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La fine dell’Unione

Il primo ministro ungherese Viktor Orban

STRASBURGO – Il Parlamento dell’Unione Europea fissa la data di scadenza dell’Unione stessa al momento di votare sulle sanzioni da comminare all’Ungheria per la mancata accoglienza ai migranti/profughi. Procedura capziosa e inutile, per arrivare a tanto necessiterebbe a questo punto che il Consiglio dei Ministri europei la accogliesse all’unanimità. La Polonia ha già fatto sapere che voterà contro, il resto è – come tutto ciò che nasce ultimamente a sinistra – superfluo.

Ha un bel dire la UE che le sanzioni all’Ungheria sono motivate dal rifiuto di costei dello stato di diritto. Quale diritto? Quello del più forte che vuole venire in casa tua e darti una spallata per farti andare più in là? Anche Jean-Claude Juncker nel discorso sullo Stato dell’Unione dice la sua, l’Europa non può essere che accogliente, ogni riferimento a Matteo Salvini e Viktor Orban è assolutamente casuale. L’Europa di Juncker ha i giorni contati, come li hanno i deputati del suo Parlamento. Che, è verosimile, a maggio prossimo andranno tutti a casa. Qualcuno inneggia all’arresto dell’onda nera. Da ambo le parti si teme un’onda nera, soltanto che quella degli intellettuali radical chic che fanno gli accoglienti con le case e i redditi degli altri a questo punto è una posizione drasticamente e ridicolmente minoritaria. Prova ne sia che i media stanno smettendo anche la consuetudine dei sondaggi, troppo deprimente nei risultati per chi sognava di asfaltare il mediterraneo e renderlo simile all’Africa.

Il rpesidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker

Il rpesidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker

La parte maggioritaria del continente si accinge a certificare che a Visegrad non si sono riuniti i partiti neonazisti europei, ma soltanto quei governi che interpretando correttamente il sentimento dei loro popoli intendono far sì che l’accoglienza rientri in un contesto di legalità e di ragionevolezza economica, anziché diventare la farsa cialtronesca e antigiuridica che si configurava lasciando la questione in mano alle ONG, agli scafisti e a quel paio di governi (guarda caso il francese e il tedesco) che da quando esistono hanno sempre scaricato i problemi di questo continente su quelli vicini e sulle relative popolazioni.

A Ventimiglia, una buona metà dei segregati della Diciotti scappati nel frattempo alla Caritas e al Vaticano che non hanno mai pensato nemmeno per cinque minuti di ospitarli seriamente, non fosse altro che per creare imbarazzo all’odiato Salvini, aspettano che il buonista Macron dia loro il visto di ingresso. Più facile che la Francia rivinca il mondiale di calcio nel 2022. Quanto alla Merkel, aspetta il colpo di grazia dopo dodici anni di politica più scellerata di quella del Kaiser, ed è molto probabile che sia l’Ungheria, con il sostegno dell’Italia e di Visegrad, a darglielo.

Nel frattempo, la pronosticata avanzata dei socialdemocratici svedesi rimane nei sogni e nelle marchette dei quotidiani e dei telegiornali di sinistra. Il bel risultato del battage pubblicitario dei progressisti europei con i redditi degli altri è stato di far sì che in Scandinavia si vada affermando una destra dichiaratamente neonazista. Qualche intelletto del calibro di un Maurizio Martina o di una Alessia Morani un giorno potrebbe ritrovarsi a rimpiangere il populismo del nostro governo gialloverde.

Dio non voglia, ma nella sua storia quando l’Europa si è consegnata all’imbecillità – di origine cattolica, comunista o di qualunque altro tipo, non importa – ne ha sempre pagato il conto.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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