Nella foto: i “leoni di Ibrox”
Il ciclo di Befani e Bernardini fu leggendario. L’anno seguente al primo scudetto i viola arrivarono alla finale della neonata Coppa dei Campioni, dove vennero superati dal Real Madrid di Di Stefano, una squadra sicuramente piena di fuoriclasse (il dittatore spagnolo Franco tra l’altro aveva concesso asilo ai giocatori della Grande Ungheria in fuga dalla repressione russa della rivolta di Budapest) ma anche molto ben vista dalle autorità del calcio già allora, per motivi non soltanto sportivi ma anche politici. A detta di chi ebbe modo di assistere a quella partita, l’arbitro olandese Leopold Sylvain Horn ebbe sicuramente un occhio di riguardo per il Real Madrid.
La Fiorentina fu la prima squadra italiana in assoluto a raggiungere una finale europea. Nel 1957 aveva difeso onorevolmente il titolo nazionale contro il Milan, dietro cui era arrivata seconda. In Coppa, aveva superato il Norkoepping, il Grasshoppers e la Stella Rossa di Belgrado. Il Real, detentore della coppa conquistata l’anno precedente nella sua prima edizione al Parco dei Principi di Parigi contro lo Stade Reims, aveva superato Rapid Vienna, Nizza e Manchester United. Entrambe le squadre erano teste di serie, esentate pertanto dai turni preliminari.
In finale, i viola scesero in campo privi di Beppe Chiappella, il regista della difesa, infortunatosi durante una partita della Nazionale. Il luogo della finale era il Santiago Bernabeu di Madrid, già Estadio Chamartin. Il Real giocava in casa. Era il 30 maggio 1957.
Giuliano Sarti, leggendario portiere viola di quegli anni, ha raccontato il clima di quella storica partita: «Più che una partita, una corrida. Centomila spettatori contro di noi. Ma resistemmo, fino a pochi minuti dalla fine. Un rigore per un fallo commesso cinque metri fuori dall’area». I blancos erano fortissimi, probabilmente in quel momento la squadra più forte del mondo, con Di Stefano e Gento – che segnò il raddoppio madridista cinque minuti dopo il rigore – fuoriclasse inarrivabili. Ma i viola non erano poi da meno, e senza la svista dell’arbitro Horn che spostò il fallo di Magnini su Mateos dentro l’area di rigore viola chissà come sarebbe andata a finire.
In ogni caso, restò, e resterà sempre, alla Fiorentina l’onore di aver portato per prima in Europa il proprio gagliardetto in una finale, quel gagliardetto che è conservato adesso nel Museo del Santiago Bernabeu. E di essere stata, tra le tredici contendenti del Real, una di quelle che hanno meglio figurato.
La prima vittoria di prestigio a livello internazionale arrivò nel 1961, con la vittoria all’Ibrox Park di Glasgow in Scozia della neonata Coppa delle Coppe che fu anche il primo trofeo internazionale conquistato dal calcio italiano a livello di club nel dopoguerra.
Il decennio di presidenza di Befani, che l’anno dopo lasciò la presidenza a Longinotti, fu impreziosito da diversi secondi posti in campionato dietro ad un Milan pieno di campioni e anche un po’ favorito (ci furono soprattutto recriminazioni fiorentine nella stagione 1957-58).
La Vecchia Signora in quel periodo fu invece decisamente ridimensionata. A quell’epoca, simbolo della Juventus e bersaglio delle antipatie fiorentine era Giampiero Boniperti, detto Marisa per i suoi atteggiamenti spesso lamentosi a proposito del gioco duro di cui gli avversari lo facevano oggetto. Boniperti chiuse la sua carriera nel 1961 proprio al termine di un match contro la Fiorentina. Appese le scarpe al chiodo e si dedicò alla carriera dirigenziale che l’avrebbe portato ad essere l’uomo di fiducia di Agnelli e il presidente della Gobba per diversi decenni.
Finito il ciclo d’oro di Befani, con Bernardini andato a proseguire la sua carriera di mago in quel di Bologna, dove portò a termine un’altra grande impresa battendo la Grande Inter di Herrera nello storico spareggio del 1964, a Firenze arrivarono gli anni della linea verde, della Fiorentina ye-ye. Prima con Longinotti, poi con Nello Baglini, fu costruita una nuova squadra di giovani speranze. A volte, per caso o per errore altrui, la Fiorentina riuscì a mettere le mani su autentici fuoriclasse, come Giancarlo De Sisti detto Picchio , scartato dalla Roma, o come Kurt Hamrin detto Uccellino (soprannome affibbiatogli per la sua leggerezza e agilità da Beppe Pegolotti, leggendario giornalista della Nazione), scartato proprio dalla Juventus perché troppo gracile, ceduto al Padova e poi da questo alla Fiorentina. Lo svedese tascabile sarebbe diventato la bestia nera della squadra che non aveva creduto in lui.
Ultimo epigono di una generazione svedese di fenomeni, Hamrin non vinse mai la classifica cannonieri in Italia, ma è stata l’ala destra viola più prolifica di tutti i tempi. Suo è il record di gol segnati in trasferta, cinque, in quel 7-1 in casa dell’Atalanta che è a tutt’oggi la vittoria più rotonda di sempre della Fiorentina fuori casa.
Nella sua epoca, la Fiorentina dei campioni di Befani e Bernardini prima, e di Longinotti e Baglini e della linea verde poi non scese mai al di sotto del settimo posto in campionato. Uccellino è stato il recordman della Fiorentina con 151 reti complessive segnate fino all’avvento di un altro giocatore straniero preso quasi per caso senza che nessuno credesse in lui, Gabriel Omar Batistuta, che finì la carriera in viola a quota 152.
Lascia un commento