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Addio alla Serenissima

Era, assieme al Sacro Romano Impero, l’istituzione politica più longeva d’Europa. Sopravvissuta al Mondo Antico, al Medioevo e a tutte le turbolenze dell’Età Moderna, fino a quel 17 ottobre 1797 in cui a Campoformio, alle porte di Udine, Napoleone Bonaparte e l’Impero Asburgico firmarono quel trattato che metteva fine alla sua storia millenaria e riconosceva la sua sottomissione alla corona imperiale d’Austria.
La storia romana ci racconta che le prime popolazioni giunte ad insediarsi nella laguna veneta risalivano all’invasione degli Unni di Attila. Le popolazioni di Aquileia e delle altre civitates romane cercavano scampo negli isolotti dove i barbari non potevano raggiungerle.
Venezia fu in principio sottomessa – sempre più soltanto nominalmente – all’Esarcato bizantino di Ravenna. Il Doge non era altro in origine che il Dux, comandante militare secondo la gerarchia prima romana e poi bizantina, appunto. La sua indipendenza, e con essa quella del territorio che progressivamente sarebbe stato l’entroterra della Repubblica Veneta, cominciò a prendere forma sotto i Longobardi, un popolo che non amava il mare e se ne teneva lontano.
Con l’arrivo dei Franchi, altro popolo che con il mare se la diceva poco, a partire dal IX° secolo la Repubblica di Venezia divenne di fatto e poi di diritto un soggetto politico indipendente. La capitale fu portata nell’isola imprendibile di Malamocco, e le navi venete cominciarono a stabilire la loro supremazia prima sull’Adriatico e poi sul Mediterraneo.
Nata come una filiazione della Costantinopoli imperiale, Venezia sviluppò in seguito istituzioni proprie che – per quanto complesse nella concezione e nel funzionamento – erano riconducibili ad una forma di governo repubblicana. L’unica sopravvissuta al Mondo Antico, la prima del Mondo Moderno.
Di essa, ormai conosciuta come Serenissima Repubblica di Venezia, Francesco Petrarca aveva scritto nel 1321: «(…) quale Città unico albergo ai giorni nostri di libertà, di giustizia, di pace, unico rifugio dei buoni e solo porto a cui, sbattute per ogni dove dalla tirannia e dalla guerra, possono riparare a salvezza le navi degli uomini che cercano di condurre tranquilla la vita (…) città ricca d’oro ma più di nominanza, potente di forze ma più di virtù, sopra saldi marmi fondata ma sopra più solide basi di civile concordia ferma ed immobile e, meglio che dal mare ond’è cinta, dalla prudente sapienza de’ figli suoi munita e fatta sicura.»
Tutto questo, e la sua grande storia millenaria, era finito a Campoformio grazie ad un tratto di penna vergato frettolosamente dal nuovo signore dell’Europa, il Bonaparte, che sbrigativamente si era disfatto di territori appena conquistati e per lui al momento privi di utilità, cedendoli per opportunismo tattico ai vecchi signori Asburgo che da secoli avevano bramato di stendere le loro mani sulla Laguna, i suoi possedimenti, le sue antiche e prestigiose istituzioni, malgrado da tempo le avessero creato una antagonista formidabile come Trieste.
Dopo Campoformio, Venezia visse per 69 anni sotto il dominio asburgico. Si ribellò nel 1848 con Daniele Manin, discendente della famiglia che aveva avuto l’onore di dare alla città l’ultimo Doge, Lodovico. La nuova repubblica durò un anno, finendo malamente come del resto tutta la Prima Guerra di Indipendenza. Il morbo infuria, il pan ci manca, sul ponte sventola bandiera bianca, avrebbe cantato mestamente il patriota compositore Arnaldo Fusinato nella Ultima ora di Venezia.
Rimase poi fuori dal gioco diplomatico che nel 1860 dette alla corona sabauda ed al nascente stato italiano il Lombardo ma non il Veneto. Fu riunita all’Italia soltanto nel 1866, dopo la Terza Guerra, quella che l’Italia combatté alleandosi a Bismarck. Un tedesco per scacciare altri tedeschi.
Nella foto in alto: l’Italia alla vigilia della discesa in Italia di Napoleone, con il territorio della Repubblica Veneta comprendente Veneto, Istria e Dalmazia.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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