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Addio a Benedetto, ultimo sorriso della Chiesa

Joseph Ratzinger

A San Paolo la gente si mette in fila per dire addio al suo compagno di giochi prediletto. Nelle stesse ore a San Pietro altra gente fa lo stesso. Il paragone non è blasfemo. Pelé toccava la palla e innescava sogni come nessun altro. Jozeph Ratzinger toccava i sentimenti, pur con la sua apparenza teutonica che del sentimentalismo sembra essere agli antipodi per definizione. In realtà, il tedesco con le parole e con i concetti ci sapeva fare come Pelé con il pallone da calcio. E li restituiva alla gente facendoglieli sentire più umani, più vicini, più praticabili.

Non sapremo mai veramente perché Papa Benedetto XVI, che aveva preso il nome del primo e forse più grande dei riformatori della Chiesa – quel San Benedetto autore della più semplice e più efficace delle regole, ora et labora, prega e lavora, non c’é altro precetto da seguire in nome di Dio -, avrebbe finito per essere accostato a colui che fece il gran rifiuto. Quel Celestino V che nella storia della Chiesa è ricordato non proprio come il più coraggioso e carismatico dei successori di Pietro.

Forse davvero Ratzinger sentiva semplicemente le sue energie fisiche agli sgoccioli, nel 2013. Dopo aver vissuto da vicino il calvario umano di Giovanni Paolo II, la paura di ripeterne l’agonia può aver influito sulla sua scelta. Può avervi influito anche l’umana paura di doversi confrontare con l’agonia di quella stessa Chiesa a cui aveva dedicato la vita.

Woytila era stato un uomo di grande carisma, lui era stato il suo apparentemente schivo braccio destro, il legislatore dopo l’innovatore, come Paolo VI lo era stato dopo Giovanni XXIII. Ma la Chiesa del 2013, a suo stesso dire, era piena di sporcizia molto più che quella del 1963. Cinquant’anni dopo, gli scandali finanziari, la pedofilia, la contiguità con certa criminalità organizzata soffocavano ormai qualunque altra iniziativa e spirito meritori della religione cattolica e di chi doveva annunciarla e predicarla.

Non sappiamo chi preparò l’ultima bevanda a Papa Luciani, né chi armò veramente la pistola che esplose i colpi contro Papa Woytila. Non sappiamo chi rovinò la vita a Emanuela Orlandi ed a Mirella Gregori, e chissà a quante altre ed altri.

Dal punto di vista della trasparenza la Chiesa di Cristo era rimasta ferma a Pio XII, lo ieratico, inflessibile, imperturbabile Papa Re. A quella Chiesa Ratzinger tuttavia voleva troppo bene per assisterne alla dissoluzione. La profezia di Nostradamus sulla fine del Cristianesimo sembrava sempre più laidamente vicina. Il Papa tedesco non voleva essere l’ultimo Papa, né forse, umanamente, desiderava più confrontarsi con le brutture – ed i pericoli – che il magistero papale gli imponevano tutti i giorni.

Meglio lasciare a qualcun altro, ancora nel pieno – allora – delle sue energie. Qualcuno che piuttosto che al Santo di Montecassino si richiamava a quello della Verna, Francesco, e prometteva – allora – di ripercorrerne le orme in termini di una rivoluzione travolgente che la Chiesa non poteva, non doveva, non voleva neanche provare ad arrestare.

Eppure, in quel sorriso che alla fine di febbraio 2013 andò a rinchiudersi nel Monastero Mater Ecclesiae nella zona più defilata del Vaticano, c’era molto di più. La religione, diceva Benedetto, non è un elenco di divieti e proibizioni. E’ un modo per farsi amico di Dio. Aveva fama di severissimo castigatore di costumi, Jozeph Ratzinger. In realtà è stato il primo a capire che la Chiesa deve prima o poi riavvicinarsi ed adeguarsi ai costumi ed ai bisogni della civiltà moderna, se vuole sopravvivere, non solo a Nostradamus.

Chi gli è successo sul soglio di Pietro, a prescindere dal giudizio sulla persona e sulla sua opera, non sembra ormai avere più energie di quante ne erano rimaste a lui, al Papa Emerito che da dieci anni incombeva invisibile ma sempre percettibile sulla scena alle sue spalle.

Il sorriso di Bergoglio è sempre parso più problematico di quello di Ratzinger. Ed alla Chiesa che si sono condivisi negli ultimi tempi resta comunque ben poco di cui sorridere. Tocca al Papa tedesco, l’ultimo dei Cavalieri Teutonici, andare per primo lassù a vedere se Celestino V era veramente un uomo troppo mite per la politica romana, o se non piuttosto lo preoccupasse la sinistra presenza attorno a sé di cardinali come quel Bonifacio VIII che fu – tragicamente – ben contento di prenderne il posto. Gente non poi molto dissimile da quella che si aggirava in Vaticano tra la fine del secolo ventesimo e l’inizio del ventunesimo.

Comunque sia andata, adesso il Papa Emerito Benedetto crediamo che sia finalmente in pace con se stesso.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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