C’è qualcosa di nuovo sotto il sole che cuoce Firenze in questi giorni. Di nuovo e di strano. Non vorremmo che la breve ma intensa parabola del calcio femminile viola fosse già nella sua fase discendente, per non dire prossima alla conclusione.
Fa molto parlare in questi giorni l’addio in sequenza di alcuni grossi nomi della squadra che tre anni fa, al suo secondo anno di vita, vinse lo scudetto e poi ha continuato a mietere titoli in serie (cosa che in campo maschile non succede più da almeno un paio di proprietà). I comunicati si susseguono, Dopo Laura Agard e Lisa De Vanna, le straniere che erano giunte negli ultimi giorni della proprietà Della Valle a rafforzare una squadra che dopo lo scudetto era arrivata puntualmente ad un soffio dal riconfermarsi, cedendo veramente di un niente alle rivali di sempre, la Juventus Women e che adesso se ne vanno in quanto svincolate, è stato prima il turno della bomber Ilaria Mauro salutare la banda in direzione Milano sponda nerazzurra, poi è arrivata la doccia più gelata di tutte: se ne va la capitana, Alia Guagni, un nome che a Firenze ormai può stare alla pari con quelli di celebri portacolori del calcio maschile. Se la Mauro è stata il nostro Batistuta al femminile, la Guagni è stata il nostro Dunga, il nostro Passarella. Vederla ai saluti accanto ad un sorridente (saprà lui perché) Joe Barone, fa male, molto male.
Soprattutto perché dà un segnale che più negativo non si può, rispetto alla volontà di fare una Fiorentina sempre più forte espressa ad ogni pié sospinto dall’attuale patron Rocco Commisso. I fatti sembrano per il momento parlare diversamente. Nel settore femminile la nuova proprietà italo-americana aveva ereditato tra l’altro una situazione invidiabile, una squadra vincente che necessitava di pochi e oculati rinforzi per tornare a vincere e ad onorare il calcio italiano in campo europeo (le viola disputano la Champion’s per il quarto anno consecutivo). Il tutto ai costi ridottissimi del calcio femminile nostrano. Questo smantellamento di fatto arriva come una brusca sterzata rispetto alle ambizioni dichiarate ed a quelle sottintese.
Non crediamo ad un discorso di tipo economico. La Guagni ha ricevuto, pare, una offerta di qualche migliaio di euro al mese. Le calciatrici vivono ancora professionalmente ad una distanza abissale dai colleghi maschi, purtroppo per loro e per noi. Se la proprietà che dichiarò di non avere bisogno di quotarsi in borsa («lo fa chi ha bisogno di soldi, noi ce li abbiamo», dichiarò all’esordio Rocco Commisso) non può permettersi di pagare ad un dipendente lo stipendio di un qualsiasi dirigente della pubblica amministrazione, qualcosa non torna.
Se il motivo è altro – lo suggerisce Patrizia Caccamo sul suo profilo social, quando rievoca il fatto di essere stata la prima a trasferirsi altrove, già due anni fa, facendo capire che in sostanza né la vecchia né la nuova proprietà ci hanno creduto poi molto in questa avventura del calcio femminile -, allora bisogna interrogarsi a maggior ragione un po’ tutti quanti. Forse è bene aspettare a portare in trionfo i patrons che arrivano quando hanno vinto o almeno ben figurato in qualcosa di concreto. Non a prescindere come abbiamo fatto finora, salvo poi pentirsene storicamente a scadenze più o meno brevi.
La Fiorentina Women’s era stata una meravigliosa sorpresa di cinque anni fa, allorché i Della Valle spedirono un Mencucci individuato come capro espiatorio di una delle tante operazioni di mercato gestite a quell’epoca in modo rocambolesco (la vicenda Salah, ndr) a rifarsi una verginità societaria occupandosi insieme al prof. Vincenzo Vergine – ci si perdoni il gioco di parole – di questa squadra femminile che la ACF Fiorentina si era ritrovata in mano quasi per caso, per fare un piacere a chi chiedeva – in primis proprio la famiglia Guagni – che non si disperdesse la storica eredità del Firenze Calcio Femminile.
Com’è andata lo sanno tutti, uno scudetto, due Coppe Italia, una supercoppa e quattro partecipazioni alla Champion’s League femminile. Palmares di tutto rispetto anche perché messo insieme in tre anni e poco più. Ciò non valse ai dirigenti della Fiorentina femminile alcuna considerazione da parte della nuova proprietà del maschile. Al subentro di Commisso, Mencucci apprese di non essere più presidente dai giornali, Vergine ha retto qualche mese come amministratore delegato, poi ha salutato tutti anche lui. Restavano le ragazze ed il loro allenatore, coach Antonio Cincotta, a continuare imperterriti la rincorsa al loro sogno. Un sogno in cui Firenze si cullava volentieri, visto che ormai il settore maschile provoca soprattutto incubi.
Senza Mauro, Guagni e tutte le altre, sognare diventa adesso molto più complicato. Magari verrà allestito uno squadrone, ma ci crediamo poco. Talent scouts alla Fiorentina, maschile e femminile, ce ne sono pochi. E il braccio – economicamente parlando – non pare ben disteso come si sperava, almeno fino ad ora. La famiglia Commisso ha assistito spesso alle partite delle Women’s, ma di lì a dire che abbia nel background culturale il calcio femminile ce ne corre, ed i fatti lo stanno dimostrando.
Che altro dire? Tanta tristezza. I partigiani del «stiamo a vedere» chiedono tempo. Magari tra qualche anno avremo un Madison Square Garden nella piana tra Sesto e Campi, servito da un JFK Airport avveniristico. Magari avremo anche una Fiorentina che non finisce la sua stagione a novembre (per cominciarne un’altra, in lotta per la salvezza). Magari qualche promessa verrà mantenuta, anche dalle nostre parti.
Magari, magari, magari. Per ora ci limitiamo a raccogliere ed interpretare i segnali, e fino a prova contraria non sono buoni. Alia Guagni era una bandiera, prima ancora che una campionessa (l’Atletico Madrid dichiara di puntare alla Champion’s con lei in squadra) e la nostra capitana. Di bandiere ce ne sono rimaste poche, qui a Firenze. Di fatti concreti ancora meno.
Magari, se mr. Commisso vorrà smentirci, saremo i primi ad essere contenti.
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