Attualità

A proposito della trattativa Stato – Mafia

La trattativa Stato – Mafia, il jolly boccalone di certa politica italiana degli ultimi trent’anni, va considerata su due piani. Il primo è quello delle istituzioni politiche e giudiziarie, secondo cui come da recente sentenza semplicemente non esiste.
La storia repubblicana si divide in due parti: quella in cui era la Mafia a non esistere, e quella in cui a non esistere è stato lo Stato che con essa qualcuno dice che si è messo d’accordo.
L’altro piano è quello dei Carabinieri, che – sia detto a loro imperituro onore e benemerenza – nel 1992 di cui si parla erano rimasti l’unica istituzione degna e capace di far fronte al nemico più letale che lo Stato italiano si era trovato a fronteggiare nella sua storia: Cosa Nostra.
Ve lo ricordate il 1992, voi che c’eravate? Quella voragine al bivio di Capaci che nessuno si sentiva di avvicinare, anche solo per riasfaltare? Quella voragine in Via d’Amelio a Palermo che nessuno capiva come spiegare, giustificare, accettare?
Lo stato italiano di cui si ciancia adesso era quello. Una comunità nazionale in ginocchio, capace soltanto di piangere le lacrime di Rosaria Schifani, ma non di darle giustizia. A difenderne decenza e onore era rimasta soltanto la CRIMOR. Un pugno di coraggiosi agli ordini del Comandante Ultimo, e supervisionati dal colonnello dei Carabinieri Mario Mori. Quello che secondo una massa di gente che adesso parla giusto perché ha un account Facebook io dovrei condannare perché ha trattato con la Mafia.
Mori e De Caprio, il comandante Ultimo, mi portarono Totò Riina in catene, e convinsero il suo successore Bernardo Provenzano (non meno feroce, ma pericolosamente assai più freddo) a tenere un profilo più basso, quanto bastava per non far ammazzare più la gente nel mezzo di strada, in pieno giorno, in piena legalità repubblicana. Qualunque strategia o tattica abbiano adottato i Carabinieri e la Digos nel frattempo per combattere i nemici del genere umano, i mafiosi, mi sta bene. E’ STATA BEN FATTA E BEN ATTUATA.
TotòRiina210924-001
Adesso la trattativa Stato -. Mafia è strumentalizzata per far fuori Giorgio Napolitano o il suo partito di riferimento, oppure – dall’altra parte – per beatificarli e dire che come al solito la Mafia – quella che sappiamo tutti che esiste eccome – in realtà non esiste. L’unico vero mafioso era lo stalliere di Berlusconi.
Considero Napolitano, così come il suo successore Sergio Mattarella, le persone meno degne tra quante si sono insediate al Quirinale, o comunque in una qualsiasi istituzione repubblicana. Ma da qui a fare di ogni erba un fascio per toglierli di mezzo ce ne corre, almeno per chi scrive, che ricorda quel 1992 come fosse ora. Il Presidente allora era Oscar Luigi Scalfaro, e dovette ringraziare i Carabinieri se quel giorno uscì illeso dalla cattedrale di Palermo.
Che Napolitano, così come Mattarella, vadano in contro al loro destino, in questa e nella prossima vita. Ma nessuno mi tocchi il comandante Mori, o il Comandante De Caprio. O gli uomini della CRIMOR, e quelli delle scorte sterminate dagli agguati mafiosi, e gli altri servitori dello Stato abbattuti i cui nomi campeggiano sulle lapidi che la Repubblica Italiana non lesina, a differenza della giustizia.
Quegli uomini hanno difeso il nostro onore, il nostro nome, la nostra stessa sopravvivenza. Quando si parla di trattativa Stato – Mafia, si parla di loro, non dell’abbietto Napolitano, né dell’abbietto Mattarella. Gente che Sciascia avrebbe liquidato con poche parole da par suo.
Io non posseggo le parole di Leonardo Sciascia. Ma posseggo la memoria. Noi parliamo del comandante Ultimo, e dell’uomo che gli dette l’incarico di arrestare Totò Riina, il Capo dei Capi. Di tutto il resto ne parli pure qualche giornale che fiancheggia la Cupola di adesso, o i suoi referenti politici.
Io nel 1992 c’ero. La sentenza di ieri per me non vale niente. Valgono quei nomi elencati sulle lapidi e sugli ordini di servizio dei Carabinieri. Loro sono andati a sentenza, ci sono andati da un pezzo, ed è l’unica che non ha gradi superiori di giudizio.
Per me hanno vinto loro. E se ancora non mi schifa chiamarmi italiano, lo devo a loro soltanto.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

Lascia un commento