Musica

Where Have All the Flowers Gone?

Joan Baez

Quando John Kennedy fu abbattuto dagli spari di Dallas, l’America aveva già da un po’ di tempo cominciato a piangere i suoi morti in pubblico, senza il conforto stavolta di una giusta causa o di un sogno da perseguire ad occhi aperti perché scritto nel destino manifesto.

JFK fu il più famoso, se non il più importante, dei fiori recisi e gettati sulla tomba del sogno americano, di quell’innocenza perduta di cui gli Stati Uniti sono orfani da cinquant’anni a questa parte. Nel 1963, mentre la sua salma rientrava da Dallas a bordo dell’Air Force One e Lyndon Johnson giurava come 36° Presidente degli U.S.A., i corpi senza vita di G.I. che avevano raggiunto a malapena i vent’anni avevano cominciato a tornare a casa a loro volta racchiusi in quei sacchi neri in cui erano stati messi laggiù, nel Vietnam in cui l’esercito americano avrebbe dovuto trattenersi poco, giusto il tempo di addestrare i colleghi sudvietnamiti a resistere ai vietcong del nord.

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JFK

Non sapremo mai se la vita di Kennedy, se fosse stata risparmiata, avrebbe contribuito a risparmiare quella dei 58.000 suoi connazionali che rientrarono in patria in quei sacchi, per essere sepolti al Cimitero Militare di Arlington. I fiori continuarono a venire recisi poco dopo il loro sbocciare alla vita. La canzone che Peter Seeger aveva composto pochi anni prima in odio a quella e a tutte le guerre continuò ad accompagnare con le sue note lamentose e i suoi versi sconfortati tutti gli anni sessanta americani, fino al consumarsi della tragedia nazionale del Vietnam.

Seeger faceva parte della prima generazione di folksingers statunitensi, assieme a Woodrow Wilson Guthrie detto Woody. Erano due marxisti americani, la loro visione resistette alle attenzioni dell’F.B.I. ma non al XX° Congresso del PCUS, quello in cui Nikita Kruscev raccontò al mondo cos’era successo nel paradiso dei lavoratori durante la dittatura di Stalin.

L’autore di If I had a hammer e di We shall overcome stava giusto componendo, in quei giorni in cui a Mosca si metteva fine ad un mito, la sua ballata destinata ad accompagnare i suoi compatrioti verso la consapevolezza della fine di un altro mito: quello che l’America stesse vivendo il suo secolo, invincibile in guerra, moralmente giusta in pace.

Pete Seeger

Pete Seeger

Where have all the flowers gone, Dove sono finiti tutti i fiori? veniva da lontano, dai versi in latino medioevale di Severino Boezio e dal capolavoro della letteratura di quella Russia divenuta allora nemica, Il placido Don di Mikhail Sholokhov. Ubi sunt, Dove sono quelli che furono prima di noi? Destinati a diventare uno degli inni della goliardia studentesca (Gaudeamus igitur), mentre la canzone veniva consegnata come elegia sofferente alla generazione di folksingers successiva, quella di Bob Dylan, di Arlo Guthrie figlio di Woody, di Joan Baez.

E’ proprio nella versione di Joanna Chandos Baez, l’usignolo di Woodstock, che ve la proponiamo. Siamo nel 1994, la signora del folk nordamericano è piacevolmente attempata e prima di intonare la ballata dedica la sua esibizione al lì presente anziano e maestoso maestro.

«Fin da quando ero giovane e imparavo le mie prime canzoni folk in cerca di un significato per la mia vita, sei stato tu a mostrarmi come un esempio vivente che era possibile essere un artista di prima categoria, e nello stesso tempo vivere una vita di principi, parlare al cuore della gente ed affrontarne le conseguenze. Te ne sarò grata per sempre».

Joan Baez, 1994, Kennedy Center Honors, Tribute to Peter Seeger – Where have all the flowers gone.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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