Diario Viola Fiorentina

Storia della Fiorentina – 40. Il giocattolo si rompe

Monaco di Baviera, 17 febbraio 2010, immagini che non hanno bisogno di commento

Il 6 gennaio 2010 La Fiorentina festeggia la Befana maramaldeggiando il Siena in trasferta, un fin troppo facile 5-1 nello stadio che come quello di Firenze è intitolato ad Artemio Franchi. Un risultato che illude i tifosi, i quali non possono immaginare che a quel punto l’ambiente viola è tenuto insieme esclusivamente da quell’ottavo di finale di Champion’s League da giocare contro il Bayern di Monaco. Allo stadio Franchi di Firenze ha sede ormai una società di separati in casa, che cominciano a rinfacciarsi le rispettive ragioni sempre più apertamente ed aspramente, fino a farle trapelare in pubblico.

Firenze, per la prima volta nella sua storia calcistica, si spacca in due, riscoprendo l’antico gusto delle lotte civili tra Guelfi e Ghibellini. Un qualcosa che non aveva mai toccato il labaro viola, che adesso invece viene tirato da una parte e dall’altra da due fazioni, quella pro-Della Valle e quella pro-Prandelli, che più che altro si sono schierate sulla base del sentimento. E che se mantengono qualche cosa in comune è proprio il fatto di non avere in sostanza capito nulla di quello che è successo veramente nei mesi precedenti. Del perché il bel giocattolo viola improvvisamente si è rotto, e minaccia ora di andare in mille pezzi.

Prandelli in realtà ancora non ha seguito il consiglio neanche tanto sotto traccia della società, ancora non si è cercato un’altra squadra e cerca semmai di tenere insieme quella della quale fino a prova contraria è ancora il mister. «Lei pensi ad allenare la squadra», gli ha chiuso la bocca Diego Della Valle tempo addietro in occasione di una delle riunioni di staff societario. Prandelli lo ha preso in parola, pur consapevole che l’ambiente reggerà fin tanto che dura l’avventura di Champion’s, dopodiché facilmente andrà in mille pezzi.

Nello spogliatoio viola è entrato un male oscuro (almeno nelle cause) ma potenzialmente devastante. Le cessioni di Kuzmanovic e Jorgensen al mercato di gennaio non aiutano a rasserenare il clima, anche perché le sostituzioni (sostanzialmente Bolatti e Keirrison) sono più apparenti che reali. Tra l’argentino ed il brasiliano fanno a chi è più evanescente, ed al giovanissimo Llajic non si può chiedere di salvare una patria che non è la sua, un ambiente in cui ancora non ha avuto nemmeno il tempo di ambientarsi.

Il messaggio della società sembra chiaro: se non possiamo fare i grandi investimenti (in quel momento il clima con il Comune di Firenze resta infatti teso), non facciamo nemmeno i piccoli, ed il mercato della Fiorentina vivrà di autofinanziamento. La testa dei Della Valle in quel momento è a Castello, non a Campo di Marte.

Come spesso succede in questi casi, piove subito sul bagnato e scoppia prontamente la grana Mutu. Il rumeno è risultato positivo ai controlli antidoping, dopo la partita con il Bari che ha seguito quella di Siena e nella quale – come a Siena – è stato tra l’altro determinante. La sostanza assunta riscontratagli è la sibutramina, uno stimolante che annulla gli effetti della fame. E’ una di quelle zone d’ombra della medicina e della giustizia sportiva, che aggiornano continuamente gli elenchi delle sostanze ammesse e proibite senza fare mai veramente chiarezza su cosa è doping e cosa non lo è. La Juventus ha difeso Fabio Cannavaro in un caso analogo fino a farlo assolvere, la Fiorentina – distratta forse da altro in quel momento – accetta supinamente il verdetto della commissione antidoping del C.O.N.I. che si traduce in una squalifica per nove mesi da parte della Disciplinare.

Una Fiorentina che sta in piedi per forza di nervi si vede privare d’improvviso della sua arma migliore. Non c’è da meravigliarsi se da quel punto in poi infila una striscia negativa di partite che alla fine del campionato assommeranno ben 17 sconfitte, relegando la squadra viola all’undicesimo posto in campionato e negandole la qualificazione alla quinta Champion’s consecutiva sbandierata dalla società come uno degli obbiettivi stagionali.

Manuela Righini

Manuela Righini

Quelli che si avviano alla fine dell’inverno sono i giorni in cui Manuela Righini, prima donna giornalista sportiva della storia d’Italia e decana dei giornalisti fiorentini, sta combattendo la battaglia disperata contro il male che se la porterà via nel giugno successivo. L’ultimo campionato viola della sua vita a cui le tocca di assistere si sta avvitando su se stesso e andando verso la rovina. La Righini, commentando vicende poco più comprensibili a lei di quanto in quel momento lo siano all’intera opinione pubblica cittadina, prende posizione dichiarando: «La nostra unica garanzia è Cesare Prandelli».

E’ uno schiaffo non da poco in faccia ad una società che in quel momento, a prescindere da quali siano le sue ragioni e dalla loro eventuale bontà, sente fortemente la mancanza di una comunicatrice come Silvia Berti, perché quelle ragioni non sa proprio come farle presenti e farle valere di fronte ad una città che anch’essa pare sospesa in attesa del risultato che le sta più a cuore: quello di Monaco di Baviera.

Tom Henning Ovrebo

La Fiorentina, che ha limitato i danni a San Siro contro l’Inter perdendo soltanto 1-0 la semifinale di andata di Coppa Italia, parte per Monaco di Baviera il 17 febbraio 2010. La squadra bavarese appare in quel momento un avversario formidabile, pur non annoverando più tra le proprie file Luca Toni, ceduto in prestito alla Roma dopo il suo problematico recupero da una serie di infortuni. Ma l’attacco del Bayern si compone di Klose, Ribery, Robben. Nomi che mettono il gelo nelle vene.

Eppure, la Fiorentina decimata da squalifiche e cessioni di mercato fa match pari con i campioni tedeschi. Segna Robben su rigore alla fine del primo tempo, pareggia subito ad avvio di ripresa Per Koldrup. Da quel momento i viola mettono paura ai bavaresi fino alla fine di una partita per la quale il pareggio sembra un risultato più stretto per gli ospiti che per i padroni di casa. L’Allianz Arena trema, temendo di fare la fine di Anfield Road. La Fiorentina pare sul punto di scrivere un’altra pagina di grande storia.

Ma l’avversario principale dei viola quella sera ha la giacchetta nera, e non è tedesco ma norvegese. Si chiama Tom Henning Øvrebø, è una vecchia conoscenza del calcio italiano (all’Europeo 2008 durante Italia – Romania ne ha combinate di cotte e di crude) e anche a Monaco ha cercato di fare danni alla squadra italiana espellendo Gobbi per troppa severità ed ignorando un fallaccio di Klose su Felipe che avrebbe quantomeno meritato la stessa sanzione. Klose rimane invece in campo, e quando all’89° riceve un cross in posizione di fuorigioco di almeno cinque metri e mette dentro il gol del 2-1 per i tedeschi nessuno, nemmeno la stampa tedesca, vuole credere che l’arbitro non lo annulli. Invece lo convalida e manda a casa la Fiorentina con la più grossa ingiustizia sportiva di sempre ed un compito proibitivo per il ritorno. Platini se la ride in tribuna, beato lui. Gli uomini della società viola sputano fuoco e fiamme con i funzionari UEFA, ma non c’è nulla da fare. Ride anche Rummenigge, consapevole che il Byron Moreno norvegese gli ha tolto dal fuoco castagne bollentissime.

Quindici giorni dopo la Fiorentina gioca una grande partita portandosi fin sul 3-1, il Franchi sarebbe pronto ad esplodere, ma nel finale Robben gela tutti accorciando le distanze e qualificando il Bayern. Che arriverà poi fino alla finale (provocando altre contestazioni da parte degli avversari, in primis quelle del Manchester United), aumentando a dismisura i rimpianti e le recriminazioni viola.

Ci rimane la semifinale di ritorno di Coppa Italia. Nel giro di quattro giorni la Fiorentina affronta l’Inter due volte, in campionato e coppa. Paradossalmente, il mister e i giocatori sembra che puntino più sul turno di campionato, in cui riescono a bloccare i campioni d’Italia sul 2-2, che sulla Coppa, giocata in modo abulico e conclusa da un gol di Eto’o che manda i nerazzurri verso il triplete, e la Fiorentina verso il suo destino.

Sfumato l’ultimo obbiettivo, salta il coperchio del vaso di Pandora. Diego Della Valle e Cesare Prandelli possono finalmente azzannarsi in pubblico. Il mister fa capire che il suo ciclo a Firenze è finito, e a suo dire non per colpa sua. Il patron sbotta dichiarando ai giornali: Prandelli dica cosa vuole fare!

Firenze assiste a questi scambi come a quelli di una durissima partita di tennis da fondo campo, con i contendenti che cercano l’errore dell’avversario piuttosto che il punto vincente. Alla fine, quando la diatriba arriva in piazza, non può aver luogo che una piazzata. E così si assiste ad un imprenditore di fama internazionale, Diego della Valle, che si ferma al Bar Stadio a discutere con i tifosi per spiegare le sue ragioni, per dire che è Prandelli in torto, a non dire che cosa vuol fare veramente, a tenere la Fiorentina sulle spine. Sarà anche l’ultima volta, in pratica, che Diego Della Valle e Firenze si mescoleranno, perché da allora il patron viola ci passerà soltanto di sfuggita, per brevi apparizioni. Il feeling di DDV con la Fiorentina e quello che rappresenta finisce in quei giorni di primavera del 2010. Dopodiché per lui resta solo un investimento da salvaguardare, e nulla più.

Prandelli ribadisce dalla sua parte che lui non ha da far sapere nulla, non si è cercato altre squadre, non capisce perché questa squadra che allena debba essere mandata in malora. E riesce a tirare dalla sua parte la maggioranza dei tifosi. Ma è una situazione ormai compromessa. A maggio Marcello Lippi, tornato sulla panchina della Nazionale per difendere il titolo di campione del mondo in Sudafrica, annuncia che comunque non vi resterà oltre la durata del torneo mondiale. Serve un nuovo CT, la Federcalcio chiede a Della Valle se può contattare Prandelli. Della Valle risponde che Prandelli è libero. Prandelli risponde che in viola il suo ciclo si è concluso, e che accetta l’azzurro.

Cicli che si chiudono, cicli che si aprono. Quando a ottobre la Nazionale viene a Firenze a giocare una eliminatoria degli Europei 2012, Andrea Della Valle saluta il commissario tecnico Cesare Prandelli, dicendogli: «Hai visto? Un giorno mi ringrazierai».

Freddamente, il CT gli risponde: «Se vuoi, posso farlo anche adesso».

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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