La sua fotografia mentre faceva il saluto militare al sarcofago del padre avvolto dalla bandiera americana durante i funerali di stato a Washington il 25 novembre 1963, tre giorni dopo l’assassinio di Dallas e nel giorno del suo terzo compleanno, avevano commosso il mondo.
Dopodiché John jr. era andato in archivio, insieme a tutto quello che la sua famiglia aveva rappresentato nei primi anni sessanta. Un giornalista cialtrone (ce n’erano anche allora, e perfino nella patria del giornalismo moderno, gli Stati Uniti d’America) l’aveva ribattezzato John John, credendo che questo fosse il nomignolo affibbiatogli da quel padre ai cui piedi l’aveva visto giocare nella Sala Ovale della Casa Bianca (in realtà JFK si era limitato a richiamare il figlio due volte in rapida successione, come capita a tutti i genitori in qualche momento d’ansia o di nervosismo)
John era soltanto jr., e sopravvissuto a quel trauma in mondovisione si era accinto a vivere la propria vita, così come gli altri Kennedy continuavano a vivere la loro sbalzati via da Camelot da una tragedia su cui l’America si sarebbe interrogata a lungo, senza risposta.
A otto anni avrebbe perso anche lo zio Robert, che gli aveva fatto da padre dopo la morte del fratello maggiore. Quello stesso anno, la madre Jacqueline Bouvier vedova Kennedy si sarebbe risposata con Aristoteles Onassis, chiacchieratissimo miliardario greco.
Come ogni donna a cui la sorte ha riservato il ruolo di First Lady, Jackie aveva vissuto gli anni da moglie del Presidente con più sofferenza che gratificazione, e tutti sanno perché. Una coppia pubblica non può vivere in privato né le sue gioie né le sue difficoltà. Come Lady Diana trent’anni dopo, avrebbe inteso suo diritto rifarsi una vita con chi le pareva. Come la Principessa Triste, avrebbe scoperto che un popolo che si identificava ormai con lei quanto e più che con le sue istituzioni legali non glielo avrebbe né consentito né perdonato.
John jr. era sopravvissuto a tutto questo, aveva scelto e percorso la sua strada. Dall’Upper East Side di Manhattan alla Andover School di Boston, alla Brown University di Providence, Rhode Island, alla New York University School of Law, il cursus honorum del giovane Kennedy aveva fatto onore a quello del padre.
Era facile prevedergli un futuro politico altrettanto all’altezza. Nel 1988 la convention del Partito Democratico ad Atlanta si accorse di lui. Dal suo discorso, gli astanti compresero che non stavano ascoltando soltanto il figlio del Presidente ucciso a Dallas, il bambino del saluto militare nel frattempo cresciuto.
Negli anni successivi John jr. si dedicò alla sua professione di avvocato, ed alla vita privata. Al termine di una breve ma intensa stagione mondana (se il padre aveva nel suo palmarès Marylin Monroe, lui poteva vantare Madonna e Daryl Hannah), sposò Carolyn Bessette rompendo la tradizione di famiglia: non a Martha’s Wineyard nella residenza storica dei Kennedy in Massachussets, ma a Cucumberland Island in Georgia.
Un giorno sapevano tutti che la storia avrebbe bussato di nuovo alla sua porta. La presidenza di Bill Clinton si stava deteriorando in mezzo agli scandali causati dalla sua relazione impropria con Monica Lewinski, e il Partito Democratico presto avrebbe avuto bisogno di una figura carismatica a cui rivolgersi per arginare la rivincita dei Repubblicani.
Sarebbe toccato di nuovo ad un Kennedy, dopo il padre e lo zio? Mario Puzo aveva a suo tempo scritto un thriller fantapolitico, Il quarto K., in cui ipotizzava l’America alle prese con una nuova candidatura della sua famiglia più importante e più tragicamente destinata. Le cose sarebbero andate in modo assai più prosaico.
John jr. era un pilota civile provetto, aveva alle spalle più di 300 ore di volo quando la sera del 16 luglio 1999 salì a bordo del proprio Piper Saratoga II HP, malgrado l’oscurità e le condizioni atmosferiche lo sconsigliassero. Doveva raggiungere Martha’s Wineyard per il matrimonio della cugina Rory, con lui viaggiavano la moglie Carolyn e la cognata Lauren.
Il matrimonio dovette essere rimandato, perché gli ospiti più attesi non arrivarono mai. Con lo sprezzo del pericolo tipico dei maschi della sua famiglia, con il coraggio che aveva ereditato da suo padre, John jr. aveva ignorato le previsioni meteo, si era messo alla cloche del Piper ed era andato incontro al destino suo e delle donne che trasportava.
Per ordine del Presidente Clinton, suo amico personale, la marina militare statunitense partecipò alle ricerche dei corpi del rampollo di casa Kennedy e di sua moglie. Recuperati, ad essi fu riservata una prima cerimonia funebre a bordo della USS Briscoe. E poi di nuovo funerali di stato a Washington, con la bandiera a mezz’asta sulla Casa Bianca e nessuno che stavolta, adulto o bambino, se la sentisse di ripetere quel saluto militare di 36 anni prima.
Il discorso funebre fu tenuto dall’ultimo sopravvissuto della generazione precedente, il senatore Edward Kennedy detto Ted, il terzo Kennedy che era stato un angelo del fango durante l’alluvione di Firenze del 1966 e pochi anni dopo a Chappaquiddick aveva sperimentato personalmente la maledizione di famiglia. Una maledizione che gli costò sul nascere la sua carriera politica, e che costò la vita alla signorina Mary Jo Kopechne, l’altra vittima dell’incidente sul Dyke Bridge con cui probabilmente Ted aveva una relazione, Una maledizione che anche nel suo caso si sospettò a lungo fosse stata provocata da mani umane.
Ted parlò in memoria funebre del nipote John jr. il 23 luglio 1999. Le sue parole furono sintetiche, ma di grande efficacia: «Speravamo che questo John Kennedy si sarebbe pettinato i capelli quando sarebbero diventati grigi, con la sua adorata Carolyn al suo fianco. Ma, come suo padre, gli si è dato tutto tranne una lunga vita».
Mille giorni era durata la permanenza di JFK alla Casa Bianca, mille giorni il matrimonio di suo figlio con Carolyn Bessette, con la promessa di quella che avrebbe potuto essere una loro vita pubblica insieme. I Kennedy risarcirono economicamente i Bessette, sulla base di uno di quei presupposti legali che rendono tanto assurda la giustizia nel mondo moderno: se avevano ragione i complottisti, anche dietro la morte del secondo JFK non c’era una imprudenza (come aveva stabilito la National Transportation Safety Board) ma piuttosto un nuovo attentato ordito da chi non voleva una nuova speranza democratica, una nuova frontiera kennediana alla Casa Bianca negli anni duemila; in tal caso, la Bessette era entrata in un gioco più grande di lei e meritava un indennizzo.
Per le spoglie mortali dei due coniugi, che si erano amati sicuramente più di quanto avrebbero fatto le rispettive famiglie dopo la loro scomparsa, non ci fu come destinazione ultima Arlington, dove riposa JFK accanto alla moglie Jackie nel frattempo perdonata dal popolo americano. Le loro ceneri furono disperse nell’Oceano. Dove riposano insieme alla spiegazione del mistero dei loro ultimi momenti di vita.
Come la foto di quel bambino biondo del 1963, la foto di quell’uomo del 1999 non ancora brizzolato abbracciato alla moglie è un’altra immagine che il mondo non potrà dimenticare facilmente.
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