La sensazione è che la parabola politica del senatore Matteo Salvini abbia repentinamente imboccato la sua fase discendente. Nella primavera del 2018 il leader della Lega sembrava avere in mano il proprio destino e soprattutto quello del paese. Tra le elezioni politiche – che avevano visto risalire il suo partito dai minimi storici raggiunti ai tempi del Trota fino ad un 17% circa che ne faceva l’ago della bilancia – e quelle europee dell’anno dopo – che avevano disegnato per il Carroccio un’area di espansione di consenso superiore al 30% -, il giovane leone padano era sembrato dotato di tocco magico come Re Mida.
Un leader che non ne sbagliava una, in irresistibile, ineluttabile ascesa. Il leader del centrodestra, con Berlusconi sul viale del tramonto e Giorgia Meloni che era ancora attardata da una rincorsa da posizioni di retroguardia simili a quelle da cui era ripartita la Lega, ma con l’handicap duro a morire del fatto di essere donna (in un paese di baciapile maschilisti anche quando sono di sesso femminile) e del passato missino, neofascista, che continua a pesare per una generazione che non sa più nemmeno di cosa si parli, ma che è ancora facile preda di stereotipi sorpassati.
Salvini era allora un condottiero, che attirava i moderati e soddisfaceva gli oltranzisti. Come il Berlusconi del 1994, pareva destinato ad una facile vittoria, tanto più che gli avversari stessi giocavano per lui: il PD in costante e determinata autodissoluzione, i 5 Stelle sempre più preda delle contraddizioni insanabili tra il proprio programma di governo e quello personale delle individualità portate in Parlamento, costretti anche loro a subire il carisma e l’iniziativa travolgente dell’alleato/avversario, a cui bastava rifarsi ad un semplice, essenziale, efficacissimo slogan: prima gli italiani.
Come succede a volte nelle partite di calcio, se sbagli un gol praticamente a porta vuota, nel momento decisivo, l’inerzia del match passa all’avversario. Nell’estate del 2019, tra la fine di luglio ed i primi di agosto, Salvini ne ha combinate di tutti i colori, facendo saltare gli schemi che fino a quel momento l’avevano tenuto in vantaggio, sbagliando praticamente tutto e riconsegnando il pallone agli avversari.
Quella combinata l’8 agosto del 2019 andrà sui libri di storia con una definizione altrettanto semplice ed essenziale: la stronzata. E’ così che verrà intitolato il capitolo che avrebbe dovuto raccontare della nascita della terza repubblica ed invece finirà per dare conto della rinascita della prima.
Quando Salvini decise di far saltare il Conte 1, forse credeva di avere a che fare con avversari che praticano il fair play. Aveva piuttosto di fronte una forza politica disperata, la sinistra nel suo complesso, il PD rosso e quello giallo, che sapevano di non poter più vincere libere elezioni e di avere tuttavia da garantire interessi inconfessabili nei confronti di sponsor ai quali non piace sentirsi dire: mi dispiace, non ce l’abbiamo fatta. Costoro avevano ed hanno alleati potenti nell’Unione Europea, in situazione analoga anch’essi facendo le debite proporzioni rispetto alle condizioni dei singoli paesi, tutti variamente interessati o preoccupati dall’esperimento italiano di rivolta contro istituzioni e politiche comunitarie.
La stronzata del 8 agosto 2019 fu quella di riconsegnare di fatto il campanellino del governo nelle mani del PD, con i buoni uffici dell’uomo per tutte le stagioni Giuseppe Conte e sotto l’occhio benevolo o distratto dell’arbitro Sergio Mattarella della sezione di Palermo. Da quel momento, per l’uomo che non sbagliava mai è cominciata un’altra storia. Da quel momento, come un tennista improvvisamente a corto di fiato e di risorse mentali, non ne ha più presa una.
Nessuno poteva immaginare l’avvento del coronavirus, ma che il PD facesse in un modo o nell’altro tesoro dell’insperato regalo era prevedibile. Non sapremo mai, probabilmente, come sarebbe stato un governo Salvini. Sappiamo con certezza che Salvini all’opposizione è stato un disastro. Al Conte bis che governa per decreto esautorando un Parlamento compiacente, alle ordinanze che sembrano non avere più logica e fondamento di quelle che i tedeschi promulgavano nel nostro paese nel 1944, il leader leghista ha saputo opporre soltanto discorsi. Che essendo appunto soltanto discorsi, per quanto corretti e pacatamente fondati sulla base dei dati a disposizione, non hanno mai dato la sensazione di potersi tradurre in azioni politiche concrete.
In sostanza, Salvini non ha mai dato la sensazione di poter portare la gente in piazza, a parte le adunate a San Giovanni a Roma che lasciano alla fin fine il tempo che trovano, ed i siparietti davanti Montecitorio tutti distanziati, tutti con la mascherina, tutti bravi e ordinati ragazzi. Come lui.
Matteo Salvini è un bravissimo ragazzo, ed anche capace come pubblicista e come organizzatore. Peccato che, alla prova dei fatti, non si è dimostrato un leader. E Dio solo sa se l’Italia in questo momento di leader ne aveva bisogno. Leader da tempo di guerra, beninteso, perché in tempo di pace – nella soffice democrazia parlamentare allestitaci dai padri costituenti per paura che questo paese un giorno avesse di nuovo un governo forte – son bravi tutti a farlo.
La stronzata del 8 agosto 2019 è costata cara a Salvini, e questo sarà alla fine un problema suo. Ma è costata cara soprattutto all’Italia, che il governo forte, troppo forte, alla fine se l’è ritrovato comunque sul groppone. Un governo di pressappochisti pericolosi e senza più freni, a cominciare dal premier Giuseppe Conte. Ma pressappochista è anche l’opposizione, che ha detto, ha fatto, dirà, farà…. Che alla fine ci tiene segregati in casa con la stessa responsabilità del governo.
Con il povero vecchio Berlusconi preoccupato ormai di salvare le sue aziende come nel 2011 e disposto pertanto a votare qualsiasi sconcezza PD, con Salvini che ormai fa più notizia quando posta le foto del suo pasto serale sul suo profilo Facebook, ci resta solo la Meloni.
Aiutaci Giorgia, sei la nostra unica speranza.
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