta da vincere senza problemi. Ma siamo sempre secondi, ci può stare una sconfitta dopo le feste e magari alcuni bagordi di troppo. E invece Vittorio scatena l’inferno e chiede e ottiene incredibilmente la testa di Radice, che viene licenziato.

E’ evidente che c’è qualche male oscuro che va al di là di una singola per quanto inaspettata sconfitta. Al posto di Radice viene chiamato quell’Aldo Agroppi che a Firenze ha già fatto casini immani, gestendo male la fine della carriera di Antognoni e del periodo d’oro di Pontello. E con altrettanta inadeguatezza si porrà di fronte a una squadra le cui certezze sono andate di colpo in mille pezzi nella serata della sconfitta con l’Atalanta e della cacciata di Radice.

Ma c’è un altro nodo che viene al pettine. La Nazionale italiana torna a giocare a Firenze dopo due anni una partita con il Messico. I tifosi presenti allo stadio sono ovviamente in maggioranza supporters viola, e dimostrano di non aver affatto dimenticato i fatti di due anni prima, né soprattutto l’odio per la Federazione, il cosiddetto Palazzo, che ne é seguito.

In eurovisione per novanta minuti non si vede né si sente altro che i cori beffardi e ingiuriosi come Lega Italiana Figli di Puttana, Il Pacciani l’è innocente, arrestate Matarrese, Da-te-lo, da-te-lo, da-te-lo al Pacciani, Matarrese datelo al Pacciani, e via così. L’Italia vince 5-0, ma per Firenze quella non è una sera di festa. Sarà una serata maledetta, anche se ancora non lo sa.

Antonio Matarrese

Antonio Matarrese è presidente della Federazione Italiana Gioco Calcio dal 1987. Politico democristiano di lungo corso (fisicamente assomiglia a Romano Prodi), rampollo di una famiglia di imprenditori edili di Bari, l’uomo sta vivendo la sua esperienza di comando del calcio come un trampolino di lancio per la sua carriera politica e nello stesso tempo come l’occasione di soddisfare la propria smisurata ambizione, legando il proprio nome ad un’epoca d’oro della storia del nostro calcio stesso. Gli è andata non benissimo con Italia 90, conclusasi con un terzo posto che per com’era messo il pronostico e come si era messa sul campo doveva e poteva oggettivamente essere un primo (ed infatti ha silurato senza alcuna empatia il CT Vicini alla prima occasione). Vuole riprovarci appena possibile, e lungo quella strada non tollera ostacoli, ne mancanze di rispetto personali.

Don Matarrese non è contento dei cori di Firenze. Se la lega al dito, e presenterà il conto nei mesi successivi. Ad arbitrare una squadra sempre più stralunata verranno mandati nei mesi primaverili arbitri che non perdonano niente e che anzi ci mettono sopra del loro. La Fiorentina scivola sempre più in basso fino a ritrovarsi dal secondo posto alla zona salvezza, il crollo pare inarrestabile. Agroppi, che non ha saputo invertire la tendenza né da un punto di vista psicologico né tecnico, lascia per la seconda volta la panchina viola. Al suo posto arriva la una coppia inedita e carica di suggestione. Luciano Chiarugi, detto Cavallo Pazzo ai tempi del secondo scudetto per vincere il quale aveva segnato gol determinanti, viene dal settore Primavera e da una splendida vittoria nel Torneo di Viareggio dell’anno precedente che – anche questo nessuno poteva immaginarlo – sarà anche l’ultima a tutt’oggi per i colori viola. Al suo fianco, come supervisor e in vista dell’affidamento di incarichi più prestigiosi che nessun fiorentino dubita che spettino pienamente al personaggio per la sua caratura, va a sedersi su quella panchina che a quel punto é diventata rovente nientemeno che Giancarlo Antognoni.

Mancano solo cinque giornate alla fine di quel campionato, e la gente chiede ad Antonio ed a Cavallo Pazzo di ripetere i miracoli già compiuti da Beppe Chiappella nel ‘78 e da Picchio De Sisti nell’81. Ma è troppo tardi. I punti e le occasioni sprecati sono ormai troppi, e su Firenze grava una cappa di piombo identica a quella dell’ultima giornata di quindici anni prima. Qualcuno cerca di ironizzare a proposito della maglia da trasferta disegnata dalla Lotto, che sembra piuttosto una divisa da doposci. «Con quella maglia era chiaro che si finiva nei casini!»

Ma in realtà pochi hanno voglia di ridere, presagendo che questa volta, malgrado la caratura dei giocatori messi in campo lo renda quasi incredibile (così come nel ‘71 erano stati gli ex campioni d’Italia di due anni prima a rischiare la retrocessione), veder ripetersi un miracolo sarà molto difficile.

All’ultima giornata siamo talmente messi male da non essere sufficiente, come già altre volte, il nostro risultato. Non basta una nostra vittoria sul Foggia (già portafortuna di altre salvezze, nel 1971 e 1978) per 6-2. Il fatto è che ad aiutarci su altri campi stavolta non c’é la benevola Inter, legata da rapporti di amicizia. C’é invece la Roma, con la quale i rapporti si sono deteriorati da tempo, e che all’Olimpico decide di fare un favore all’Udinese, o quantomeno non si danna l’anima per non consentirle di pareggiare negli ultimi minuti di gara, salvando così i friulani e condannando noi.

Gabriel Batistuta esce dal campo con le mani nei capelli alla fine della partita con il Foggia, nella quale 2 dei 6 gol sono stati suoi: la Fiorentina è retrocessa.

Sull’attonito Stadio Comunale, che da qualche mese si chiama Artemio Franchi essendo stato intitolato al grande dirigente della FIGC scomparso dieci anni prima e di cui il vendicativo Matarrese ha preso il posto, cala un silenzio surreale. Rotto soltanto dalla voce incredula e dalle parole smozzicate, sofferte, quasi sconnesse provenienti dalle radioline. La voce con cui David Guetta dai microfoni di Radioblu annuncia che per la prima volta dal 1938 la Fiorentina retrocede in serie B.

La Lega Italiana si è vendicata. Dopo essere tornati a un passo dal Paradiso, siamo precipitati all’Inferno.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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