Luca Toni si allontana a piedi lungo Viale Manfredo Fanti. E questa è l’ultima immagine che conservano i tifosi viola della loro Scarpa d’Oro. E’ il 27 maggio del 2007, malinconia ed euforia si accavallano tra le emozioni di chi ha assistito alla fine di quel campionato, che nelle intenzioni della Procura federale doveva sancire la nostra morte e che invece ha visto la nostra rinascita.
Siamo addirittura in Europa League, alla faccia di quella serie B che secondo qualcuno ci saremmo nuovamente meritati. Poteva essere addirittura Champion’s League, se non fosse stato per quei 15 punti di penalizzazione iniziali. Anche questa volta, la Champion’s di Firenze la giocherà Roma.
Pazienza, abbiamo fatto tanto, tantissimo a rimontare l’impossibile, stabilendo tra l’altro un record in coabitazione con la Reggina. Peccato per questo magone che intristisce la festa. Tonigol da una parte, la Fiorentina dall’altra. Tutti e due diretti in Europa, ma per strade diverse.
Un’estate normale, finalmente. Una stagione normale, da preparare normalmente, per lottare poi per obbiettivi normali. Normale, un aggettivo dimenticato da gran tempo, a Firenze. Siamo nel 2007, per trovare un’altra normalità bisogna quasi riandare indietro al secolo precedente. Alla proprietà precedente, che poi anch’essa di momenti normali ce ne ha fatti vivere decisamente pochi.
Stavolta c’é tempo e serenità per fare cose egregie. Eppure, dopo due stagioni di campagne acquisti sontuose, addirittura entusiasmanti, sembra quasi che la polverina magica sul mantello del direttore sportivo Corvino si sia volatilizzata. Quest’anno gli acquisti, pochi, sembrano più mirati. Il problema è: mirati a cosa?
C’é da sostituire l’insostituibile bomber partito per la Germania. Non saremmo nemmeno messi male, a voler dare fiducia al giovane Pazzini, che nella stagione trascorsa ha fatto vedere a tratti cose egregie e che è già nel giro della Nazionale Under 21 azzurra (memorabile la soddisfazione per la tripletta segnata a Wembley in occasione dell’inaugurazione del nuovo stadio). Messo accanto a quel Mutu che già a Firenze qualcuno chiama il Fenomeno, dovrebbe avere vita più facile, e farla avere anche a chi sostiene il colore viola.
Certo che il campione del mondo Luca Toni è un termine di paragone impossibile. Per reggerlo, più che le fragili spalle di un ragazzo veloce, di talento, ma che spesso appare francamente leggerino, servirebbero quelle più robuste di un altro che campione del mondo avrebbe potuto diventarlo, se non avesse incocciato nell’arbitro Byron Moreno quattro anni prima.
Christian Vieri detto Bobo è figlio d’arte. Suo padre, il pratese Roberto, detto Bob, era un prodotto del vivaio viola quando il vivaio viola produceva soltanto roba buona. Alla fine degli anni sessanta, trovare spazio nella rosa della prima squadra della Fiorentina per un ragazzino era proibitivo, e Vieri senior era dovuto emigrare, prima di città e poi di nazione. Alla fine degli anni settanta era diventato Bob, tentando l’avventura australiana. Il figlio Christian era cresciuto laggiù, Down Under, fortificando il proprio talento con la robustezza regalata al suo fisico già imponente dal football anglosassone.
Quando era tornato in Europa, Christian Vieri era una forza della natura. Attraverso tutta la sua carriera – giocata in tante di quelle squadre da perdere il conto, il ragazzo aveva la tendenza all’irrequietezza contrattuale -, Bobo figlio di Bob avrebbe meritato di essere considerato uno dei più grandi attaccanti del dopoguerra. Nel 2002, la Nazionale del Trap in assoluto non era inferiore a quella di Lippi del 2006, anzi. Ma Moreno aveva tagliato le gambe ai sogni di gloria azzurri, e per Vieri il titolo mondiale era rimasto un sogno, che invece per Toni si era avverato quattro anni dopo a Berlino.
Nell’estate del 2007, il grande avvenire di Christian Vieri é ormai dietro le sue spalle. Ma a 34 anni suonati l’ex ragazzo venuto dall’Australia non ha nessuna voglia di attaccare le scarpe al chiodo. Semmai quella di avvicinarsi a casa, a quella Prato da cui proviene la sua famiglia ed in cui é tornato ad abitare. Firenze gli offre un contratto a prestazione, ed é appunto a due passi da casa. Cosa volere di più? Può addirittura andare agli allenamenti con il treno, mosca più che bianca in un ambiente di giocatori che fin dalla tenerissima età hanno l’abitudine di presentarsi ai Campini con la Porsche.
L’idea Vieri pare ottima, e addirittura entusiasmante. Ma crea in prospettiva problemi ad un Pazzini il cui carattere si dimostrerà più fragile del talento. Preso per fargli ufficialmente da chioccia, il Vieri che ha quasi il doppio dei suoi anni finirà per giocare più spesso di lui. E quando non gioca lui c’é quell’argentino, Pablo Daniel Osvaldo, preso dal Lecce e di cui si dice un gran bene. Alla prima occasione, il musicista argentino prestato al calcio esordisce a Livorno con un gol in semirovesciata da urlo. Troppe chiocce e troppi pulcini perché Pazzini possa venire su ben pasciuto e sereno.
Il resto del mercato di Corvino consiste di quel Franco Semioli detto Pippo che sembra più un personaggio dei fumetti di Topolino che un giocatore decisivo per la nuova Fiorentina, nella quale non conferma le buone prestazioni fornite al Chievo se non saltuariamente. E poi c’é il famoso pulmino, come verrà chiamato negli anni successivi (quando ci sarà da smaltirlo): una serie di ragazzotti di belle speranze e varia nazionalità, di cui si perderanno le tracce un attimo dopo le visite mediche e la firma del contratto. Vandenborre, Lupoli, Hable, Mazuch, alzi la mano chi si ricorda come erano fatti. L’acquisto migliore, Vieri a parte, sembra quello fatto nel gennaio precedente con Zdravko Kuzmanović, centrocampista serbo-svizzero che in quella prima fase della sua carriera sembra promettere molto.
Anche la stagione, la prima che non comincia all’insegna dell’emergenza dal 2001 a questa parte, sembra promettere molto. La Fiorentina stabilisce subito un record rimanendo imbattuta nelle prime undici giornate, al termine delle quali è seconda dietro l’Inter a due punti di distanza. Iniziano bene anche Coppa Italia e Coppa UEFA, con il play off di ammissione superato contro il Groningen ai calci di rigore. La Fiorentina di inizio stagione sembra inseguire un suo personale triplete, tallonando appunto i nerazzurri di Milano.
Poi arriva il calo, soprattutto di energie. Prandelli – al quale è stata consegnata dalla Federazione la seconda Panchina d’Oro consecutiva dopo quella vinta nel 2006 – si è conquistato fama di grande motivatore, qualche dubbio semmai affiora in merito alla preparazione atletica fatta svolgere alla squadra, quando a metà novembre comincia il ciclo negativo, con l’Udinese che sbanca il Franchi con la bestia nera Quagliarella e quel Di Natale che è destinato a diventarne un’altra.
In questa fase delicata della stagione, arriva anche la disgrazia che colpisce la famiglia Prandelli. La moglie Manuela ha resistito al male che l’ha colpita per quattro anni, ma il 26 novembre di quell’anno arriva per lei il momento di arrendersi. Cesare stringe i denti, e la domenica successiva è in panchina regolarmente. Il Franchi gli tributa un minuto di silenzio ed una standing ovation che mettono i brividi tutt’ora a ripensarci.
Da lì fin quasi a Natale, però, sono tutte sconfitte o quasi, fino a che la serie positiva riprende alla vigilia delle Feste, con un 5-1 al Cagliari. Alla sosta natalizia, la Fiorentina gravita ancora nei paraggi del quarto posto, e ha superato la fase a gironi di Europa League a spese del Villareal, dell’Elfsborg, dell’AEK Atene e del Mlada Boleslav.
E’ una Fiorentina a cui Mutu semplifica molto le cose e a cui a volte il dualismo mai risolto Vieri – Pazzini invece le complica. Nel girone di ritorno, la squadra procede un po’ a salti, ma finisce per portare avanti una discreta progressione. In Coppa supera Rosenborg, Everton e PSV Eindhoven, vincendo in casa e fuori. Adrian Mutu eguaglia Batistuta e Hamrin con sei gol segnati in Europa nella stessa stagione. Ma è in campionato che arriva la soddisfazione più grossa.
Il 2 marzo 2008 è tempo di salire a Torino, sponda bianconera. Dove i viola non vincono da qualcosa come 20 anni. Negli ultimi 18, dallo Stadio Delle Alpi inaugurato per Italia 90 hanno portato via appena un punto, con Luca Toni nell’anno di grazia 2006. E’ la Juventus di Claudio Ranieri, che gioca bene senza dominare e che si sta riambientando nella serie A appena riconquistata dopo Calciopoli. Ma è la solita Juventus che va in vantaggio con Camoranesi, dopo che Sissoko ha pareggiato il gol iniziale di Gobbi, e che fa temere il peggio ai tifosi viola.
Non quel giorno. La Fiorentina pareggia con l’oggetto misterioso (fino a quel momento) Papa Waigo, ed al 93° in zona Cesarini segna il gol di una attesa e storica vittoria con il ragazzo prodigio Osvaldo, che quel giorno entra nel cuore dei tifosi. «Perchééééé, perchéééé, 2-1, 2-2, 2-3!», cantano i fiorentini in estasi.
Non è finita. Un’altra soddisfazione ce la regala il fatto di giocare la semifinale di Europa League. Un po’ meno il risultato, eliminazione ai calci di rigore dopo un doppio 0-0 con i non trascendentali scozzesi del Glasgow Rangers. Quel giorno la stella di Prandelli pare offuscata. Si spegne definitivamente quella di Christian Vieri, che sbaglia il rigore decisivo stampandolo sulla traversa e giocandosi la possibilità di restare ancora in viola.
Peccato, ma c’é ancora da nobilitare una stagione più che buona agguantando il quarto posto che darebbe diritto a qualificarsi per la terza Champion’s consecuitiva, la prima da poter effettivamente giocare. Avversario di turno è il Milan, con il quale il testa a testa è durato per tutto il girone di ritorno. All’ultima giornata, la Fiorentina ha un punto di vantaggio e se lo gioca al Comunale di Torino, contro i granata. Serve una vittoria, che appare difficile fino al 73°, quando l’uomo del destino Osvaldo si avvita in una delle sue rovesciate segnando un gran gol. Il capoluogo piemontese quell’anno per i viola è terra di conquista.
Stavolta è Champion’s, non ci sono santi e soprattutto diavoli. Si torna nell’Europa che conta di più per la prima volta dai tempi di Manuel Rui Costa e Batistuta. Ad aspettare la squadra di ritorno da Torino quella notte al Franchi ci sono di nuovo 40.000 persone, come nel 1996. Appena la sorte e l’Ingiustizia Sportiva hanno smesso di mettersi di traverso, siamo tornati grandi.
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