In quell’estate del 2004, finalmente, si dovrebbe solo festeggiare, ed allestire la squadra per la massima serie. Il che, avendo stavolta il tempo necessario a disposizione e soprattutto le risorse del gruppo Della Valle non dovrebbe essere un problema.
I nuovi padroni della Fiorentina hanno mantenuto l’impegno preso con la città, riportare la squadra nella massima serie, nel più breve tempo possibile. Polemiche e presunti retroscena a parte, è un risultato già di per sé di prestigio. Che permette adesso di guardare avanti, con gli occhi finalmente puntati su quell’orizzonte che la famiglia di imprenditori marchigiani, sempre più di successo e sulla cresta dell’onda, sente come suo.
L’eventualità che la A.C.F. Fiorentina benefici inevitabilmente di questo trend complessivo del gruppo, ritornando a sognare in grande in breve tempo (incredibilmente i momenti bui del fallimento e dello sprofondo tra i semidilettanti sembrano già lontani anni luce), è percepita da Firenze come un immancabile destino.
Ma nel kharma della Fiorentina condizioni come la serenità e la tranquillità non sono ricomprese. La Fiorentina di quella estate, intesa come società, in realtà è un mondo inquieto, in cerca di se stesso, in un ambiente per di più che non conosce e le cui insidie è portato per forza di cose a sottovalutare. Il 20 di giugno 2004 si è chiuso un ciclo, col senno di poi la parte facile. Adesso se ne deve aprire un altro, e le idee in proposito anche se non sono poche, se non sono confuse sono quantomeno poco chiare.
Anzitutto la ristrutturazione societaria. Nei giorni successivi allo spareggio per la serie A, entra sulla scena Andrea Della Valle, il fratello minore, che rileva la presidenza di Gino Salica. Al manager di lungo corso che ha già scritto parte della storia del gruppo Tod’s, i della Valle esprimono come sempre la loro gratitudine ed il loro ringraziamento, specificando tuttavia che è giunto il momento che la famiglia si impegni in prima persona. Non più con la presidenza onoraria di Diego, ma con quella effettiva di Andrea. I rumors dicono che non è piaciuta loro la gestione dell’idea progetto del nuovo centro sportivo a Incisa (presto accantonata per la sua impraticabilità). La nuova presidenza, è un fatto, si butta sul progetto Fiat Fondiaria (già sponsor societario) – Castello abbandonando il Valdarno.
Allo stesso modo, si valuta che nel mare magno e procelloso della serie A serva navigare con capitani più avvezzi alle rotte oceaniche. A quel Capo Horn che è il calciomercato, e la gestione dei rapporti con le altre società di serie A. Giovanni Galli racconterà successivamente che «con l’avvento dei Della Valle, la Fiorentina – che era sempre stata una famiglia – è diventata un’azienda a tutti gli effetti, con tutto quello che ne segue». Nelle aziende dei Della Valle si seguono criteri, appunto, aziendali, i tempi eroici sono finiti. Anche a lui, ne segue, viene espresso il ringraziamento per quanto fatto, ed al suo posto rimane il direttore sportivo Fabrizio Lucchesi.
Il quale Lucchesi non è un personaggio conosciutissimo al di fuori del giro degli addetti ai lavori, ma a quanto pare è fornito di buoni agganci. Il principale dei quali, si dice, è quello con Luciano Moggi, potentissimo diesse juventino. I fatti paiono confermarlo, perché la sua campagna acquisti consiste in primo luogo di una serie di prestiti soprattutto dalla Juventus: Fabrizio Miccoli, Enzo Maresca ed il giovane Giorgio Chiellini. In più, Obodo dallo sconfitto Perugia, Martin Jorgensen in comproprietà dall’Udinese e Thomas Ujifalusi acquistato dall’Amburgo.
Firenze assiste con curiosità a queste manovre grandi e meno grandi. Lasciamoli lavorare, è il mantra che viene recitato un po’ da tutti. Casomai è lo stile che a volte desta perplessità. Dopo il benservito a Galli, sembra che nel mirino ci possano finire due beniamini della tifoseria e della città. Si comincia a sentir dire qua e là che insomma, Mondonico chissà se è un allenatore all’altezza delle ambizioni della Fiorentina ritornata in serie A, che anche il bomber amatissimo Christian Riganò, il Rigagol per il quale la gente sente affetto e gratitudine come li ha sentiti pochi anni prima per Batigol (non è una bestemmia), ormai ha fatto il massimo e ora nella massima serie ci vuole ben altro.
Bisogna dotarsi di gente nuova, nuove risorse e nuove strutture. Ragionamenti anche legittimi, chi ci mette i soldi ha diritto a decidere come vengano spesi. Ma a Firenze, più che altrove, si vive molto ancora di sentimenti, di bandiere. La gente tra l’altro ha già preso nota dei primi screzi tra i nuovi proprietari con la bandiera per eccellenza, quel Giancarlo Antognoni che aveva fatto cose egregie come club manager ai tempi di Cecchi Gori e per il quale invece i suoi successori non hanno trovato alcun ruolo nell’assetto societario.
Al momento sembrano tutti dettagli, episodi di una crisi di crescita che attraversano tutti gli adolescenti prima di assestarsi nella maturità. Quella Fiorentina in fondo ha appena due anni, basterà rimettere piede in serie A e molte cose andranno a posto, come sempre.
A ben vedere, all’avvio di quel campionato 2004-05, è difficile scorgere le premesse per una stagione tribolata. La squadra c’é, o sembra esserci. La società si sta attrezzando, siamo in serie A, vivaddio. E’ vero che l’esordio di Diego Della Valle nella buona società della massima serie non è dei migliori, o dei più rassicuranti. Appena arrivato a guadagnarsi il diritto di sedersi al tavolo della Lega Calcio, assume subito atteggiamenti fuori dal coro, non va alle riunioni se non raramente e non nasconde il proprio fastidio per la perdita di tempo che ne consegue.
In breve tempo, si guadagna l’antipatia di tutti o quasi i suoi colleghi presidenti. Un club ristretto ed esclusivo che tende a detestare cordialmente gli ultimi arrivati che non nascondono la voglia di essere i primi. E’ con qualche preoccupazione che i fiorentini, memori di analoghi proclami e dei loro infausti esiti da parte dei Pontello e di Cecchi Gori figlio, ascoltano il nuovo patron uscirsene con dichiarazioni del tipo: «questo è un ambiente che ha bisogno di essere moralizzato, voglio spazzare via questo calcio corrotto e sostituirlo con uno che abbia finalmente dei valori».
Che il calcio sia corrotto e bisognoso di moralità e nuovi valori a Firenze lo si sa bene. Il fatto è che si sa altrettanto bene che queste cose il sistema non ama sentirsele dire. Prima o poi te la fa pagare, e il conto é salato. E’ già successo due volte, una sottile inqiuetudine si insinua nel tessuto cittadino circa l’eventualità che possa succedere di nuovo. Proprio ora che siamo appena risaliti dall’inferno.
Tutto bello, tutto vero, tutto giusto, quello che dice Diego. Che in prima persona o per il tramite della sua addetta stampa Silvia Berti si batte e si batterà per una Fiorentina il cui volto pulito e simpatico risalti sullo sfondo di un calcio italiano che di pulizia e simpatia ne ha sempre meno.
Senonché le leve del potere di quel sistema sono di fatto in mano ad altri, lui è l’ultimo arrivato e ancora sta studiando come funziona realmente il calcio. E non si accorge che quel sistema si sta già chiudendo a riccio nei suoi confronti, prima ancora di cominciare a giocare.
Ben presto si crea una situazione paradossale. La Fiorentina pare godere di grandi simpatie nella stampa e nell’opinione pubblica, di nessuna invece tra le altre società della serie A. Diego Della Valle è considerato un genio degli affari, ma quando si tratta di esternare forse non dà il meglio di sé. Il suo savoir faire e la sua simpatia personale non bucano lo schermo, evidentemente. Per le posizioni assunte dentro e fuori la Lega, non c’è uno dei suoi colleghi che lo veda in sostanza di buon occhio. Questo viene certificato ben presto. Quando la Fiorentina ne becca 6 dal Milan a San Siro – siamo solo a dicembre – non è solo Berlusconi a gioire per aver ridimensionato colui che aspira a scalzarlo dal potere, ma un po’ tutto il mondo del calcio.
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