La carta simboleggia il fato, l’equilibrio precario e la mutevolezza della sorte. Tutto evolve, muta e ciò che sta in alto cadrà e viceversa.
Il destino dell’uomo e delle sue cose è compreso tra la frase greca panta rei (tutto scorre) e quella latina sic transit gloria mundi. Il destino degli eroi in questo paese è stato descritto una volta per tutte dall’aforisma di Bertolt Brecht: disgraziata la patria che ne ha bisogno.
L’Italia ne produce tanti di eroi, ma non ama farlo, e puntualmente li ringrazia lasciandoli a terra quando qualcuno li abbatte, e magari è tanto se per soprammercato non sputa loro addosso en passant. Ultimi in ordine di tempo gli angeli delle corsie a cui un anno fa una plebe terrorizzata si inchinava reverente e grata, salvo poi dimenticarsi totalmente di tali sentimenti al giro di boa successivo.
Marzo 2020. Il governo Conte dichiara la rotta come a Caporetto. Altro che tutto sotto controllo. Il nemico ha sfondato, stavolta non sono gli austro-ungarici della strafexpedition ma il coronavirus che tutti sapevano in arrivo e verso cui nessuno si è peritato di assumere le benché minime contromisure. L’Italia si chiude in casa, per le strade deserte delle città pattugliano i vopos e si aggirano soltanto coloro che dall’andare al lavoro non possono esimersi. Sono quelli dei servizi essenziali, i tutori dell’ordine appunto, gli addetti alla grande distribuzione e gli operatori sanitari.
Termine ingiustamente omnicomprensivo: i medici di base in realtà spariscono repentinamente come le lucciole all’alba. Restano quelli d’ospedale. Restano soprattutto coloro che da sempre sono abituati a rispondere presente. A tenere quella lampada consegnata loro in mano in una notte buia di Crimea da una signora che li aveva addestrati come fossero i più efficienti tra i corpi militari: gli infermieri.
Mentre il paese se lo mangia lo psicodramma collettivo che riporta il calendario al 1628 e forse ancora più indietro al 1348, la gente che ha bisogno di eroi come quelli che la Domenica del Corriere propinava dal lontano fronte al tempo della Grande Guerra riscopre la categoria di cui ha da sempre bisogno quando le cose per la salute si mettono male, e le notti e i giorni in ospedale sono lunghi ed inquietanti da passare. C’é da sempre, ma come detto l’Italia non è un paese che ringrazia d’abitudine e volentieri i suoi benemeriti, figurarsi chi ogni poco è costretto a vestire i panni dell’eroe.
Gli infermieri vestiti come in Cassandra Crossing si guadagnano le prime pagine di tutti i giornali e le commosse preghiere di ringraziamento di un popolo che, costretto tra mura domestiche diventate l’ultima ridotta per la sopravvivenza, non sa più davvero a che santo votarsi, su che istituzione fare riferimento.
Come i carabinieri di una volta, gli infermieri sono usi a obbedir tacendo e tacendo morir, se del caso. E ne muoiono, anche perché la prima linea viene mandata allo sbaraglio con quattro cenci da mettersi sul viso giusto per figura. I presidi sanitari avanzati di cui dovrebbero essere dotati da almeno vent’anni a questa parte sono rimasti nei bilanci di uno Stato che ha cose più interessanti e divertenti da fare, o finiti nelle tasche di chi i canali d’accesso a quel bilancio, a questo Stato, li conosce fin troppo bene.
Nell’ora del massimo bisogno, agli infermieri che lavorano anche dodici giorni continuativi senza mai staccare, che non andranno in ferie per due anni, che saranno costretti in molti casi anche ad isolarsi dalle stesse proprie famiglie, che si ammaleranno come i loro pazienti e come i loro pazienti verranno curati poco e male secondo protocolli da medicina seicentesca; a questi infermieri che – ripetiamo – non passa giorno che qualcuno chiami con voce stentorea eroi viene promesso di tutto, da favolosi incrementi di stipendio (uno stipendio fermo a tre o quattro riforme sanitarie fa, mentre quello dei medici insegue ormai quello degli attori del cinema) ad altrettanto favolosi riconoscimenti giuridici, non ultimo quello che ne vorrebbe fare degli operatori sanitari indipendenti (dai medici) sul territorio. Il cavalierato della Repubblica e addirittura il Premio Nobel per la pace (che poi non arriveranno mai, perché nel frattempo sono entrati in gioco altri beniamini come le cause farmaceutiche e le loro pozioni magiche) sembrano addirittura atti dovuti e scontati.
Marzo 2021. Un anno dopo, il paese ha scordato tutto meno la paura di morire collettiva che ha tolto dal calendario della vita vissuta l’intero anno solare appena trascorso, durante cui in sostanza si é soltanto aspettata la morte chiusi nei propri bunker domestici. Soprattutto ha scordato gli eroi ed i loro atti di eroismo.
E’ partita la campagna vaccinale, moderna kermesse di spaccio di elisir di lunga vita, per non dire di peggio, che ben presto viene presa in mano da un nuovo governo: quello di Draghi, che con piglio da feldmaresciallo Kesselring dichiara sul territorio nazionale una specie di legge marziale adeguata ai tempi.
Ai sanitari che rifiutano l’iniezione che la Costituzione vorrebbe non obbligatoria ma che i decreti della kommandantur di Draghi impongono sempre meno surrettiziamente come tali, viene proposta una sola alternativa: il plotone di esecuzione civile costituito da una sospensione dal lavoro senza stipendio che viene comminata se del caso fino a tutta la durata dello stato di emergenza. Uno stato di emergenza che la classe politica e quella farmaceutica, per motivi complementari, vorrebbero che non finisse mai.
Gli eroi del nostro 11 settembre domestico nel giro di poco diventano gli ebrei del ventunesimo secolo. Sì, perché loro sanno, e si rifiutano a ragion veduta, comprendendo che nella fialetta a cui attinge l’ago vaccinale non c’è roba buona, ma roba strana ed anche tagliata male. Basta essere stati attenti a poche lezioni alla Scuola Infermieri per saperlo.
Ma per il popolino che corre a vaccinarsi così come ottant’anni prima era corso ad offrire l’oro al Duce, gli infermieri diventano il nemico interno da stanare e debellare. Dallo stipendio raddoppiato a quello annullato, dal riconoscimento di un ruolo pari a quello dei medici (che non a caso nel frattempo si stanno fiondando tutti sulla marchetta vaccinale per gettoni di partecipazione che mediamente si aggirano sui 70 euro a botta, cioè a vaccino inoculato) alla privazione di qualsiasi ruolo, di qualsiasi esistenza in vita professionale, il passo è stato brevissimo.
Nell’autunno del 2021 da una parte c’è un governo i cui esponenti non fanno mistero, sghignazzando come l’osceno nano Brunetta, di ritenere geniale ogni nuova malversazione messa a punto per costringere a bucarsi chi fino a quel momento ha esercitato i propri diritti tenendo duro. Dall’altra ci sono loro, gli infermieri chiamati sprezzantemente no vax, coraggiosamente determinati a non cedere, anche se pare che tutto sia perduto fuorché l’onore. E altre categorie essenziali si preparano a seguirne la sorte, mentre una giustizia letargica come l’orso d’inverno stenta addirittura a dar segni di vita latitando in una serie di materie che costituirebbero il corso base di educazione civica alla scuola dell’obbligo.
Il vento sta cambiando di nuovo, l’emergenza è palesemente finita e lo Stato che l’ha dichiarata è già in cerca di italiane scappatoie per sopravvivere all’onda di riflusso, e magari alla voglia di linciaggio da parte di chi ha sofferto pesantemente per causa sua. Un Draghi che forse vede in lontananza i riflessi filmati di Piazzale Loreto 1945 fa sapere che dal 1° gennaio si torna alla legislazione normale.
A quel punto partirà un’altra storia, quella dei reintegri e dei risarcimenti, viene da ridere se si pensa che questo Stato ha ancora da indennizzare i terremotati di Belice 1908. Come dopo l’ultima guerra, gli antifascisti torneranno in libertà ed i fascisti si faranno dimenticare come meglio possono. Già, ed agli eroi del 2020 perseguitati nel 2021 due anni di vita (più quelli rovinati comunque, perché tornateci voi a lavorare come nulla fosse in mezzo a colleghi figli di puttana, superiori che vi hanno tartassato arbitrariamente e che la stanno facendo franca, istituzioni che vi hanno mostrato i denti della iena e che magari adesso vorrebbero lisciarvi con lingua sempre di schifosa iena) chi glieli restituisce?
Sic transit gloria mundi, ma al paese che dimentica sempre di esser grato con chi lo tiene in piedi resta in eredità dopo due anni di covid un sistema sanitario pubblico distrutto, con un numero esiguo di operatori in gamba sopravvissuti e una moltitudine di cittadini – pazienti che hanno riscoperto il gusto di vecchie patologie ormai sotto controllo, perché per due anni non si è curato altro che lo psico-covid.
L’abbiamo fatta un po’ lunga? Saranno lunghi piuttosto gli anni a venire, e per quanto riguarda la signora della lampada che rischiarava le nostre notti più buie e più paurose, sapete che c’è?
Non c’è più. Buonanotte Italia.
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