L’avevamo ricordato poco tempo fa, nell’anniversario dell’uscita sugli schermi del cartone animato tratto dalla sua favola più celebre, La gabbianella e il gatto che le insegnò a volare.
Non immaginavamo che, come Kengah, la madre sfortunata della gabbianella poi adottata dal gatto Zorba, era arrivato agli ultimi battiti delle sue ali, sulle quali un tempo aveva fatto volare il mondo intero. Luis Sepùlveda è l’ultima vittima (per ora, purtroppo) e la più illustre della catastrofe che si chiama Covid19, e che come le macchie di petrolio nel porto di Amburgo che avevano atterrato Kengah ha stroncato la sua vita.
Aveva settant’anni, la maggior parte dei quali vissuti intensamente. Ne aveva solo ventiquattro quando il Cile dov’era nato fu travolto dal colpo di stato di Pinochet. L’11 settembre del 1973 lui si trovava alla Moneda, il palazzo presidenziale di Salvador Allende, nella cui guardia personale si era arruolato come giovane militante di Unidad Popular. Arrestato e torturato dopo la morte del presidente, il suo destino sembrava segnato come quello di tanti desaparecidos cileni e sudamericani.
Ma non era la sua ora. A volte anche i boia si fermano quando le pressioni dell’opinione pubblica internazionale sono troppo forti. Come Alekos Panagulis in Grecia, Luis Sepùlveda in Cile fu graziato a sorpresa dal regime e gli fu consentito di espatriare. Non era scontato, Pablo Neruda – ad esempio – era stato meno fortunato.
Sepulveda volle comunque rimanere in Sudamerica, cercando come Che Guevara di continuare la sua rivoluzione personale in ognuno dei paesi dove le dittature soffocavano i popoli con atroci ingiustizie. In Nicaragua, alla fine, vinse assieme ai sandinisti e fu con quella vittoria pur precaria in tasca ed il mestiere di giornalista che finalmente si decise a cercare asilo in Europa.
Dividendosi tra la scrittura e l’impegno ecologista sulle navi di Greenpeace, i suoi anni ottanta li trascorse passando da un successo letterario all’altro, aspettando di poter tornare in Cile da libero cittadino. Lo fece nel 1989, quando ormai il regime di Pinochet era agli sgoccioli ed il generale assassino trattava la resa.
Ma non era più casa sua. Dalla metà degli anni novanta si era stabilito in Spagna, e lì aveva scritto La gabbianella e il gatto, inizialmente immaginata come favola morale raccontata alla figlia piccola da un esule, una condizione che lui aveva vissuto per molti anni. Poco dopo era un successo mondiale.
Viveva nelle Asturie, a Gijon, e l’ospedale che ha accolto il suo ultimo respiro stanotte é quello di Oviedo. Da lì ha spiccato l’ultimo volo, come il suo gatto Zorba aveva insegnato alla gabbianella Fortunata più di vent’anni prima.
Hay que la tierra sea suave por tigo, Luis. Hai reso lieve volare a tutti noi.
«Bene, gatto. Ci siamo riusciti», disse sospirando.
«Sull’orlo del baratro, ha capito la cosa più importante», miagolò Zorba.
«Ah sì? E cosa ha capito?» chiese l’umano.
«Che vola solo chi osa farlo», miagolò Zorba.
Luis Sepùlveda
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