Quattro anni vissuti pericolosamente. Quattro anni di batticuore senza tregua, e quando pensi che sia finita è proprio allora che comincia la salita, come dice la canzone di Venditti. Quattro anni durante i quali per stare dietro alla sua squadra di calcio Firenze è salita sulle montagne russe, ha attraversato la galleria degli orrori, è andata a cento all’ora.
Dal 2002 in cui una sciagurata retrocessione si è tramutata in un orribile fallimento, al 2003 in cui un campionato di C2 cominciato manca poco senza nemmeno le maglie da gioco e i palloni é stato vissuto e vinto come uno campionato da scudetto, al 2004 in cui un campionato di serie B che non avremmo dovuto nemmeno giocare é stato vinto allo spareggio contro un Perugia che non avrebbe dovuto retrocedere, al 2005 in cui un campionato di serie A in cui non avremmo dovuto sfigurare ci regala la salvezza al solito ultimo tuffo. E come se non fosse bastato, qualcuno diceva a voce alta che si era trattato appunto di un regalo.
Alla fine di questo tour de force, Firenze fa le solite spallucce. Stare in serie A è un atto dovutole, ci mancherebbe altro. Tornare a vincere, anche. Questi nuovi padroni fanno grandi promesse, presto si esporranno addirittura con un pontelliano «scudetto entro il 2011». Per ora hanno dovuto giocare in difesa, in rimonta, per far fronte a vicissitudini e ad atteggiamenti avversi che hanno ereditato da un passato di contrapposizione feroce tra la città ed il paese, almeno inteso come istituzioni non soltanto sportive. Adesso è ora di tornare a giocare per qualcosa che non sia la sopravvivenza. I conti sono saldati, le ore di sconforto sono passate, è ora di tornare a vivere ore di vittoria.
Il grande cuore di Firenze ha bisogno di un cardiotonico. I Della Valle di poter finalmente mostrare ai massimi livelli il loro volto vincente. Son tutte cose che vanno però programmate per tempo, mettendo la gente giusta al posto giusto. All’assetto societario manca soltanto una figura che si dimostri un mago del calciomercato, perché la Fiorentina, e soprattutto Firenze, hanno fame di campioni. L’astro di Fabrizio Lucchesi è in declino, i suoi buoni rapporti con Luciano Moggi non producono grossi risultati, tanto è vero che la Juventus si riprende Miccoli, Maresca e Chiellini. Via l’incostante Obodo, della vecchia guardia è rimasto soltanto Martin Jorgensen, sul cui rendimento – complice l’annata infelice di tutta la squadra – la Fiorentina non è stata invogliata a investire. La comproprietà con l’Udinese è stata risolta alle buste, i viola nella loro ci mettono 500 euro, l’Udinese zero. Martino se l’è presa, un biglietto d’ingresso a una partita dei mondiali costa molto di più. Ma gli passerà presto, non appena la Fiorentina si renderà conto di aver avuto una botta di fortuna a costo zero, e l’Udinese di aver lasciato andar via un grande giocatore.
C’è una squadra da rifondare, al posto di Lucchesi viene ingaggiato dal Lecce quel Pantaleo Corvino che a gennaio ha appiccicato alla Fiorentina Bojinov. Il giocatore si è rivelato una sòla, come si suol dire, ma proprio per questo l’autore dell’affare promette di essere davvero un mago. La scommessa dei Della Valle è chiara: toglierlo di circolazione facendolo proprio, affinché affari e sòle d’ora in avanti vadano tutti a vantaggio della Fiorentina.
Corvino non delude le attese. Nel giro di pochi giorni porta a Firenze giocatori del calibro di Stefano Fiore, Christian Brocchi e, udite udite, il bomber del Palermo Luca Toni. Luca è esploso in ritardo, grazie al salvatore di talenti Carlo Mazzone che a Brescia ha allungato la carriera a Roberto Baggio e ne ha regalata una ad Andrea Pirlo e, appunto, al centravanti di Pavullo nel Frignano. Con 20 reti segnate a Palermo, nessuno ha dubbi sull’investimento che da rosanero lo porta in viola.
Arriva anche il portierone del Parma Sebastien Frey, che addirittura per venire a Firenze si riduce l’ingaggio. Qualsiasi cosa pur di accasarsi alla corte del nuovo allenatore ingaggiato da Corvino, un ex del Parma anche lui. Un’altra scommessa che si rivelerà vincente.
Claudio Cesare Prandelli Firenze lo ha perso di vista in quella domenica di fine aprile del 1990 in cui ha giocato la sua ultima partita in assoluto, con l’Atalanta che aveva dato via libera alla permanenza dei viola in serie A e Baggio che segretamente aveva salutato compagni e tifosi. Prandelli era stato per gran parte della carriera un gobbo, di quelli che Firenze aveva detestato assai nel 1982 per quella corsa scudetto risoltasi male. Ma da tempo la città ha imparato a passar sopra a certe provenienze, anzi, gli ex juventini va detto che non hanno mai tradito: Cuccureddu, Gentile, Torricelli, e quel Di Livio che per la verità la Fiorentina non ha ringraziato granché per la dedizione riservatale negli anni bui del calcio di serie C e B, mancando di offrirgli il rinnovo del contratto o la scrivania che il giocatore avrebbe desiderato.
Prandelli ha portato il Parma nelle zone alte della classifica, nonostante il gruppo Tanzi sia già invischiato nella crisi che si risolverà con un fallimento e varie peripezie giudiziarie. Nel 2004 lo ha chiamato la Roma, che ha risolto le sue di peripezie spalmando i debiti nell’avvenire (come alla Fiorentina non era stato consentito di fare), e che continua ad allestire attorno al suo asso Francesco Totti squadre a cui sembra mancare sempre un niente per diventare squadroni. Prandelli si è appena seduto sulla panchina giallorossa che deve rialzarsi in tutta fretta. Sua moglie Manuela ha manifestato i primi sintomi di quella malattia implacabile che se la porterà via nel giro di soli quattro anni. Per stare vicino a lei, il mister rinuncia ad entrare nel calcio che conta per la porta principale.
Un anno dopo, le cose a casa Prandelli sembrano essersi in qualche modo assestate, e allora Cesare può riprovarci, accettando la chiamata di Corvino per conto dei Della Valle. Dal Parma lo raggiunge anche Marco Donadel, mentre dall’Atalanta Riccardo Montolivo viene a ricostituire con l’amico Gianpaolo Pazzini una coppia che in quel momento sembra di sicuro avvenire.
Per ritrovare una campagna acquisti di questo spessore, bisogna risalire indietro alle ultime del duo Luna – Antognoni tra il ’97 ed il ’99, o a quelle del duo Allodi – Corsi tra l’82 e l’84. Nei primi turni della Coppa Italia 2005-06, Luca Toni comincia a segnare a raffica, ed i tifosi si guardano gli uni con gli altri cominciando a sussurrarsi che forse l’erede di Batigol esiste, stiamo zitti ma questo diventa Tonigol….
Per far dilagare l’entusiasmo che Firenze aspetta da tempo di sfogare, come una colata lavica troppo a lungo compressa, basta praticamente la prima di campionato. I viola battono 2-1 con gol di Fiore e Toni una Samp che in quegli anni è molto forte, da lì in poi parte una striscia di vittorie considerevole, scandita dai gol del numero 30, il goleador venuto da Palermo.
Non fanno male le sconfitte di Milano (Inter) e di Roma (Lazio, anche se ci segna Zauri con il quale il dente è comprensibilmente avvelenato). Viene assorbita bene anche la sconfitta casalinga contro la Juventus, che in quel momento è un vero e proprio squadrone. Un po’ peggio è stata assorbita la mancata vittoria in Coppa Italia sempre contro la Juve solo tre giorni prima, per quegli scherzi – o quella gestione idiota – che il calendario delle partite comincia a riservare. La Fiorentina va avanti di due gol con Bojinov e Pazzini, accorcia Pessotto e poi Adrian Mutu dà il pareggio ai bianconeri con un tiro incredibile inventato o svirgolato (più probabile la seconda ipotesi, a giudicare dalla gestualità con cui il giocatore festeggia).
Fuori dello stadio, il popolo viola non festeggia, anzi coglie l’occasione per riprendere un vecchio discorso con la tifoseria bianconera, consistente di tafferugli e cacce all’uomo. Ne viene fuori una serata da fumogeni e cariche della polizia, e soprattutto un multone della Federazione alla società. Diego della Valle non la prende bene, e coglie l’occasione per stabilire una volta per tutte alcuni paletti della presenza della sua famiglia a Firenze, su cui in futuro nessuno avrà voglia di ritornare sopra. Dice il patron viola, basta con questo provincialismo per cui una stagione si gioca soltanto nella sfida con la Juventus (e già Firenze a sentirsi dare di provinciale incassa, sì, ma a collo assai torto), ma soprattutto basta con queste scene da hooligans inglesi, se risuccede i della Valle salutano baracca, burattini e Fiorentina.
Un po’ perplessa per ciò che riguarda il divieto di odiare la Juve, Firenze si adegua. Non ha nessuna voglia di tornare a confrontarsi con Gubbio (con rispetto parlando), la neve, la C2. E’ così che viene percepita la questione, poiché il fallimento ha lasciato traumi curabili soltanto in lungodegenza. Pazienza, le cose belle finiscono prima o poi, anche la caccia allo juventino, pensano anche i tifosi più sanguigni. Ci si accomoderà sui seggiolini numerati dell’UEFA senza far storie, i tempi del resto cambiano.
In un clima di ritrovata serenità, comunque, la squadra viola riprende la sua corsa, che alla fine del girone di andata è diventata un testa a testa con la Roma di Luciano Spalletti per l’aggancio a quel quarto posto che darebbe diritto a disputare nientemeno che la Championn’s League, il massimo torneo continentale in cui i viola non giocano dalla sfortunata notte di Valencia e del gol annullato a Rui Costa, o da quella dell’eurogol di Bressan. Storie di un’altra vita.
E’ una marcia non sempre trionfale quella della Fiorentina, che però – Palermo a parte, dove c’è da scontare il malanimo della tifoseria locale verso il traditore Luca Toni – lascia solo punti contro le squadre di vertice come Milan e Lazio, e contro quel Livorno che sembra rianimarsi soltanto quando di fronte ha i viola, con l’implacabile Lucarelli.
Alla fine, la Fiorentina si presenta all’ultima giornata in quel di Verona (sponda Chievo) consapevole che la Roma ormai è dietro e basta vincere per assicurarsi quel quarto posto che in quel momento Pantaleo Corvino ha buon gioco a dichiarare che vale come uno scudetto. Con la soddisfazione aggiuntiva di vedere il proprio centravanti premiato con un trofeo che non è mai stato assegnato ad un giocatore viola, e nemmeno in assoluto ad un giocatore italiano o militante nel campionato italiano: la Scarpa d’Oro, destinata al più prolifico goleador europeo. Luca Toni ha segnato 32 reti in stagione, la gente ormai lo chiama Tonigol. Con il primo dei due gol con cui la Fiorentina vince a Chievo quella domenica 14 maggio 2006, Tonigol chiude a 33 reti.
La Fiorentina ha preparato quella partita confidando nel fatto di poter disporre del Chievo grazie alla sua forza di squadra e soprattutto grazie al proprio bomber. Soprattutto, ha preparato la festa viola al Bentegodi, con i giocatori che al fischio finale indossano delle parrucche viola e cominciano a correre qua e là come matti, festeggiando il risultato raggiunto e soprattutto omaggiando Firenze che torna a potersi inorgoglire di qualcosa.
Gli anni bui sembrano definitivamente in soffitta, dimenticati. La gioia impazza sul terreno di gioco di uno stadio amico. Fino a quel momento, nessuno ha prestato attenzione alle voci che si rincorrono da qualche giorno, a proposito di una indagine federale e giudiziaria che riguarderebbe casi di corruzione nel campionato italiano, e che comprenderebbe tra gli indagati anche la Fiorentina.
Troppa è la voglia di questa festa. Troppa è la delusione quando dopo qualche minuto i sorrisi si spengono, le corse si arrestano, le parrucche scivolano giù, la morte si insinua nel cuore. Quelle voci sono state confermate, mentre i Carabinieri si rimettono in moto a telecamere accese come 26 anni prima. Allora si era chiamato Calcioscommesse. Ora sembra qualcosa di ancora più grave, tanto che il nome è ancora più agghiacciante: Calciopoli.
Il quarto posto della Fiorentina è sequestrato. Al momento di mandare in onda Novantesimo Minuto, non ride più nessuno, né a Verona né a Firenze. Le tenebre sono calate di nuovo sulla città che non ha più pace.
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