Abbiamo ancora negli occhi la grande fiction della RAI sui Medici. Una storia di grandi uomini, nel bene e nel male. La tentazione sarebbe quella di paragonare il nostro uomo di adesso a Gerolamo Savonarola, il frate che si oppose con il suo moralismo spinto fino ai limiti del fanatismo a Lorenzo il Magnifico ed al Rinascimento a cui il signore di Firenze stava dando un impulso ineguagliabile.
Di Savonarola, Beppe Grillo ha sicuramente il moralismo, gli manca quella fede spinta fino all’eccesso, fino al dogma, che sostanziò il fanatismo del frate contrapponendolo al razionalismo del suo grande antagonista mediceo. Sopperisce con l’opportunismo, di cui ha sempre dato gran prova. Dubitiamo che avrebbe seguito Savonarola fino sul rogo, se la sarebbe cavata al massimo con un post sul suo blog. E magari il celeberrimo gesto dell’ombrello.
Da quando la sua predicazione influenza la vita politica italiana, sostituendo al convento di San Marco il Movimento 5 Stelle e la piattaforma del povero Jean Jacques Rousseau, lo abbiamo paragonato spesso anche a Gabriele D’Annunzio, consapevoli che il nostro era poco più di un artifizio storico – retorico (l’effetto dirompente avuto sulle istituzioni come apripista per altri soggetti politici ancora più tosti e pericolosi), e che se il Vate avesse degli eredi legali oggi essi potrebbero querelarci per diffamazione a mezzo comico.
Di D’Annunzio, Grillo ripete la fortuna, nel senso machiavellico di occasione storica. Quanto alla virtus, alla capacità, gli manca il fine, gli mancano i mezzi (malgrado la Casaleggio Associati gliene abbia forniti diversi, ed altri gliene abbiano forniti i disperati che un anno fa hanno elevato il suo movimento al 32%) e gli manca soprattutto il coraggio.
D’Annunzio aveva già dimostrato nella Grande Guerra che poteva fare la sua parte per l’Italia. Si ripeté con l’impresa di Fiume, radunando il primo rassemblement popolare di protesta effettiva ed efficace della storia moderna, i Legionari, che andarono a prendersi una terra italiana che altrimenti all’Italia non sarebbe mai toccata.
Grillo ebbe la stessa occasione di entrare nella storia d’Italia la sera che il parlamento più screditato di sempre (quello che aveva piegato la testa ai diktat europei nominando Monti presidente del Consiglio) si apprestava a rinominare Giorgio Napolitano – la quintessenza del regime per combattere il quale i 5 Stelle erano nati – presidente della repubblica. Piazza Montecitorio era piena di gente imbestialita che aspettava solo un gesto dall’ex comico diventato leader politico. Quel gesto non arrivò. La Digos aveva telefonato a Grillo dicendogli perentoriamente di restare a casa. Diversamente da Dannunzio, Grillo acconsentì. E restò a casa.
Ma Grillo è Grillo, inutile paragonarlo ad altri. Ha la stessa faccia quando fa il gesto dell’ombrello al sistema, quando appare truccato da Joker alla più importante e drammatica convention dei 5 Stelle della loro breve storia, o quando pubblicizza una marca di yogurth che magari adesso nel suo blog di tuttologo negherebbe per tre volte come Pietro di aver mai assaggiato.
E’ un menestrello, un giullare, un buffone di corte che sogna da una vita di rivoltarsi contro la corte. Un Paolo Villaggio in tono molto minore, che dei personaggi di Villaggio ha solo la villania. Quella gli riesce naturale. Quando trattava con la delegazione PD per l’incarico di governo 2013 – la famosa trattativa trasparente accettata da Bersani e svolta sotto l’occhio impietoso delle telecamere – riuscì nella mission impossible di far stare simpatico a mezza Italia il povero Graziano Del Rio, che seduto accanto al segretario dem si beccava impavido gli insulti a ruota libera del guitto genovese, il quale in quel momento si sentiva il Lech Walesa della situazione.
E’ un uomo che sogna una rivalsa da tanti anni, da quando fu buttato fuori dalla RAI – lui che era venuto su con la nouvelle vague dei neocomici di Non stop – per una battuta di troppo sui socialisti di Craxi che in quel momento guidava il governo. In RAI a fare il rivoluzionario c’è riuscito solo Dario Fo, e con molta più pazienza e finezza di lui. Nel Mistero Buffo sfotteva tutti senza offendere nessuno. La bocca di Grillo al contrario era ed è una cloaca che risulta insultante prima ancora che le sue labbra si aprano.
Da allora, Grillo sogna la vendetta. Craxi non c’è più, ma la repubblica sì (prima, seconda, terza, fa poca differenza). E lui, come il Joker, la sua gag più azzeccata, vuole vendicarsi e distruggerla.
Sulla sua strada finora non ha trovato Batman, ma Fassino, che lo invitò a fare un partito prima di criticare quello da lui diretto, e di cui – ecco la fortuna del machiavellico Grillo – l’Italia cominciava a non poterne più. Grillo lo fece, e si beccò i voti di chi era di sinistra senza avere più una sinistra di riferimento. Il PD era ormai una lobby bancaria. I 5 Stelle nascevano come gruppo di scappati di casa, ma nel vuoto che si era aperto davanti a loro i due capelloni che li guidavano, Grillo e Casaleggio, si ritrovarono le chiavi del palazzo in mano.
Beppe Grillo non ha un progetto, più di quanto ce l’abbiano i deputati e senatori che ha mandato in Parlamento a far rimpiangere nell’ordine Masaniello, Cola di Rienzo, De Pretis e l’Uomo Qualunque di Giannini. Beppe Grillo è il caos, questa l’ha azzeccata davvero. Ma il caos se lo può permettere chi come lui ha fatto soldi con le serate in RAI e nelle balere, o con gli yogurth e altri prodotti di prima dell’ambientalismo a 5 Stelle. Non certo chi la sera torna a casa e trova sul tavolo la stessa bolletta lasciata non pagata la mattina. E che magari aveva davvero bisogno del reddito di cittadinanza, andato invece a qualche camorrista.
L’ultima follia di Beppe Grillo (tranquilli, non lo stiamo paragondando a Mel Brooks) è forse quella che accelera la sua dipartita politica (scherzando, si potrebbe dire che non sono più i tempi di Savonarola, e più di quello non si può chiedere…..). Via Luigi Di Maio, che sembra sempre più il Walter Chiari dei fratelli De Rege e probabilmente ha lo stesso peso politico ormai. Dentro Virginia Raggi. Un po’ per levarla da Roma prima che la lincino. Un po’ perché al Joker manca una compagna di cazzate. Virginia sarebbe una Poison Ivy perfetta. A Roma Capitale non ce la farebbero nemmeno Batman e Robin, dopo di lei. Chissà in Italia che potrebbe combinare….
Forse la vendetta di Grillo sta per arrivare a compimento. Il buffone andrà finalmente ad accendere un cero su una tomba al di là del mare. E potrà gridare alla notte: «Ebbene sì, maledetto Craxi! Stavolta ho vinto io!»
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