Avvento 2023

Avvento 23 – Giorno 16 – La dottrina di Monroe

Se vuoi conoscere la vera natura di un uomo, devi dargli un grande potere.

(Pittaco, filosofo greco)

Si chiamava Heinz, la sua famiglia apparteneva alla piccola-media borghesia ebraica tedesca che dopo il 1938, dopo la notte dei cristalli, dovette preoccuparsi soltanto di fuggire, mettendo quanti più chilometri possibili tra sé ed il Terzo Reich trionfante.

Negli Stati Uniti dove la sua famiglia riparò, il giovane Heinz divenne Henry e la sua patria divennero le stelle e strisce che combattevano il nazismo. Il giovane Henry sarebbe tornato nella natia Germania con le truppe alleate di occupazione, avvantaggiato dal fatto di parlare il tedesco.

Henry Kissinger aveva i numeri per una grande carriera in politica, dopo la guerra si laureò ad Harvard come buona parte della elite wasp del Nordamerica. Dopodiché aspettò la sua occasione. Che arrivò clamorosamente quando Richard Nixon, il presidente che voleva riportare l’America allo splendore degli anni 50, lo nominò segretario di stato. Cioé a dire, ministro degli esteri.

Visto il suo background, ti saresti aspettato un conservatore alla Henry Cabot Lodge, inflessibile con l’Unione Sovietica ma anche nel rispetto dei diritti civili, almeno per l’etnia bianca che allora dominava la politica e la società americana. Un tipico membro di quella Ivy League che costituiva l’equivalente statunitense delle britanniche Oxford e Cambridge. Un uomo capace di osservare impassibile Nikita Kruscev battere sullo scranno la sua scarpa destra nella più clamorosa delle proteste, lasciando che si desse una calmata da solo senza abboccare alle suggestioni di terza guerra mondiale.

Ti saresti aspettato che il ragazzo ebreo che da piccolo aveva visto Auschwitz Birkenau da molto vicino fosse cresciuto con un minimo di empatia per chi in ogni parte del mondo rischiasse di andare incontro a sorti analoghe.

Henry Kissinger fu in realtà un brillante diplomatico, troppo innamorato del potere che si era ritrovato tra le mani, troppo lusingato dai successi mietuti nel suo primo mandato (mettere la Cina di Mao contro l’URSS di Breznev fu un capolavoro), troppo convinto che gli interessi americani nel mondo non avessero prezzo, valessero qualsiasi sacrificio, anche quello di una Costituzione che non ammetteva eccezioni.

Gli aericani avevano eletto Nixon a collo torto, il personaggio era poco rassicurante, ma ambizioso. La sua principale ambizione era riportare gli USA dove Eisenhower li aveva lasciati, e dare un nuovo senso al manifest destiny nazionale ed alla dottrina di Monroe. L’America come leadership del mondo libero, l’America agli americani, dall’Alaska alla Terra del Fuoco.

Kissinger era fatto ad immagine e somiglianza di Nixon, e gli servì su un piatto d’argento quello che voleva. In Sudamerica fu un orrendo bagno di sangue, Cile e Argentina avrebbero maledetto il nome di Monroe ed anche il suo per decenni, Kissinger non avrebbe mai avuto scrupoli su quello che aveva fatto per evitare una nuova Cuba. Pinochet e Videla divennero incterlocutori privilegiati di una amministrazione che avrebbe lasciato una pesante eredità al sogno americano ed alla sua illusione di essere condivisibile in tutto il mondo che credeva e voleva davvero restare libero.

Henry Kissinger se n’è andato poche settimane dopo il suo centesimo compleanno. In silenzio, così come nel 1990 se n’era andato il suo presidente Richard Nixon, uno dei più controversi occupanti della Casa Bianca.

Kissinger non aveva mai perso l’accento tedesco con cui era sbarcato ad Ellis Island. Né forse aveva mai perso quella mentalità acquisita in quella terribile guerra secondo cui ogni mezzo è lecito per vincere.

Alla notizia della sua morte, poghe righe in cronaca. Eppure è stato uno degli uomini più influenti del ventesimo secolo. Ma il fatto è che forse troppi orrori ormai si sono succeduti a quelli dei suoi tempi e della sua politica. Troppi ebrei riscoprono anche adesso inflessioni tedesche nel loro parlare e soprattutto nel loro agire. Troppo sangue è stato versato dall’incapacità dell’aquila americana di volare ad altezze che forse il figlio del maestro di scuola di Furth, Baviera, non aveva mai compreso fino in fondo, inconsapevolmente influenzato da un’altra aquila sotto il cui stemma era venuto al mondo.

Un aquila che poggiava i piedi su di una croce strana, una svastica, un simbolo strano, perverso, che forse dopo la guerra mondiale è rimasto nell’inconscio di tutti noi.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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