L’alba del 1° agosto 2002 sulla città di Firenze è livida, e non può essere altrimenti. Il sole sorge sul teatro di una tragedia, dopo una nottata trascorsa dai più in un sonno agitato, o addirittura insonni. Illumina una città ammutolita, annichilita, svuotata, sotto shock, e la sua luce è quasi fastidiosa. Così come è a malapena sopportabile il dolore che ha preso il posto dell’incredulità della sera precedente e che attraverso tutte le ore dell’oscurità ha accompagnato i fiorentini a questo risveglio di cui avrebbero fatto volentieri a meno.
La Fiorentina è stata mangiata dai debiti e dalle azioni federali e giudiziarie, e adesso non esiste più. Quella cominciata sempre in giornate d’agosto di 76 anni prima, nel 1926, è stata una lunga storia d’amore di una città per la sua squadra, più che una storia sportiva.
Tutto spazzato via, tutto finito. Restano, a quanto sembra nella luce incerta di quell’alba, soltanto macerie, e nessuno in grado o con la voglia di spalarle.
Firenze, per la prima volta nella sua storia di città sempre orgogliosamente contro, incapace di arrendersi e di rassegnarsi al destino, fosse quello della guerra o dell’alluvione, di disgrazie politiche e civili e di sconfitte sportive vissute come altrettante disgrazie, stavolta sembra reclinare la testa. Non ha più forza, non ha più speranza, soprattutto non ha più niente da difendere e per cui combattere.
In realtà, nel momento in cui tutto sembra perduto, qualcuno si sta muovendo. Come altre volte nella sua storia, Firenze non fa a tempo a rendersi conto della calamità che ha subito che già qualcuno dei suoi cittadini è in strada, o comunque da qualche parte dove c’é da rimboccarsi le maniche, ad affrontarla.
La storia ufficiale a questo punto racconta di un miracolo compiuto nelle stanze del potere dagli uomini delle istituzioni cittadine. Di come nel giro di sole 48 ore tutto è destinato a cambiare. Il Comune scende in campo, determinato a tentare il tutto per tutto pur di scongiurare il rischio che Firenze possa perdere, in quella maledetta e interminabile estate, la sua squadra del cuore. La sua ragione di vita sportiva.
La storia ufficiale racconta di come a Palazzo Vecchio si cerca, nelle prime ore di quel day after, con l’orologio alla mano che scandisce il poco tempo a disposizione, una soluzione compatibile con le carte federali che consenta di sfuggire all’oblio, alla morte. La soluzione è semplice, e nello stesso tempo complicata: occorre un nuovo soggetto che consenta a Firenze di mantenere il titolo sportivo (che in quel momento sempre secondo le carte federali è legittimamente tornato nelle mani della massima istituzione rappresentativa cittadina, il Comune) e di sopravvivere, anche se in una serie minore.
Il Sindaco Leonardo Domenici e l’Assessore allo Sport Eugenio Giani decidono di costituire una nuova Società giusto in tempo per la regolare iscrizione ad un campionato semiprofessionistico, con l’intento di cederla poi ad un nuovo proprietario, in grado di prenderne le redini e metterla al sicuro.
La storia ufficiale, con una narrazione epica che rischia di sconfinare, come sempre in casi simili, nella leggenda, racconta poi di un Sindaco e di un Assessore che montano in macchina trafelati e si dirigono a raggiungere – in una amena località di villeggiatura, dove la sua barca (nientemeno che il vecchio Marlin, lo yacht della famiglia Kennedy, da lui acquistato pochi anni prima a Hyannis Port, la loro residenza di famiglia) è ormeggiata in quei giorni – un fino a quel momento abbastanza sconosciuto imprenditore della moda, per offrirgli quel titolo sportivo e quella società appena ricostituita a Firenze.
Questo imprenditore è Diego Della Valle, il patron della Tod’s, di cui sempre in quel momento si sa solo che è amico di Luca di Montezemolo e di Clemente Mastella, vagamente legato ad ambienti della Margherita, e poco altro. Quella società che gli viene offerta da Domenici e Giani, e che lui sempre secondo la storia ufficiale accetta di rilevare nel giro di poche ore, è la Fiorentina 1926 Florentia Viola s.r.l.. In quel momento, il vecchio, glorioso nome dell’A.C. Fiorentina, la sua ragione sociale, non possono essere usati. C’é il rischio che chiunque intenda continuare l’avventura del calcio a Firenze erediti di sana pianta i debiti attuali e quelli che il tribunale dovrà stabilire a carico della vecchia proprietà Cecchi Gori. Il quale, ormai messo in disparte dagli eventi e dall’attenzione dei concittadini, ha un bello strepitare che la Fiorentina è ancora sua.
La nuova Fiorentina, anzi, come verrà chiamata a partire da quel momento, la Florentia Viola, è ormeggiata a bordo di uno yacht sul quale John Fitzgerald Kennedy pianificò l’assalto alla Coppa America di vela, in un altro tempo e in un altro luogo. L’impresa che prende il via quel 3 agosto 2002, il giorno in cui viene data la notizia alla stampa ed i fiorentini si svegliano leggendo sul giornale il titolo: LA FIORENTINA A DELLA VALLE, appare subito in quel momento – ed ancor più nei giorni che seguono – altrettanto leggendaria.
La storia ufficiale continua a raccontare, lungo tutto quell’agosto di rinnovata euforia e di cittadina follia, la vicenda che ha dell’incredibile di una società ricostituita e di una squadra di calcio rimessa in piedi in meno di 20 giorni. Quelli che trascorrono tra il SI di Della Valle e la prima uscita della Florentia Viola al Franchi contro il Pisa, per la Coppa Italia semi-PRO.
Già, semi-PRO. Siamo ridotti a questo, perché la serie B conquistata sul campo dagli ultimi giocatori di Cecchi Gori (ora dispersi ai quattro venti dal fallimento e dalle risoluzioni contrattuali) è stata tramutata in una C2, campionato semiprofessionistico appunto, dalla Federazione e dalla Lega Calcio che proprio di sconti non vogliono farcene, e che sembrano aver mantenuto nei confronti della nuova creatura viola appena nata la stessa antipatia ostentata verso la vecchia, appena deceduta.
Ma pazienza, vuol dire che Gino Salica (un manager già collaudato dal gruppo Tod’s) e Giovanni Galli (una vecchia e indimenticata gloria già collaudata dal cuore dei fiorentini) faranno un miracolo, allestendo una rosa competitiva in quindici giorni, per far fronte nei successivi otto mesi ad un campionato che è una landa assolutamente inesplorata non solo per loro, ma per tutta Firenze.
Contro il Pisa la sconfitta è praticamente inevitabile, così come saranno inevitabili altre sconfitte e figuracce lungo quel campionato di C2. Ma Firenze quel 21 agosto ha già fatto vedere di cosa è capace, se ce n’era bisogno: lo stadio, per quella eliminatoria di Coppa Italia semi-pro, è stracolmo. Come lo saranno tutti gli stadi della C2 quell’anno. I fiorentini che hanno preso d’assalto Barcellona, Manchester e Wembley non si vergognano neanche per un attimo a riversarsi adesso in località come Gualdo Tadino, Gubbio (dove tocca loro perfino spalarsi la neve, se vogliono veder giocare la loro squadra), San Giovanni Valdarno (dove ritrovano a fare da ospite il vecchio amico Ciccio Baiano), Rimini (con cui giocano praticamente lo spareggio promozione).
Fin qui la storia ufficiale, che – sempre quell’anno – è difficile distinguere dalla leggenda. C’é chi ne racconta altre, sostituendo l’epica al prosaico buon senso. Da Roma, si dice, dai palazzi del potere qualcuno, prima ancora di constatare la morte legale della A.C.Fiorentina, ha ordinato al Sindaco di Firenze Leonardo Domenici di muoversi, e in fretta. Alla luce della rapidità con cui Domenici esegue e della precisione chirurgica con cui agisce, c’è da pensare che il copione e la relativa soluzione siano stati già messi a punto da tempo.
Così come da tempo, si dice, è stata messa a punto la giurisprudenza secondo cui il titolo sportivo perso da Cecchi Gori torna, come affermano all’unisono avvocati di grido interpellati allo scopo, nelle mani del Comune, secondo gli statuti sociali e secondo le regole federali. A sua volta il Comune può decidere liberamente a chi darlo. Enrico Preziosi, un imprenditore rampante legato alla destra che ha ottenuto risultati controversi con il Como ed altre società, è pronto a farsi avanti. Una soluzione, la sua, sgradita decisamente ai Democratici di Sinistra, che non vogliono vedere Firenze cadere nelle mani di Forza Italia e Silvio Berlusconi, tornato nel frattempo al governo.
Da tempo, dicono sempre gli scettici, la lista dei giocatori da acquistare da parte di Salica e Galli é nelle loro mani. E loro portano a Firenze i migliori della categoria. Il fatto è che Della Valle e i suoi uomini in quei momenti concitati non sembrano sbagliare un colpo (tra le decisioni fondamentali c’é anche quella di non rimettere piede, né allora né mai, nella vecchia sede di Piazza Savonarola, acconciandosi a ricavarne una nuova nei locali dello Stadio, che il Comune ovviamente ha concesso in convenzione alla nuova Florentia Viola).
Sia stato compiuto in pochi giorni, o con più tempo a disposizione (mentre il corpo agonizzante della vecchia società viola si dibatteva ancora in cerca di mani misericordiose, che forse erano già altrove a stringerne altre), è difficile adesso non ripensare a quei giorni e a quella costruzione come ad una sorta di miracolo. E’ difficile non ricordare l’entusiasmo con cui Angelo Di Livio detto il soldatino accetta di concludere la sua carriera in serie C2, lui che avrebbe ancora mercato ma ha anche troppo orgoglio per accettare come definitivo il risultato del campionato precedente. O quello con cui il solitamente taciturno Pietro Vierchowod, detto il russo, accetta di sedersi su una panchina viola che in quel momento é una scommessa al buio assoluta.
E’ difficile non ricordare l’entusiasmo suscitato dai gol di Christian Riganò, il bomber di Lipari, ognuno dei quali avvicina un po’ di più la Fiorentina, pardon, la Florentia Viola alla risalita in paradiso. O quella voglia di vivere che ritorna lentamente a trasparire dal volto di Giovanni Galli, a cui la vita l’anno prima ha giocato il più atroce degli scherzi e che adesso si sta prendendo la sua rivincita, umana e sportiva.
E’ difficile non ricordare il lavoro di Silvia Berti, la public relation woman che, passata in sede per salutare, in un giorno di ottobre di quel 2002, viene arruolata seduta stante, e con il suo lavoro riesce a ricreare in poco tempo la faccia simpatica della nuova Fiorentina. O il lavoro in quel momento oscuro ma prezioso di Sandro Mencucci, dottore commercialista che rimettendo al posto giusto carte e situazioni sta ricreando l’ossatura di una società di vertice. Di cui si meriterà poi la nomina ad amministratore delegato, non fosse altro per quella corsa a perdifiato per arrivare in tempo a depositare la nuova ragione sociale che restituisce alla società il nome di Fiorentina (anche se preceduto dal nuovo acronimo A.C.F.) insieme all’offerta di acquisto dei trofei vinti da una squadra che pochi mesi prima non esisteva più, e che adesso è risorta dalle sue ceneri, come la Fenice.
In quei giorni, anche Firenze rinasce. Per festeggiare la sua rediviva squadra del cuore promossa in C1, contro il Savona nella partita che ne dà la matematica certezza lo stadio Franchi é stracolmo di 40.000 persone. Come ai tempi della Coppa Italia di Batistuta, della Coppa UEFA di Socrates, di una qualsiasi partita di campionato degli anni d’oro.
Nessuno, quel giorno ha ancora il coraggio di cantare Forza Fiorentina. E tuttavia la Fiorentina è risorta.
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