Sergio Mattarella, su cui si apre la finestrella dell’ultimo giorno, il 24, quello che precede il Natale, ha lo sguardo più indecifrabile, e a nostro parere inquietante, di quello della Sfinge. L’uomo che il partito democratico ha chiamato e imposto a succedere al già inquietante e devastante Giorgio Napolitano rappresenta in realtà un ritorno a quel Porto delle Nebbie che fu per tanti versi la Prima Repubblica italiana. La sua stessa storia personale è avvolta in quelle nebbie sottili ma impenetrabili che avvolgono tutte le cose siciliane dal dopoguerra ad oggi.
Suo padre Bernardo, ministro a varie riprese della neonata Repubblica, fu indicato come mandante della strage di Portella delle Ginestre nientemeno che da Gaspare Pisciotta, il braccio destro del suo autore, il bandito Salvatore Giuliano da Montelepre. Al processo, tutto giocato allora come spesso in seguito sulle dichiarazioni e controdichiarazioni di mafiosi e pentiti e sui relativi teoremi, Bernardo Mattarella fu scagionato, ma l’ombra in qualche modo rimase, tanto che la fiction Il capo dei capi nel 2008 lo ritrasse come politico colluso con Cosa Nostra. Salvo subire la querela da parte del figlio, il futuro presidente.
Suo fratello Piersanti fu una delle vittime eccellenti della mafia nel 1980, nel momento in cui palermitani e corleonesi lottavano per il controllo del territorio siciliano e della Cupola. Politico DC come il padre, presidente della Regione a statuto speciale, ad un certo punto aveva detto qualche NO di quelli che a Cosa Nostra non si dicono. Di più non è dato sapere. Sulle vicende giudiziarie siciliane e italiane grava permanentemente un velo ancora più spesso delle nebbie di cui sopra, e dopo Falcone e Borsellino nessuno è più apparso in grado di squarciarlo.
Sergio Mattarella, nei decenni che hanno preceduto la sua elezione laboriosa e controversa a presidente della repubblica (il quarto a fila eletto dallo schieramento di sinistra, che beneficia evidentemente di congiunzioni astrali favorevoli), ha tenuto il profilo basso del peone democristiano, l’uomo di scarsa visibilità ma sempre pronto quando il partito chiama, sia esso DC, Margherita o PD.
Sia che si tratti di firmare il provvedimento che nessuno se la sente, quel Mattarellum che disattendeva platealmente il risultato del referendum popolare a favore del sistema elettorale maggioritario. Sia che si tratti di conferire l’incarico di governo a quel Paolo Gentiloni che un anno fa, dopo la batosta al referendum costituzionale subita da Renzi e dal PD, non rappresentava niente e nessuno se non la volontà di una casta di perpetuarsi a qualunque costo.
Sergio Mattarella, che ha attraversato le vie delle nostre repubbliche in lungo e in largo, non ci piace neanche un po’. Il suo sguardo è e resta impenetrabile, e al di sotto di esso può esserci qualsiasi cosa. Difficilmente positiva per il paese che è stato incaricato di rappresentare. Nell’iconografia fantasy della nostra classe politica, se Napolitano è stato Voldemort, lui è assimilabile a Peter Minus. E’ la DC peggiore, quella del sottobosco, quella che non rispondeva a nessuno da viva, e ha continuato a farlo anche da morta.
Metterlo nel presepio, ammesso e non concesso di sopportare la sua retorica ancora più stucchevole e vuota di quella del predecessore, significa ritrovarci dentro prima o poi dei personaggi che non si sa da dove vengono e a che titolo, e che un attimo dopo esserci entrati cominciano a sbraitare per avere lo Jus Soli. Con lui dentro, il presepio non si scioglie a scadenza naturale il 6 gennaio, ma quando fa comodo a chi ce l’ha messo. E nessuna meraviglia se al posto di San Giuseppe dà l’incarico a qualche cariatide che come carisma e ragion d’essere ne ha anche meno di lui, il Gentiloni di turno.
E poi… c’è quello sguardo, quella luce negli occhi… Brutti, come il Natale più triste che ci sia dato ricordare da tanto tempo a questa parte.
Lascia un commento