Diario Viola Fiorentina

Storia della Fiorentina – 26. Non dire gatto….

Londra, Stadio Wembley, 27 ottobre 1999

1998. Un’ottima annata. Era l’anno dei Mondiali, diceva la canzone. Ai Mondiali di Francia la favorita é la squadra di casa, che schiera gli juventini Zidane e Trezeguet. Poi il Brasile, guidato dal fenomeno Ronaldo che si é appena accasato a Milano, sulla sponda nerazzurra. l’Italia é quotata, così come l’Argentina che si consola del dopo-Maradona con gli anni migliori del suo centravanti, Gabriel Batistuta, il più forte del mondo.

Batigol é partito per i Mondiali salutando Firenze in modo incerto. Da quando si é reso conto di essere considerato il numero uno, ha preso a battere cassa con Vittorio Cecchi Gori, cercando di compensare le mancate vittorie almeno con ritocchi d’ingaggio consistenti. Fino a quel momento Vittorio é stato al gioco, sapendo che senza l’argentino il suo progetto viola va a farsi benedire.

Ma quell’anno il clima é più teso del solito, vuoi perché la vicenda del burrascoso addio di Malesani ha lasciato tanta elettricità nell’aria fiorentina, vuoi perché il nostro puntero comincia ad avere offerte consistenti un po’ da tutte le grandi squadre. E vacilla, eccome se vacilla. Quando la Fiorentina ha vinto a Roma in casa della Lazio alla penultima giornata, un sonoro 4-1 a cui Gabriel ha contribuito con una segnatura, a fine partita ha chiesto di poter tenere quel pallone per ricordo. Qualcuno ci ha visto un messaggio ben preciso: il Bati vuole conservare il pallone del suo ultimo gol in viola. Dopo i Mondiali, non torna qui.

Batistuta ritornerà a Firenze, vuoi per la prematura eliminazione dell’Argentina che ha raffreddato i suoi entusiasmi, vuoi per la condiscendenza di VCG che anche quell’anno si è frugato in tasca. E ritroverà un ambiente completamente trasformato, e galvanizzato da alcune novità.

Salutato Kančel’skis, che – lui sì – ha segnato il suo ultimo (ed anche il primo) gol in viola all’ultima giornata del campionato precedente contro il Milan al Franchi e poi è stato ceduto ai Rangers di Glasgow, la Fiorentina ha deciso di puntare forte sul brasiliano Edmundo. Dallo Sparta Praga è arrivato il pilastro difensivo Tomáš Řepka. Dalla Juve è arrivato un altro pilastro della retroguardia, Moreno Torricelli. A centrocampo è stato preso Jorg Heinrich dal Borussia Dortmund e Guillermo Amor dal Barcellona. Nomi altisonanti, a cui fa da contorno suggestivo il rientro dal prestito al Bari della promessa Francesco Flachi. Perfino l’ingaggio di Stefano Bettarini, in quel momento qualcosa di più – calcisticamente parlando – del marito di Simona Ventura, contribuisce a dare la sensazione di un’altra campagna acquisti con i fiocchi.

E non è tutto, manca il pezzo forte, quello che sarà capace di dare una scossa elettrica a tutto l’ambiente. Di dare il segnale che quest’anno la Fiorentina fa sul serio come non mai. Quando ha pescato dal serbatoio juventino, va detto, la Fiorentina ha sempre pescato bene. Già Torricelli è un ottimo acquisto, quello che arriva dopo è anche meglio.

La panchina viola è ancora vuota, e in città si diffondono le voci più disparate. Da quella che vuole l’approdo a Firenze dell’allenatore tifoso Emiliano Mondonico a quella che invece gli preferisce il fiorentino d’adozione Renzo Ulivieri. Nossignori, si punta più in alto, se possibile. Al numero uno.

Giovanni Trapattoni, dopo lo scudetto conquistato con l’Inter ed il ritorno di fiamma con la Juventus (per sistemare le macerie del dopo Maifredi), è andato in Germania al Bayern di Monaco. Ha vinto anche lì, diventando l’unico allenatore europeo che ha vinto dovunque, e qualunque titolo. Adesso vorrebbe tornare in Italia, ed è in questo stato d’animo che lo coglie la proposta di Vittorio Cecchi Gori.

Come uomo e come tecnico è talmente prestigioso che non si fa questione neanche per cinque minuti dei suoi trascorsi bianconeri. E’ finita l’era della degobbizzazione dei gobbi, anche se il Trap è stato per per decenni, una delle bandiere della Juventus. Come Boniperti, come Bettega. Era in panchina anche a Catanzaro, quando Brady aveva segnato quel rigore molto dubbio che aveva spezzato il cuore ai tifosi viola, e cominciato a riempirlo di odio per la squadra torinese. Ma nessuno nell’estate del 1998 pare ricordarsene più. C’é una sola consapevolezza: con lui quest’anno si gioca per vincere. Qualunque altro risultato è impossibile.

Con l’intesa tra Batistuta ed Edmundo, la Fiorentina è diventato uno squadrone capace di far sognare. Vince le prime quattro partite di campionato, va in testa alla quarta giornata e malgrado una sconfitta a Roma più che altro dovuta a eccessiva sicurezza ci rimane per tutto il girone di andata. Campione d’Inverno. Se si va a guardare le statistiche, sono davvero poche le volte che chi conquista questo titolo, alla fine non raggiunge anche lo scudetto. Trapattoni ha un bel ripetere, con le sue tipiche espressioni colorite, di non dire gatto finché non l’hai nel sacco, e che lassù in cima, in vetta al campionato, fa freddo, ed è difficile resistervi se non si è temprati e ben coperti. Niente da fare, la gente a Firenze ha troppa voglia di sognare, da troppo tempo.

Nel frattempo, in Coppa UEFA il cammino della Fiorentina viene bruscamente interrotto ai sedicesimi di finale a causa di una controversa decisione della UEFA le cui radici affondano nella squalifica inflitta al campo dei viola dopo le monetine lanciate a Frisk ed al Barcellona. E’ la ripetizione del film di Avellino, sembra che quando la Fiorentina ha il campo squalificato non possa andare a giocare altro che al sud. Con quello che ne segue. Stavolta, per il ritorno della sfida con il Grasshoppers, le tocca Salerno. Tra fiorentini e salernitani, manco a dirlo, c’é una ruggine che risale al campionato. E i padroni di casa pensano bene di presentare il conto gettando una bomba carta sul guardialinee e ferendolo.

E’ un’imboscata premeditata ai danni della Fiorentina, che non può non caderci dentro, senza difesa. La UEFA condanna i viola sulla base della responsabilità oggettiva della società virtualmente organizzatrice e padrona di casa. La Fiorentina perde a tavolino per 3-0 e viene quindi esclusa dalla manifestazione.

Batistuta portato fuori dal campo in barella

Poco male, ci si consola con il campionato, dicono i tifosi. Ma a febbraio le cose si complicano anche lì. I viola, ancora in testa, giocano al Franchi contro il Milan, secondo in classifica, la partita che potrebbe mandarli in fuga. E’ il momento atteso dalla malasorte per colpire ancora, e nel modo più beffardo. In un’azione di contropiede che potrebbe essere decisiva per sbloccare lo 0-0, Batigol si fa male al ginocchio ed è subito chiaro che dovrà star fuori per un bel po’. Poco male, dicono ancora i tifosi, c’è il mitico Edmundo …

Macché. In una clausola del contratto, Cecchi Gori ha acconsentito a che il brasiliano possa tornarsene a casa per il Carnevale di Rio. E figuriamoci se o’ animal se lo perde. Edmundo va al sambodromo, e la Fiorentina senza più le sue punte devastanti si ritrova presto al terzo posto, superata anche dalla Lazio targata Cirio-Cragnotti e per poco non anche dalla Juve che viene a vincere a Firenze. Siamo comunque qualificati per la Champion’s League, che da quell’anno accoglie le prime quattro squadre dei campionati maggiori (il nostro all’epoca lo è ancora).

Francesco Toldo

Ma la mancata occasione scudetto (con, a completare il mazzo, la sconfitta anche nella finale di Coppa Italia contro il Parma che, ironia della sorte, è allenato dal velenosissimo ex Alberto Malesani) lascia l’amaro in bocca ad almeno due big: il mister Trapattoni, abituato a società dove giocatori e programmi vengono gestiti in tutt’altro modo, e Gabriel Omar Batistuta, che comincia a prendere coscienza del fatto che forse qui a Firenze è destinato a fare la fine di Antognoni: non vincere mai niente. Nell’estate che segue a quel campionato partito in modo così splendido e concluso in modo così deprimente, si rinnovano le voci di sue trattative per andarsene.

Ma c’é ancora una Champion’s da giocare (e possibilmente stavolta veramente in casa propria). E c’é un campionato da affrontare con un nuovo attacco stellare. Arrivano Enrico Chiesa dal Parma e Predrag Mijatović – il giustiziere della Juventus – dal Real Madrid. Dalla Juve arriva Angelo Di Livio detto il soldatino, dal Brescia l’ottimo Daniele Adani, dal Bari Mauro Bressan. Rimandato Edmundo al paese natale (ma stavolta per restarci) e ceduto il problematico talento di Francesco Flachi alla Sampdoria (Trapattoni non lo vede proprio), quella che resta è una squadra che ti fa dire: come si fa a non vincere con gente così?

Enrico Chiesa

Si fa benissimo. Lassù, come dice il Trap, fa ancora più freddo, e la coperta è più corta di quello che sembra. Per fare bella figura in Champion’s, i viola devono tirare il fiato in campionato dove alla fine non andranno più su di un settimo posto che comunque dà ancora loro diritto a disputare la Coppa UEFA. In Champion’s League (che si chiama quell’anno per l’ultima volta Coppa dei Campioni, un trofeo che la Fiorentina aveva tenuto a battesimo), la squadra invece pare all’altezza delle aspettative. Nel girone eliminatorio che la oppone nuovamente al Barcellona, tra le altre, i viola passano il turno con due perle: il gol di Batistuta a Wembley che dà la vittoria decisiva contro l’Arsenal, e quello di Bressan ai blaugrana al Franchi che resterà nella storia del calcio internazionale come uno dei più belli in assoluto.

Nella seconda fase a gironi, ancora ottime prove della Fiorentina, che alla fine deve giocarsi l’accesso alle fasi finali con il Valencia. Non c’é più Claudio Ranieri sulla panchina degli spagnoli, e non c’é proprio niente da ricordare nella trasferta del Mestalla, se non l’assurdo annullamento del pareggio di Rui Costa su punizione e, sul rovesciamento di fronte, uno di quei rigori che si possono anche non dare concesso ai padroni di casa, che Mendieta trasforma eliminando la Fiorentina.

A fine stagione, si ripete la triste situazione già vissuta, di una splendida Fiorentina che alla fine stringe in mano un pugno di mosche. Qualcuno tra i suoi portacolori si convince definitivamente che a Firenze non si può vincere niente. Il primo è Trapattoni, che mentre passeggia per il centro con la consorte viene malamente apostrofato da alcuni tifosi (che gli rimproverano l’eccessivo difensivismo) e che coglie la palla al balzo per salutare VCG e accettare la panchina della Nazionale azzurra liberatasi proprio in quel momento.

Il secondo, ed è una pugnalata al cuore di una città che esattamente dieci anni prima ne aveva avuta inferta un’altra simile, è l’annuncio che Omar Gabriel Batistuta sta trattando con la Roma. Stavolta non c’é rinnovo di contratto che tenga, il Re Leone vuole vincere qualcosa, e va dove lo porta non il cuore, ma almeno la certezza che si può fare. Con Francesco Totti & c., il vicecapo cannoniere del campionato italiano (dietro Andry Shevchenko del Milan che ne ha marcato solo uno in più) sa che adesso segnerà i suoi gol per lo scudetto.

Addio Re Leone…..

Firenze sa soltanto, in quel momento, che i suoi sogni sono morti una volta di più ad un passo dall’essere realizzati. E nemmeno immagina che ci può essere anche qualcosa di peggio.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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