Calendario dell'Avvento

Avvento 2017 – Giorno 12: Romano Prodi

Narra la leggenda, o per meglio dire la barzelletta, che in piena campagna per il referendum sul Divorzio del 1974 i tabaccai di mezza Italia restituissero alla Zecca dello Stato i francobolli postali con l’effigie di Amintore Fanfani, il detestatissimo segretario DC di quel periodo. Alla richiesta di spiegazioni, uno di questi disse: «Non vanno bene, la gente ci sputa davanti e non didietro».

La storiella deve avere un fondamento di verità, se nessuno ha mai provato ad emettere un valore bollato con l’effigie di Romano Prodi. Ci sono pochi uomini nella storia della Repubblica, prima, seconda e terza, che siano riusciti a stare sulle scatole al paese come lui.

Uscito dai peones DC, come si chiamava allora quel sottobosco di politici di seconda e terza fascia (da cui è uscito anche Mattarella) che per farsi notare erano disposti a qualunque cosa, l’uomo che ha messo fuori gioco due marche storiche dell’automobilismo italiano come Maserati e Alfa Romeo fu messo a far danni dall’allora presidente del consiglio Andreotti all’I.R.I., l’Istituto per la ricostruzione Industriale che aveva – appunto – ricostruito l’industria italiana dopo la guerra e che gestiva le cosiddette partecipazioni statali.

L’uomo capace di addormentare parlando qualunque forma vivente gestì quelle partecipazioni per quasi dieci anni, inventando le privatizzazioni, termine tecnico con cui da allora furono definite le cessioni di parti del patrimonio industriale ed economico statale (compresi servizi pubblici essenziali) ad amici della classe politica di turno.

Fu forse per questo che la sinistra (una sinistra che ha sempre condiviso con lui l’obbiettivo di stare sulle scatole al maggior numero di gente possibile) pensò a lui, quando si trattò nella seconda Repubblica di contrastare Berlusconi. Serviva uno che fosse bravo ad alienare la ricchezza statale e nazionale agli amici degli amici, come quel De Benedetti che ha sempre avuto la tessera n. uno di qualunque partito deputato a fare gli interessi del popolo. Non era necessario che fosse fotogenico, telegenico, che bucasse qualsiasi schermo come il suo avversario: bastava che facesse ciò in cui era bravo, addormentare tutti e intanto vendere questo e quello.

Fu lui a gestire l’unificazione europea (la fortuna è cieca, con l’Italia in quegli anni fu anche sorda e muta), che avrebbe comunque assassinato il nostro paese ma che con lui assunse il carattere di soluzione finale. L’euro introdotto al cambio più svantaggioso, la svendita del patrimonio nazionale non più solo agli amici nostrani ma anche a quelli esteri, il controllo di una Commissione Europea che cominciò ad agire nei nostri confronti come un Quarto Reich sono tutte pagine storiche annotate sul suo palmares.

E’ rimasta in aprticolare famosa anche l’affermazione secondo cui nell’Eurozona avremmo lavorato tutti e lavorato meno. E’ stata vera soltanto la seconda condizione, grazie a lui ed alla politica avviata da lui quelli che lavorano in Italia sono stati un numero in costante discesa. Recentemente a Trieste ha patrocinato la designazione del porto cittadino come porto franco europeo, con l’intento di riportarlo alla grandeur teresiana. Da allora i triestini sostano sul Molo Audace guardando preoccupati la marea.

Lo mettereste nel presepio? Se volete trovarci gente che dorme, pecore comprese, oppure gente che se ne va via bestemmiando (compresi insospettabili personaggi di primo piano) fate pure. Magari togliete l’Ulivo dalla capannuccia, date retta.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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