Diario Viola Fiorentina

Storia della Fiorentina – 25. Il silenzio di Barcellona

La Fiorentina che torna dal Meazza con la Supercoppa italiana e con la dichiarazione d’amore di Batistuta per la moglie in mondovisione sembra una squadra che finalmente ha trovato una sua dimensione. Una grande dimensione, di pari passo con quella della società che appare sempre più in ascesa all’interno del club delle Sette Sorelle che si disputano la leadership del calcio italiano.

Nel Gotha dell’imprenditoria pallonara, la concorrenza è fortissima: oltre alla Juventus di proprietà della famiglia Agnelli, ne fanno parte il Milan di Berlusconi, l’Inter che è appena tornata di proprietà della famiglia Moratti (quella del ciclo della Grande Inter degli anni 60), la Roma della famiglia Sensi, la Lazio di Sergio Cragnotti, il Parma dei Tanzi e della Parmalat. In questo club la holding Cecchi Gori non pare affatto sfigurare, anzi. In quell’estate del 1996 in cui la Fiorentina conclude terza il campionato e vince Coppa Italia e Supercoppa italiana, il figlio di Mario sembra finalmente diventato un uomo cresciuto e di successo, un produttore cinematografico invidiato sulle due sponde dell’oceano, che quando finanzia un film lo fa per andare a vincere l’Oscar.

Leonardo Pieraccioni e Lorena Forteza nel Ciclone

E’ il caso del Ciclone, il film che sbanca il botteghino nel 1996 e che rappresenta il punto più alto della carriera dell’enfant prodige della scuderia Cecchi Gori, insieme a Roberto Benigni: Leonardo Pieraccioni. Il film non arriva all’Oscar, ma fa incetta di tutti gli altri premi, e soprattutto ricopre d’oro il suo produttore. L’anno dopo, arriverà anche la prestigiosa statuetta d’oro da Los Angeles, annunciata da Sophia Loren e vinta da Benigni con il capolavoro La vita è bella.

Vittorio Cecchi Gori sembra ormai inarrestabile. A gennaio la sua Telemontecarlo ha segnato un altro gol importantissimo. E’ la prima rete televisiva a trasmettere una partita della Nazionale (Inghilterra-Italia, decisiva per la qualificazione al Mondiale 1998, che segna l’esordio vittorioso di Cesare Maldini sulla panchina azzurra), al di fuori del duopolio RAI-Mediaset vigente fino a quel momento.

Il terzo polo televisivo sembra felicemente nato, il proprietario di Telemontecarlo è un uomo su cui i riflettori ormai sono costantemente accesi. In questo contesto si colloca la Fiorentina, che a fine agosto 1996 sembra davvero ad un passo dal colmare quel gap ridottissimo che ormai la separa dalla vetta del calcio, dalle più grandi vittorie.

Gabriel Batistuta trasforma in oro tutto ciò che tocca in campo, come Pieraccioni e Benigni dietro la macchina da presa. Manuel Rui Costa non fa rimpiangere Antognoni giocatore, la squadra sembra una falange compatta che non teme più alcun avversario. Luna e Antognoni manager si convincono che bastano pochi acquisti mirati per fare l’ultimo salto di qualità. Arrivano dal Cagliari Aldo Firicano e Luís Airton Oliveira Barroso detto Lulù in attacco, mentre il giovane talento Francesco Flachi viene mandato in prestito a Bari a farsi ossa ed esperienza.

La Fiorentina sembra pronta al decollo, ma sulla rampa di lancio viola c’é sempre qualcosa che non va. Alla prima giornata si presenta a Firenze il semisconosciuto Vicenza, guidato dal semisconosciuto mister Francesco Guidolin. Sembra un turno di avvio facile, per di più casalingo. E invece Guidolin comincia quel giorno il suo duello personale con Firenze portandosi via i tre punti con un sonoro 4-2 sbattuto in faccia ai più quotati padroni di casa.

C’é qualcosa che non va. La Fiorentina alterna risultati buoni ad altri disarmanti. Esce subito dalla Coppa Italia, mentre in Coppa delle Coppe tiene un rendimento all’altezza, superando i primi due turni senza grossi sforzi contro Gloria Bistrita e Sparta Praga. Sembra quasi che i tre fronti siano troppi per la squadra viola, la cui panchina è più corta di quello che sembra. Sembra ci sia un po’ di stanchezza nello spogliatoio, il mister Ranieri comincia a guardarsi intorno, dopo tre anni in riva all’Arno e con un po’ di offerte che gli stanno arrivando. Sembra soprattutto che la squadra non sappia capitalizzare l’enorme bonus derivante dall’avere in attacco colui che in quel momento (con la fine della carriera di Van Basten) può considerarsi il più forte centravanti del mondo. L’unico che può stargli a pari, ma che sarà presto messo fuori causa da infortuni e malanni vari, è Ronaldo Luís Nazário de Lima, il fenomeno brasiliano portato in Italia di lì a poco dall’Inter.

Andrej Kancelskis. E la gente canta: “con i soldi del Ciclone ci hai comprato il ciliegione!”

A gennaio, Vittorio Cecchi Gori tenta la carta ad effetto, per risollevare il morale di squadra e ambiente e allineare la Fiorentina alle altre società del Gruppo, che stanno producendo oro. Con i soldi del Ciclone, Cecchi Gori compra il ciliegione, cantano i tifosi allo stadio. Il ciliegione sulla torta viola è il russo Kancelskis, ala destra del Liverpool e della nazionale sovietica prima e russa poi, in quel momento uno dei top player del calcio europeo. E’ più che altro una ciliegia da far maturare, tra ambientamento e smaltimento infortuni. Il romanista Candela gli dà subito il benvenuto in Italia, mettendolo fuori gioco e rinviando l’euforia del pubblico fiorentino alla stagione successiva. Ma l’euforia c’é, cova sotto la cenere, ed aspetta solo il momento di incendiarsi e divampare.

Quel momento sembra arrivare nel mese di aprile. Il campionato si conclude in tono minore, sarà nono posto alla fine. Ma la Fiorentina ha da giocarsi nientemeno che una semifinale di Coppa delle Coppe, e tutto fa sembrare che possa ripetere lo storico successo del 1961. A marzo, ha concluso positivamente la rimpatriata di Manuel Rui Costa a Lisbona eliminando il Benfica. Adesso tocca ad un’altra squadra monumento del calcio europeo: il Barcellona.

I blaugrana in quel momento non hanno nulla da invidiare in quanto a forza ad altre loro formazioni successive. Ronaldo, in procinto di passare all’Inter, vuole lasciare con un successo. I suoi compagni non sono da meno. L’impresa appare di quelle da far tremare, per la Fiorentina. Ma la Fiorentina non trema.

Il 10 aprile al Nou Camp vanno prima in vantaggio i padroni di casa, ma a metà ripresa accade qualcosa che gela l’imponente stadio catalano come mai sarà più dato di rivedere. Batistuta prende palla al limite dell’area avversaria, e con una cannonata fulmina Vitor Baìa. Lo stadio piomba in un silenzio surreale, accentuato dal gesto irridente di Batigol che si porta il dito alle labbra, a suggerire lui stesso quel silenzio. La Fiorentina finisce quella partita dominando. Al 90° Spadino Robbiati si invola tutto solo verso la porta del Barcellona, che viene graziato dall’arbitro tedesco Heynemann il quale fischia la fine ad azione in corso e senza un secondo di recupero.

Poco male, si dice. Ci rifacciamo a Firenze. Dove invece i viola scendono in campo troppo self confidents, e soprattutto senza rendersi conto che anche qui l’arbitraggio è di parte. L’arbitro svedese Anders Frisk non è nuovo a trasformare partite difficili in casini ingestibili, si ripeterà a Roma qualche anno dopo. Quella sera, il 24 aprile 1997, tocca a Firenze perdere le staffe per il suo arbitraggio osceno. Quando segna Fernando Couto e poco dopo raddoppia Guardiola, il pubblico del Franchi (per una volta non la Curva, ma la distinta Tribuna Autorità) non ci vede più e tempesta di monetine i giocatori in campo. Ivan de la Pena si accascia al suolo. Il referto di Frisk sarà durissimo. Alla beffa dell’eliminazione si aggiunge la squalifica del campo, che avrà effetto (e che effetto) nelle stagioni successive.

Finisce così, con le monetine in faccia ai giocatori del Barça, una stagione che aveva promesso molto e mantenuto solo in parte. Claudio Ranieri si convince ancor più di aver fatto il suo tempo a Firenze, ed accetta l’offerta del Valencia dicendo no ad un tentativo di VCG di trattenerlo in extremis. Ma VCG in quel momento è un uomo che non accetta sconfitte. Per la prima volta da quando si trova da solo al timone della Fiorentina, può e deve scegliersi un allenatore. A cui affidare la stagione del rilancio, quella del ciliegione sulla torta.

Diciamo che la scelta di Vittorio finisce ad essere suggestiva, ma è sicuramente contraddittoria. Alberto Malesani viene da quattro stagioni al Chievo Verona, dove ha fatto tutta la trafila panchinara e ha gettato le basi per quello che sarà definito il miracolo Chievo. Proveniente dal calcio semiamatoriale e dal mondo del lavoro comune, Malesani ha tutto per piacere alla tifoseria ed altrettanto per far storcere la bocca agli addetti ai lavori. Come se la caverà sulla panchina della Settima Sorella? Come se la caverà con Vittorio, dotato di un carattere sanguigno almeno quanto il suo?

La squadra, rinforzata in estate con due centrocampisti di talento, Emiliano Bigica e Domenico Morfeo, parte bene, come meglio non si potrebbe. Per due volte sotto a Udine, finisce a vincere 3-2 con tripletta di Batistuta. Il risultato entusiasmante viene amplificato dalla corsa del mister sotto la curva dei fiorentini, per i quali da quel giorno diventa l’allenatore ultras.

La corsa di Malesani sotto la curva a Udine

Il patatrac succede alla terza giornata, e inizialmente non è nemmeno colpa viola, ma di Taribo West che mette sostanzialmente fine all’esperienza italiana della ciliegia Kancelskis stroncandolo. L’Inter, lungi dall’essere sanzionata, porta a casa la vittoria per 3-2 e si prende il campionato che doveva essere della Fiorentina. Sarà lei, guidata dal fenomeno Ronaldo, a contendere alla Juve lo scudetto deciso alla fine dal calcio di rigore non datole a Torino e dal crollo all’Olimpico all’ultima giornata in casa Lazio. La Fiorentina invece comincia a ripetere i risultati a singhiozzo della stagione precedente.

O’ animal

A gennaio, Vittorio ritenta la carta del ciliegione. Stavolta arriva dal Brasile un altro apparente fenomeno, Edmundo Alves de Souza Neto. Torna l’entusiasmo, anche se nessuno si interroga in quel momento sul perché il talento carioca arrivi dal suo paese con il soprannome già confezionato di o’ animal.

Edmundo finisce in panchina, ed è una delle scelte di Malesani che deteriorano irrimediabilmente il suo rapporto con il Presidente. La Fiorentina chiude alla fine con un quinto posto tutt’altro che disprezzabile, nello score del quale spicca tra l’altro un 3-0 inferto alla Juve al Franchi a cui partecipa in modo sostanziale Lulù Oliveira, da quel giorno beniamino del pubblico viola, ma che complica ancora di più l’impiego dell’altro brasiliano.

Il destino di Malesani probabilmente è già deciso fin da dicembre, dall’intervallo di quel Fiorentina – Parma in cui un infuriato Cecchi Gori l’ha atteso negli spogliatoi per chiedergli conto del mancato impiego di Robbiati. Gira voce che dalle parole si sia quasi passati alle vie di fatto, e qualcuno rivede il film già visto dell’esonero traumatico di Gigi Radice. Stavolta VCG aspetta almeno la fine del campionato.

Alla Fiorentina, ed ai suoi sogni di gloria che rischiano di allontanarsi man mano che il tempo passa, serve adesso un grande allenatore.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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