Diario Viola Fiorentina

Storia della Fiorentina – 33. Cattivi pensieri

Dino Zoff

Quello che comincia il 12 settembre 2004 allo Stadio Olimpico di Roma sarà per la Fiorentina un altro di quei campionati destinati a passare alla storia come i più stralunati e dalle cause e dagli esiti incomprensibili, almeno per chi non è addentro alle stanze della società ed alla testa di coloro che ci abitano. Una squadra costruita con individualità all’apparenza eccellenti comincia un percorso tribolato fin dalla prima giornata, quando si trova contro la Roma in superiorità numerica e finisce per perdere lo stesso grazie ad un gol di Vincenzo Montella.

Ci può stare, all’Olimpico abbiamo raccattato poco già ai tempi di Batistuta. Ci può stare meno di raccattare solo sette punti nelle successive sei giornate, pareggiando o perdendo in casa e fuori con squadre sulla carta dalla caratura tecnica inferiore. La panchina di Emiliano Mondonico comincia a traballare vistosamente, malgrado l’affetto della gente. Tornano alle orecchie quelle voci che lo davano per incerto già all’epoca dello spareggio. Torna in mente quella foto che ritrae la sua crisi di nervi ed il conforto di Christian Riganò che solo a fatica riesce a farlo partecipare alla festa della promozione. Forse già quella sera il Mondo ha cominciato a sentirsi un ex?

Forse il Mondo ha sentito che nell’azienda che gli dà lavoro è già pronto il benservito – con tanti ringraziamenti per quanto fatto – anche per lui. Quando suonerà la sua ora, l’unica sorpresa sarà soltanto riguardo al dove e come.

Fabrizio Miccoli con Riganò

Succede all’ottava giornata, a Udine, in una giornata che dovrebbe essere considerata fino a quel punto la migliore grazie al pareggio agguantato a venti minuti dalla fine da un grandissimo gol di Fabrizio Miccoli. E’ il mister a decidere di farsi da parte, non sopportando più critiche e stress e avvertendo l’aria pesante che si addensa contro di lui in società. Il tifoso Mondonico non vede più l’allenatore Mondonico sulla panchina della Fiorentina. Il suo posto viene preso da Sergio Buso, allenatore dei portieri.

La squadra a quel punto è pronta per andare in stato confusionale. L’addio di Mondonico viene vissuto – fatte le debite proporzioni – come quello di Radice nel ‘93. Comincia una nuova discesa verso l’abisso, mentre si verifica quello strano fenomeno già accaduto in passato di una Federazione che manda ad arbitrare le partite dei viola arbitri dal comportamento sempre più estemporaneo, che prendono decisioni strampalate che contribuiscono a mettere la squadra ancora più in confusione.

Valeri Bojinov

La Fiorentina intesa come società non si capacita di quanto sta succedendo, e tenta la strada del mercato di riparazione. Da Lecce, dove ha fatto bene in coppia con Mirko Vučinić e dove il locale diesse Pantaleo Corvino (un personaggio che la Fiorentina imparerà a conoscere molto presto) ne magnifica talmente le qualità chiedendo per privarsene la non modica somma di 23 milioni di euro, arriva Valeri Bojinov, giovane promessa del calcio bulgaro del cui talento a Firenze se ne vedranno poche tracce.

La Fiorentina intesa come squadra intanto continua imperterrita a perdere anche all’inizio del girone di ritorno, con o senza l’apporto del nuovo acquisto. Sconfitta casalinga con la Roma, poi ancora a Cagliari. Anche Buso presenta le dimissioni, e tra gli scongiuri dei tifosi (quando i viola hanno cambiato tre allenatori in stagione, una volta si sono salvati per miracolo, nel 1978, una volta sono affogati, nel 1993) la mano passa a Dino Zoff, in quel momento disoccupato. Il Dino nazionale ha alle spalle risultati che ne farebbero quasi un monumento anche come allenatore, dopo esserlo stato da giocatore. Con la Juve, la Lazio e la Nazionale ha avuto risultati decisamente egregi.

Con la Fiorentina, invece, la musica non cambia. Anzi, dopo due giornate nella mente del nuovo mister cominciano a presentarsi dei cattivi pensieri, e Zoff lo dice apertamente, soprattutto dopo l’allucinante partita di Marassi, dove la Fiorentina perde 3-0 dalla Sampdoria dopo essersi ritrovata in nove giocatori, con tre espulsioni decretate dall’arbitro Dondarini per motivi che si possono definire futili. La stessa Sampdoria è talmente imbarazzata che dopo il terzo gol smette praticamente di giocare, per non infierire su un avversario non più in condizione di replicare.

Anche nel solitamente padano-centrico mondo dei mass media sportivi ci si accorge che qualcosa non va. Lassù, nel famigerato Palazzo, qualcuno continua a non amare la Fiorentina, anzi a detestarla a tal punto da riservarle – o farle riservare – un trattamento che fa impallidire quello destinatole da Matarrese dodici anni prima.

Gianpaolo Pazzini

Eppure questa Fiorentina non sembra verosimile che possa e debba stentare così tanto. Quando il 9 aprile scende a Firenze la Juventus, ne viene fuori un3-3 spettacolare che mette in luce tra l’altro il talento emergente del giovane viola Giampaolo Pazzini (arrivato dal vivaio atalantino insieme ad un’altra promessa, Riccardo Montolivo) e che fa quasi tornare alla mente un altro 3-3 di più di venti anni prima, quando la Fiorentina contendeva alla Juventus lo scudetto e i marcatori si chiamavano Antognoni e Platini.

Ma è un fuoco di paglia, e su quella paglia arbitri strampalati e giocatori demoralizzati buttano sempre più benzina, ma per bruciare le residue speranze di salvezza dei viola. Sconfitti a Livorno in un derby dove Cristiano Lucarelli si conferma nostra bestia nera, raggiunti in casa dal Messina al 96’ dopo che l’arbitro sembra voler prolungare il recupero all’infinito, sconfitti ancora in casa dal Milan, alla fine di aprile la Fiorentina sembra pronta per vivere, e far vivere ai propri tifosi, una nuova tragedia sportiva. Siamo appena sfuggiti alle terre maledette, e a quanto pare il nostro destino è di ritornarci subito.

Alla fine, malgrado il verbo societario sia quello del fair play sempre e comunque, della moralizzazione del calcio e dell’abbandono di certi suoi malcostumi, nella società che ha sede in Viale Manfredo Fanti ci si convince che non c’é altro da fare che ricorrere ad un vecchio espediente a cui ricorrono tutte le società, da che calcio è calcio. Si sente il bisogno di fare qualche telefonata. E’ il costume del calcio italiano, si sa, così fan tutti. Per tutelarsi, si dice. Per chiedere conto della disparità di trattamento e delle vessazioni che la Fiorentina sta subendo da inizio stagione. Per richiedere un trattamento equo, così si giustificherà in seguito la società.

Innocenzo Mazzini con Luciano Moggi

E da Viale Manfredo Fanti partono quelle telefonate. Il destinatario è il vicepresidente della FIGC. Si chiama Innocenzo Mazzini, ha sede a Coverciano ed è da sempre considerato vicino alla Fiorentina, anche perché lui stesso è fiorentino. La vicinanza fisica, l’idioma comune ovviamente favoriscono il dialogo. Da fiorentino a fiorentino, chi chiama dalla società chiede conto all’amico potente di come mai la Fiorentina venga trattata così male, e di ottenere lo stesso rispetto delle altre. Chi risponde dalla Federazione assicura che la Fiorentina avrà il rispetto che merita.

Dalle indagini della magistratura sportiva e di quella ordinaria che seguiranno, non emergerà mai la benché minima prova concreta di un tentativo di malversazione o addirittura di corruzione. Sono telefonate di quelle di cui è piena la storia del calcio italiano. Si protesta dopo un arbitraggio, ci si fa sentire in Federazione. E poi tutto va avanti come prima.

Il clamoroso “mani” di Zauri

Le ultime tre giornate sembrano fatte apposta per alimentare qualsiasi dietrologia. La Fiorentina vince a Chievo 2-1, con un arbitraggio che appare normale. Segna addirittura Bojinov, ed è una rarità, qualcuno dirà poi che è stata una partita strana, ma sul momento appare più che regolare. Dopo uno 0-0 casalingo con l’Atalanta, a Roma la Fiorentina viene di nuovo platealmente penalizzata. Segna Maresca, pareggia il laziale Siviglia, poi sempre il laziale Zauri si improvvisa portiere togliendo di porta un gol già fatto con le mani. Lo vedono tutti, meno l’arbitro.

All’ultima giornata, nel gruppone di squadre che nello spazio di due punti si giocano la salvezza c’é anche la Fiorentina, che ha un risultato solo a disposizione: battere il Brescia del’ex Cavasin al Franchi e condannarlo al proprio posto, sperando che dalle combinazioni degli altri risultati (soprattutto quelli del Bologna e del Parma) non escano situazioni penalizzanti per i viola.

Un’altra giornata drammatica, divisa tra campo e radiolina. Un’altra salvezza all’ultimo tuffo. Un’altra annata da dimenticare. Anche se lo strascico dei cattivi pensieri sarà destinato a durare a lungo, e in quel momento nessuno può immaginare come e quanto.

Il Brescia viene battuto 3-0 e retrocede, assieme all’Atalanta già condannata ed al Bologna che non va oltre il pari a Marassi ed il cui presidente Gazzoni Frascara ogni volta che ne avrà l’occasione lamenterà sempre di essere stato penalizzato per consentire il salvataggio della Fiorentina, senza mai dimostrare però in che modo.

Zdenek Zeman

Quel giorno Zdenek Zeman, tecnico del Lecce, decide di compiere un gesto plateale voltando le spalle al campo di gioco mentre la sua squadra porta in fondo un apparentemente pirotecnico e spettacolare 3-3 con il Parma.

Protesta contro qualcosa o qualcuno? Zeman non lo dirà mai chiaramente. Ma una cosa l’ha fatta, ha richiamato l’attenzione su quella partita. E come si vedrà più avanti, la cosa avrà conseguenze devastanti.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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