Libertà va cercando ch’é si cara, dice Virgilio a Catone Uticense, custode della porta del Purgatorio, presentandogli Dante che chiede accesso. Come sa chi per lei vita rifiuta, gli ricorda subito dopo. Non è un passo da poco nella Commedia, il moralista cristiano Alighieri non approva il suicidio, ma per Catone (esempio di coerenza politica, tanto da preferire la morte autoinflitta alla resa a Giulio Cesare ed all’accettazione della fine della Repubblica Romana) fa una eccezione che fa scuola.
Libertà. Tutti ne parlano, molti a sproposito. Come la fanciulla dalle belle ciglia, alla fine nessuno se la piglia. Catone Uticense era nipote di Catone il Censore (delenda Carthago, ricordate?), colui che stigmatizzava aspramente i costumi in fase di rilassamento della vecchia Repubblica. Proprio vero che nella vita – e nella cultura – è tutto relativo. Il vecchio Catone rendeva la vita repubblicana insopportabile. Il giovane preferì ammazzarsi che vederne la fine, essendogli insopportabili i tempi nuovi ed il futuro imperiale di Roma.
In altra parte di questo giornale teniamo una rubrica che si chiama Speaker’s Corner. Professandoci liberals, di un liberalismo di gloriosa marca anglosassone che probabilmente non esiste più nemmeno nella sua Madrepatria, abbiamo sempre optato per quella cassetta della frutta ad Hyde Park Corner a Londra dove ognuno può salire per dire la sua, per quanto sconclusionata e non condivisibile possa essere. E nessun altro può azzardarsi a zittirlo o rendergli in qualche modo impossibile l’espressione del suo pensiero.
Il libero pensiero è il principale dei diritti umani, prima ancora della vita, della felicità e di tutto quanto è scritto nel preambolo di tutte le costituzioni democratiche occidentali, a cominciare da quella americana che è la madre di tutte. E’ ciò che dà il metro principale alla qualità della vita. E’ ciò che dà anche la misura della civiltà e della democraticità di uno stato, di un paese.
Evelyn Beatrice Hall, scrittrice britannica biografa di Voltaire, diceva (attribuendo quasi, peraltro verosimilmente, la frase al suo personaggio): «Disapprovo quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto di dirlo» . Se non è di Voltaire, in bocca sua ci sta bene, e sta bene in bocca a duecento e passa anni di liberalismo occidentale seguito alla Rivoluzione Francese.
In Italia, questo liberalismo non è mai appartenuto alla cultura, né dell’èlite né men che meno della massa. Abbiamo una democrazia di importazione, arrivata qui grazie ai G.I. di Roosevelt ed alla V^ Armata del generale Clark. L’abbiamo sempre indossata, nei settant’anni trascorsi dal 25 aprile 1945, come una vernice, un soprabito. Da toglierci, da lavarci via non appena ci fa comodo e la lotta politica o economica ci richiede il riaffiorare di istinti ben più primordiali frammisti a comportamenti da plurimillenaria curia cattolica. «Disapprovo quello che dici, e farò di tutto perché tu non possa più dirlo. O anche soltanto pensarlo». Ecco il nostro mantra.
Questa lunga digressione per arrivare a Emanuele Castrucci ed alla vicenda del post filo-Hitler. Non ci deve piacere, non è necessario condividerlo se capita di leggerlo. Ci si può semmai riflettere sopra, e quello non farebbe mai male. Dopodiché, delle due l’una: passare oltre, o fermarsi a valutare se al pensiero seguano comportamenti, questi sì atti a configurare qualche reato.
Il professore scrive, postandolo su Twitter accanto ad una foto di Adolf Hitler: «Vi hanno detto che sono stato un mostro per non farvi sapere che ho combattuto contro i veri mostri che oggi vi governano dominando il mondo». Non lo trovate più questo tweet, è già stato sequestrato dal braccio secolare della chiesa che ci governa.
Ce ne sarebbero di spunti di riflessione, anche senza condividere (come è giusto che sia) la tendenza ideologica eventualmente sottesa a questa frase. E’ una manifestazione di pensiero a cui, a detta degli stessi studenti che frequentano le lezioni di Filosofia del Diritto e della Politica all’Università di Siena del prof. Castrucci, non ha mai peraltro fatto riscontro una analoga presa di posizione in aula.
Gli insegnamenti del professore sono sempre stati asettici, corretti, in tal senso. Per quanto sia possibile circoscrivere la correttezza delle nozioni e dei pensieri. Tutti sapevano delle propensioni ideologiche di Castrucci, lui non ne ha mai fatto uso in classe. Abbiamo avuto una serie di cattivi maestri negli anni passati, a cominciare da quel Tony Negri che non faceva mistero di fiancheggiare e propagandare il terrorismo rosso. Castrucci, al contrario, ha sempre lasciato le sue idee sulla soglia dell’aula, portandovi dentro soltanto i testi inerenti la materia che insegna.
Ci sarebbe poi da considerare il suo post in senso più lato, esteso. Che ad Hitler, nel 1945, siano sopravvissuti mostri che forse in quantità e qualità hanno saputo addirittura eclissare la sua opera è o dovrebbe a questo punto essere indubbio, dal punto di vista storico che di ogni altra disciplina insegnata negli Atenei d’Italia.
Vorremmo tanto sapere perché un post su Hitler scatena una sollevazione accademico – istituzionale della portata di quella che sta travolgendo il Castrucci ed insieme a lui le ultime vestigia di libertà di pensiero in questo paese, mentre al contrario non è un mistero che diversi individui e movimenti facenti capo ideologicamente o per semplice climaterio al suo omologo Giuseppe Stalin ed ai suoi succedanei ed eredi se ne vadano liberamente in giro sproloquiando e si annidino nei gangli vitali delle istituzioni stesse.
C’é tanta voglia di polizia morale in Italia. Di stabilire cosa è lecito pensare, prima ancora di come è lecito comportarsi. Di mandare in Commissione Segre o davanti a Senati Accademici e Tribunali dell’Inquisizione chi non si omologa al pensiero unico che nasce dal partito democratico passando per le #Sardine e bordeggiando un’Anpi ormai decisamente fuori stagione.
La ragione del rogo che si sta allestendo in Piazza del Campo a Siena e in ogni dove è questa. Non è Hitler che indigna le anime belle del progressismo, è la questione di fondo sul libero pensiero. Chi non si omologa, chi fa post scomodi, indigesti, al limite anche odiosi (se tirati fuori contesto, specialmente) come quello del prof. Castrucci costringe il pensiero ad esercitarsi, a liberarsi. E questo a chi è rimasto stalinista dentro non va bene.
D’altra parte, chi censura – come il vecchio Catone, che voleva distruggere la povera Cartagine a tutti i costi e mandare nel contempo al bando chi non la pensava come lui – non si rende conto che con il suo atteggiamento è proprio lui il primo a giustificare il pensiero che vorrebbe censurare. La foto di Hitler, torniamo a dire, non ci piace per tutto ciò che evoca. Il fatto che oggettivamente certi suoi avversari erano e sono mostri quanto lui è altrettanto fuori discussione, se uno è dotato di senso critico. Il fatto che il prof. Castrucci ha diritto d esprimere il pensiero che gli pare è incontrovertibile, a nostro giudizio. Fintanto che, fino a prova contraria e provata, non fa del male a nessuno.
Ci prepariamo a veder bruciare il prof. Castrucci, e con lui anche quella cassetta della frutta che all’angolo sud-est di Hyde Park garantiva alla nostra anima la principale delle nostre libertà. E i progressisti di questi giorni, che stipati come sardine affollano le piazze circondate da muri dove sono disegnati uomini politici impiccati in effige con la didascalia di orrendi insulti (di un genere che non era permesso nemmeno nel Terzo Reich), quei progressisti non si ispirano a John Stuart Mill, ma a Tomàs de Torquemada, il primo dei grandi inquisitori. Uno dei primi teorici del politicamente corretto. L’uomo che rese sistematico lo sterminio degli eretici, ma anche colui che definì l’ortodossia meglio di chiunque altro: «Il peccato è sempre nell’occhio di chi guarda».
Non condivido le castronerie del prof Castrucci, ma mi batterò sempre perché possa dirle liberamente. Come le castronerie di chiunque altro.
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