Finisce la stagione cominciata con il pirotecnico 3-4 del Franchi contro il Napoli. Che sembrava all’epoca una pretendente seria allo scudetto e che invece fu messo sotto da una Fiorentina che pareva miracolosamente tornata quella della prima gestione Montella. Che finì per pagare un po’ di inesperienza dei suoi giovani e la prima di una lunga serie di sviste arbitrali. Ma tutto, dalla bruciante e immeritata sconfitta alle sgradevoli esternazioni di un Ancelotti che le cose migliori le ha sempre dette quando sta zitto, passò in secondo piano sull’onda di un’euforia travolgente e a prima vista perfino giustificata.
Dal giugno precedente, la Fiorentina era passata di mano, e la nuova proprietà sembrava fare sul serio nel riprendere e portare avanti il discorso dei sogni lasciato cadere dalla proprietà precedente ormai quasi dieci anni prima. Fast, fast, fast, ripeteva Rocco Commisso come fosse un mantra, sia che si parlasse di allestire una squadra vincente come di costruire un nuovo stadio. Lo zio d’America era arrivato, e faceva sul serio. Le facce compassate degli stilisti marchigiani che da tempo – molto tempo prima di risolversi a cedere la società viola – avevano concesso alla tifoseria l’ultimo sorriso e l’ultima promessa di vittoria, sembravano ormai soltanto un ricordo.
La Fiorentina e Firenze tornavano a marciare di pari passo, ed era una marcia che all’apparenza prometteva di essere trionfale. Ma poi Montella continuava la sua serie negativa che nel finale della precedente stagione – dopo la sostituzione di Pioli – era sembrata addirittura mettere in discussione la permanenza viola in serie A, e che adesso contraddiceva vistosamente i proclami di vittoria del patron e mortificava i sogni di una tifoseria che non aveva visto l’ora di riprendere a sognare.
Ci si autoconfortava dicendo che il primo anno é di transizione, per forza. Quanti ne abbiamo vissuti di anni di transizione? Quasi tutti. Diceva il compianto Oliviero Beha che il tifoso, in quanto tifoso, non vuole pensare a nulla, solo – appunto – tifare. E allora che sarà mai un altro anno all’insegna del «anche quest’anno si vince l’anno prossimo»?
Si, ma poi i risultati erano quelli dei peggiori Della Valle, la Fiorentina scivolava di nuovo giù, fast, fast, fast. Urgevano rimedi vecchia maniera, «ci dispiace sig. Montella ma la situazione richiede un cambio di manico». A Natale la Fiorentina e Firenze erano alle solite, con l’esonero dell’allenatore del calcio alla spagnola e l’arrivo di uno specialista in salvezze. Beppe Iachini, ex beniamino della Curva quando giocava (picchia per noi, Beppe….), erede di una tradizione che risaliva ad Oronzo Pugliese e alla prima di una serie di retrocessioni sventate per un soffio, senza andare tanto per il sottile. Per il bel gioco ci sarà tempo nell’anno che verrà. O in quello dopo, se quello che verrà sarà ancora di transizione.
La stagione è stata tribolata dalle note vicende della pandemia Covid19. Ed era bene che al pari di tante altre stagioni sportive e di tante altre attività fosse stata dichiarata conclusa a marzo, quando gli italiani si ritrovarono messi a casa forzatamente dallo stato di emergenza. A quel punto la Fiorentina galleggiava ai margini della zona pericolo, non troppo sopra la quota salvezza presunta. Il campionato, quando è ripreso, era una parodia della celebre partita scapoli-ammogliati dei film di Fantozzi. Ma gli arbitri ci vedono bene, come la sfiga, e tutti – quando si è trattato di penalizzare la squadra viola – hanno fatto a meno allegramente della prova televisiva.
I punti scarseggiavano, ma Iachini è uno che non molla, e alla fine la sua squadra si è salvata con quattro giornate di anticipo sulla fine di questa agonia di campionato. La sua squadra ha concluso al nono posto, a due punti dal solito miracoloso Sassuolo e a tredici dalla zona Coppe. Che forse non sarebbe neanche il caso di nominare, visti i valori tecnici espressi durante la stagione. Ma il fatto è che sono i valori tecnici del nostro campionato ad essere ormai desolanti, e allora succede che perfino la brutta (a vedersi) Fiorentina di quest’anno dopo aver sfiorato l’infamia abbia sfiorato anche la gloria. Alla ripresa del campionato, del resto, le uniche squadre che hanno giocato in modo decente sono state il Milan e l’Atalanta. Le altre, che siano blasonate o meno, che siano finite davanti o dietro di noi, sono state decisamente altrettanto brutte a vedersi. Il fischio finale della trentottesima giornata quest’anno più che mai è un velo pietoso.
Della partita di ieri, che dire. Una di quelle vecchie partite di fine campionato di una volta. Spal già retrocessa, che vuole salutare il suo pubblico dignitosamente, Fiorentina senza altri pensieri che quelli dell’incombente mercato. Tutti giocano a gamba distesa e a cuor leggero, con un orecchio al mister ed uno al procuratore.
Chiesa si riscopre assist man, ne distribuisce a ripetizione. Uno vale a Duncan la possibilità di segnare il primo gol con inserimento dalla fascia sinistra e botta che non perdona. Duncan ci riprova poco dopo al volo, senza eguale fortuna. Viene pareggiato poi da D’Alessandro con un sinistro al volo di quelli che si tentano solo quando in partita non si ha più niente da giocarsi e da perdere. Terracciano, ormai portiere titolare, non può nulla.
Nella ripresa si rivede Sottil, che crea più di uno scompiglio nella difesa ferrarese e all’88° guadagna il corner che mette sulla testa di Khouamé il pallone del nuovo vantaggio. Segue atterramento di Chiesa abbastanza netto, e trasformazione di Pulgar del rigore che vale il 3-1 finale. Si chiude così, con una Fiorentina che ha messo in mostra i suoi giovani prefigurando forse il suo futuro prossimo, e qualche addetto ai lavori che pensa di poter ancora trattenere a Firenze il numero 25. La parola passa a Daniele Pradé. Anni di transizione basta così, per favore.
Buona estate a tutti, o quello che ne resta.
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