Avvento 2023

Avvento 23 – Giorno 15 – Morire per Gaza

«La nostra politica è quella di fomentare le guerre, ma dirigendo Conferenze di Pace, in modo che nessuna delle parti in conflitto possa avere guadagni territoriali. Le guerre devono essere dirette in modo tale che le Nazioni, coinvolte in entrambi gli schieramenti, sprofondino sempre di più nel loro debito e, quindi, sempre di più sotto il nostro potere».

(Mayer Amschel Rothschild, banchiere)

L’America è un paese la cui popolazione proviene in parti uguali da due elementi indesiderati della società dell’epoca in cui nacque. Galeotti ed idealisti furono scaricati sulle spiagge del New England affinchè non si ripresentassero mai più in madrepatria. Da lì in poi, la nascente nazione si avvalse di loro sempre in parti uguali per costituire la propria classe dirigente. Galeotti (nell’animo) e idealisti si alternarono al potere, come presidenti, senatori, uomini destinati in vario modo alle stanze dei bottoni.

Fu uno degli idealisti a disegnare l’America del ventesimo secolo e a decretarne l’incapacità di fondo di confrontarsi efficacemente con il suo destino manifesto, secondo molti il governo del mondo.

Woodrow Wilson era un puritano che credeva nella possibilità di fare del mondo che aveva dato il peggio di sé nella prima guerra mondiale una congregazione dove ognuno coltivasse le migliori inclinazioni, come succedeva in ogni chiesa presbiteriana americana. La Società delle Nazioni nacque per questo, e morì presto perché il suo ingenuo idealista promotore si era dimenticato di prevedere strumenti concreti affinché l’organismo internazionale potesse efficacemente imporre comportamenti positivi ai suoi spesso riottosi e malintenzionati membri.

Quando galeotti ancora peggiori di quelli del 1914 scatenarono la seconda guerra mondiale, fu chiaro a tutti che se il mondo stavolta fosse sopravvissuto sarebbe stato necessario che l’organismo sovranazionale fosse dotato del famoso randello di Theodore Roosevelt, da tenere sempre pronto dietro le spalle.

Questa è la storia. Nel 1945 mentre mezzo mondo si guardava attorno restando attonito alla vista de macerie in cui erano ridotte città e interi paesi una volta fari di civiltà, a San Francisco prima ed a New York poi si riunirono gli stati che avevano accettato il nuovo statuto dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Un mondo governato dalle grandi potenze, senza più le illusioni congregazionaliste del primo dopoguerra ma con adeguati strumenti necessari ad imporre a qualunque sconsiderato comportamenti più consoni ad una razza umana che pretendeva di essere arrivata ad uno stadio di evoluzione superiore a quello dei semplici primati.

A New York, al Palazzo di Vetro si insediarono le cinque potenze vincitrici della guerra: Stati Uniti, Unione Sovietica, Cina (senza sapere che di lì a poco sarebbe diventata comunista), Gran Bretagna e Francia (allora oltretutto potenze coloniali). A queste nazioni privilegiate fu offerto un seggio permanente nel cosiddetto Consiglio di Sicurezza, il direttorio mondiale che veniva integrato con dei membri temporanei, per stemperare quello che sembrò da subito l’ennesimo campo di battaglia della Guerra Fredda.

Il difetto infatti che presentò fin da subito la nuova istituzione fu che il sistema dei veti incrociati si traduceva spesso in un forzato immobilismo, di fronte alle situazioni più drammatiche che si verificavano nelle varie zone del mondo. Dalla Corea in poi, 1950, l’Onu ha quasi sempre assistito inerme a guerre di ogni tipo e localizzazione, fino alla recente recrudescenza del conflitto medio-orientale. I veti di una superpotenza paralizzano le risoluzioni di un organismo che alla prova dei fatti non si dimostra più efficace del suo predecessore tra le due guerre.

L’ennesima crisi palestinese dimostra ormai una sola cosa: arabi e israeliani vanno fermati, con le buone o con le cattive. Altrimenti è inutile piangere su queste o simili tragedie. Sono lacrime di coccodrillo. Ma il fatto altrettanto certo è che al momento nessuno, dentro o fuori le Nazioni Unite, sembra essere in grado di farlo.

Gli Stati Uniti che votano la continuazione della guerra di rappresaglia israeliana sono la prova di una ONU che funziona ancora secondo la logica degli interessi nazionali, o di potenza. Allo stesso modo, la Russia (che ha ereditato il seggio dell’Unione Soietica) si tuffa a volo in una occasione che sposta l’attenzione mondiale da quanto succede in Ucraina. Quanto alla Cina, tutto ciò che mette in difficoltà le altre superpotenze è ben accetto.

Da Kiev a Gaza si continua a morire, i Caschi Blu sono un ricordo del passato. E come le vittime dei moderni conflitti, l’ONU come l’abbiamo conosciuta ha fatto il suo tempo, e sembra andare incontro al suo inesorabile destino.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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