Ombre Rosse

A’ la prochaine, Marine

«Anche stavolta l’abbiamo scampata bella», sospira il compagno di base del PD. Il riferimento non è tanto alle elezioni comunali di Firenze, ridotte sempre più ormai ad una questione tra bottegai, dal peso politico marginale di una città che non si rassegna a capire fino dove arriva lo sprofondo della sua decadenza e si limita a gestire villanamente grandi e piccoli affari. Quanto alle elezioni legislative francesi, nelle quali c’era – e c’é – in ballo ben altro.

La vulgata di sinistra berciava a proposito del rischio di un nuovo fascismo in procinto di insediarsi a Parigi, e da lì – visto che buona parte della storia d’Europa prende ancora l’abbrivio dalla capitale francese – nel resto d’Europa. La vittoria del Front National di Marine Le Pen in realtà è rimandata dal 2017, con le buone o con le cattive. Questa ultima andata in archivio domenica scorsa è la terza o quarta volta che la legge elettorale transalpina stravolge le indicazioni del popolo francese, un po’ come succede del resto da noi.

Il sistema maggioritario che credevamo trenta anni fa essere la soluzione di tutti i problemi in realtà, se mal gestito, li acuisce. Nessuno dei tre schieramenti usciti dal voto, il Front Populaire in cui si è organizzata la gauche, la sinistra, il rassemblement centrista del presidente Macron e quello di destra del Front National di Marine Le Pen, raggiunge da solo la maggioranza assoluta, né pare in grado di potersi alleare efficacemente con uno degli altri per raggiungerla.

Per la legge elettorale francese, non si può tornare a votare prima di un anno. Risultato: Francia ingovernabile e Quinta Repubblica che retrocede alla Quarta. Una crisi all’italiana senza avere gli strumenti che ha l’Italia, così giudicano la situazione i media francesi facendo riferimento alle nostre repubbliche, tutte accomunate dalla fatale predilezione per i governi di coalizione, in cui in sostanza tutte le forze si annullano l’un con l’altra e nessuna raggiunge il predominio, spauracchio del nostro sistema politico da un secolo a questa parte.

Giorgia Meloni ha potuto vincere due anni fa perché ha sostanzialmente promesso di non mettere in discussione i cardini del sistema attuale, sia in Italia che in Europa. Tutto il contrario di quanto prometteva e promette invece madame Le Pen.

E’ una crisi che viene da lontano. I francesi quando parlano di fascismo ne parlano in linea teorica, non avendolo mai sperimentato se non durante il regime di Vichy e l’occupazione tedesca nel 1940-44. Hanno più dimestichezza con il giacobinismo ed il bonapartismo, con le piazze e le barricate piuttosto che con i giochi assembleari, sempre più o meno finiti male

I problemi reali della Francia sono altri, così come del resto d’Europa. La gauche francese, come del resto quella italiana, equivocano volutamente sulla necessità espressa dalle rispettive popolazioni di addivenire ad una soluzione del problemi ormai esasperanti ed esasperati dell’immigrazione clandestina, dell’economia che stenta e della collocazione in una Unione Europea che ormai sta stretta a tutti, perfino a chi ne ha beneficiato finora, cioé la Germania.

In altre epoche fu dato del fascista perfino all’eroe nazionale Charles De Gaulle, colpevole di avere reso il suo paese più governabile e di averlo tirato fuori con pochi danni dalla guerra d’Algeria e dalla decolonizzazione. La Quarta Repubblica era stata del resto come la Prima italiana: ingestibile. Il Generale ignorò le critiche pretestuose e rese un ultimo servigio importante al suo paese, riformando la Costituzione in senso presidenziale e arginando tra l’altro anche quel Front National diretto dal vecchio legionario Jean-Marie Le Pen, all’epoca simpatizzante del nostro Movimento Sociale Italiano.

Immaginare oggi tuttavia sua figlia Marine come ducessa di un regime fascista a Parigi è ridicolo come immaginare la Meloni diventarlo a Roma. Ma la sinistra ormai porta a casa qualche risultato solo se si rende antagonista di presunti spauracchi di una destra che non esiste più, come non esiste più il mondo che l’aveva generata. Più verosimile e temibile piuttosto perdere posizioni di potere vedendosi sfuggire dalle mani l’Europa di Ursula, che tanto ha fruttato all’Asse Parigi-Berlino.

La sinistra inoltre vince se il sistema elettorale è addomesticato. Con il ballottaggio basato per di più sull’esistenza di collegi elettorali squilibrati, il popolo si esprime una domenica e quella dopo l’establishment si è organizzato per ignorarlo.

Tra due anni ci sono le elezioni presidenziali a Parigi. Difficile che la gauche possa ripetere il giochino, a meno di non alienare al sistema una fetta consistente di cittadini. In tal caso, si sa, i francesi non sono gli italiani.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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