1991. Renzo Arbore è un campione carico di trofei, un generale carico di medaglie. Ha soltanto 50 anni, e dalla vita (professionale) ha già ottenuto tutto. Ha reinventato la radio con l’amico Gianni Boncompagni, costringendo generazioni di scolari a trascorrere l’ultima ora di lezione incollati alla radiolina a seguire Alto Gradimento, manco fosse Radio Londra. Una trasmissione di splendide idiozie che ancora fa scuola.
Ha reinventato la televisione buttando lì due o tre trasmissioni all’apparenza satiriche, di presa in giro di generi (1976, L’altra domenica, che vanifica in tempo reale la seriosità dei contenitori televisivi in onda in concomitanza sulle altre reti; 1985, i talk show amorevolmente ridicolizzati da Quelli della Notte; 1988, la TV commerciale inesorabilmente presa per i fondelli da Indietro Tutta).
Ha lanciato tormentoni, successi musicali, star televisive e cinematografiche che avranno gran succeso, vinceranno premi e dovranno tutto a lui, anche quando lui sarà per loro solo un ricordo di gioventù. All’inizio degli anni Novanta, ha capito che – come un vecchio fuoriclasse dello sport – ha vinto tutto, e più in alto di così non può arrivare. Lo dice chiaramente, e a chi gli chiede espressamente di ripetere i suoi successi in ulteriori stagioni, risponde come Paganini.
Ha altri sogni nel cassetto. Sogni della sua gioventù. E’ ora di passare a fare altro, e di tirarli fuori. L’ex giovane studente capitato a Napoli dalla natìa Foggia sogna da decenni di rinverdire il suo primo amore, la canzone napoletana. Arrivato alla maturità, ha le idee e le conoscenze giuste. L’Orchestra Italiana è uno sviluppo di quella che ha accompagnato le sue serate a Quelli della Notte e ad Indietro Tutta. Il suo sound è quello – geniale – messo a punto contaminando la tradizione napoletana con altri generi solo in apparenza distanti, in realtà fratelli separati alla nascita: jazz, swing, blues.
E’ un successone clamoroso, impreziosito dalla presenza scenica e dal talento musicale di grandi artisti. L’elenco sarebbe lungo, facciamo i nomi solo dei cantanti, le cui voci sono così belle da toccare corde profonde: Eddy Napoli e Francesca Schiavo. Due ragazzi che come aprono bocca mettono i brividi.
Ne escono fuori spettacoli e tournée che al giorno d’oggi ancora non conoscono fine, e tre CD che raccolgono la produzione dell’Orchestra, riproponendo al mondo intero una Napoli punto e a capo che in realtà è un ponte musicale tra passato e futuro. Tra grande musica e grande cultura dei secoli scorsi e innovazione che se possibile migliora, senza essere irriverente, capolavori immortali.
Ne scegliamo uno. Ma potrebbero essere tanti, e contravvenendo alla prima regola di Arbore: repetita non juvant, ne riproporremo senza dubbio altri in questa rubrica.
Nun me lassà…. nun darme sto tormento…..
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