Jorge Mario Bergoglio compie 83 anni. E già ho perso la maggior parte dei lettori perché non l’ho chiamato Santo Padre. Siamo un paese strano, passiamo ormai tre quarti della nostra vita sui social networks, dove scriviamo e leggiamo le cose più orrende, dove non si salva più niente, persona, istituzione, valore. Se Facebook fosse la vita reale, avremmo fatto più rivoluzioni e tagliato più teste noi italiani dei nostri cugini francesi, che hanno fatto tutto ciò per davvero.
Ma tutto si ferma sulla soglia del Santo Soglio. Appena nomini il Papa, il Vaticano, la religione, tutti si dileguano. I mi piace spariscono, le amicizie si diradano, vere o virtuali che sano. Dimenticati Voltaire, John Lennon, dileguatasi perfino quella moltitudine che quando Jorge Bergoglio fu eletto Papa insorse, accusandolo di connivenze con la dittatura militare argentina degli anni 70, quella del boia Videla e dei desaparecidos.
E pensare che quasi lo difesi, all’epoca. Francesco che parla con i lupi, lo chiamai, paragonandolo al cardinal Stefan Wyszyński che nella Polonia caduta dalla parte sbagliata della Cortina di Ferro aveva tenuto testa ai comunisti di Stalin, quando ancora Solidarnoscz era nella mente di Dio. Gli uomini di chiesa a volte cercano di tenersi in equilibrio tra i precetti religiosi che dovrebbero professare e la dura realtà. Bergoglio è stato uno dei tanti, e nemmeno quello più eclatante. Forse aveva fatto solo finta di non vedere. Aveva stretto mani sporche, per salvare il salvabile. Quando Cristo è tornato anche in Argentina, nessuno del resto gli ha imputato particolari crimini o connivenze.
Anzi, in una Chiesa cattolica che ormai di crimini si pasceva senza più ritegno – dalla pedofilia elevata a sistema agli scandali bancario-malavitosi – quando Benedetto XVI fece il secondo gran rifiuto dopo quello di Celestino V, il suo sembrò il nome giustappunto più papabile. Bergoglio scelse il nome di Francesco ponendosi come dichiarato obbiettivo di ripetere le gesta del santo più amato da praticanti e non. Sembrò la scelta giusta per tutti, per chi voleva salvare la Chiesa ripetendo l’operazione fatta cinquant’anni prima con Giovanni XXIII, e per chi invece la viveva e la vive come un male inevitabile, un qualcosa che tocca sopportare.
Siamo un paese di baciapile, ma non per fede religiosa. Al miracolo dell’ostia e del vino tramutato in sangue in quanti ci credono più? All’Immacolata Concezione eccepisce ormai perfino qualche prelato, rendendosi forse conto che il Vaticano ha scherzato con la sessualità e la femminilità per troppo tempo.
No, la gente va in chiesa perché la maggior parte delle risorse terrene che danno ricchezza, agio, carriera, sono in mano alla Chiesa. Perchè in banca, in ufficio, davanti agli sportelli dove si concedono licenze e prebende se non si è grati ai successori di Pietro non si va da nessuna parte. I comunisti non ci sono più, anzi adesso sono alleati, dopo aver cambiato nome ed aver perso il pelo ma non il vizio. Ma la Chiesa é rimasta, eccome. Lei non perde nemmeno il pelo. E’ sopravvissuta alla Riforma Protestante, e alla pretesa dei 5 Stelle di farle pagare l’IMU ha reagito con spallucce. Tanto sa di averla vinta prima di giocare.
Francesco nato Bergoglio è sembrato il papa giusto per una società che si evolveva – nolente più che volente – verso le grandi migrazioni e le difficili accoglienze. Ha messo da parte la sostanziale non ingerenza nelle cose italiane bene o male acquisita dai suoi predecessori. Non ha scomunicato nessuno, ma non è passato giorno che non abbia lanciato i suoi anatemi verso chi discute in Italia che i migranti siano la fotocopia di Cristo, come sostiene lui. Verso chi vorrebbe che la Chiesa non si occupasse di politica o di business (attraverso la miriade delle sue controllate), ma soltanto di predicazione del Vangelo. Ai sensi del quale, semmai, ci sarebbe da tempo immemorabile una moltitudine di italiani ridotti in povertà di cui occuparsi. Davanti a loro, a quanto pare, la carità cristiana evidentemente viene meno.
Abbiamo sempre negli occhi, tra i tanti spettacoli ormai degradanti che ormai offre la nostra capitale, quello delle chiese di Roma che all’unisono chiudono i battenti dopo le 18,00, e dei barboni romani costretti a stringersi a ridosso delle loro antiche mura, con l’unico conforto di carta di giornale rimediata chissà dove per coprirsi. Spettacolo che continua imperterrito in era Bergoglio. Ancora non si prende una posizione effettiva verso prelati pedofili seriali e simoniaci (dispensatori e maneggiatori di ricchezze terrene, cfr. Vangelo), e le chiese continuano a chiudere in faccia a chi non ha un tetto. Nel frattempo, all’Angelus e da ogni pulpito si invoca l’apertura totale dei porti e si maledice lo stato italiano che non si fa carico dei vitti e degli alloggi.
Auguri, per carità di Dio. Ma non mi unisco ai festeggiamenti per il Santo Padre. Perderò lettori e andrò all’inferno, pazienza. Non lo stimo, anche se qualcuno lo ritiene ancora infallibile. Io no. E non perché un giorno ha stretto magari la mano a Videla, quelle di certi nostri politici sono a loro modo altrettanto sudicie. Ma perché ha allontanato da sé e dalla sua Chiesa la mano di Cristo.
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