Avvento 2023

Avvento 23 – Giorno 20 – Santa Madre Russia, per noi sempre un enigma

«Nell’armata Sovietica ci vuole più coraggio a ritirarsi che ad avanzare.»

(Josif Stalin)

«Il popolo russo ama vivere in pace e bene. Nella sua storia, la Russia non ha mai dichiarato guerre di espansione come la Francia di Napoleone e la Germania di Hitler, ma solo patito quelle di altri.»

(Paolo Savona)

«Abbiamo una Russia risorgente piena di risentimento verso la Ue, e impegnata a riasserire se stessa come rivale degli Stati Uniti. È una Russia molto potente e molto ostile verso l’Europa. Ma la Ue non lo capisce e si divide.»

(George Soros)

«Avremmo tutto l’interesse a tirare anche la Russia dentro l’Unione europea. Ci garantirebbe sul fronte dell’energia e anche su quello della cultura.»

(Marine Le Pen)

«Chi non rimpiange la disgregazione dell’URSS, non ha cuore, chi vuole ricrearla così com’era, non ha cervello.»

(Vladimir Putin)

Novembre 1989. Il muro di Berlino è appena caduto, i regimi comunisti sono in crisi in tutta l’Europa dell’Est, soprattutto quello della D.D.R. che appare sul punto di essere spazzato via da un momento all’altro. Nella Germania Democratica si susseguono i tumulti popolari e le manifestazioni contro il regime agonizzante. La folla che chiede l’arresto del primo ministro dimissionario Honecker, dei suoi accoliti e della nomenklatura comunista, sembra sul punto di fare irruzione nei palazzi del potere che arretra, per farsi giustizia da sé.
A Dresda, nell’edificio dove ha sede la filiale locale del KGB sovietico, accanto a quella del servizio gemello della Germania Orientale, la Stasi, un giovane ufficiale russo si trattiene praticamente da solo, impegnato a bruciare personalmente un’enorme quantità di fascicoli dell’archivio del servizio segreto per impedire ai manifestanti di entrarne in possesso.

Finché il 5 dicembre l’ormai fragile argine si rompe, la folla inferocita riesce a penetrare nella sede della Stasi, mettendola a ferro e fuoco. Dopodiché intenderebbe fare lo stesso, attaccando l’ancora più odiato KGB. Gli 007 sovietici superstiti chiedono al vicino distaccamento dell’Armata Rossa di intervenire, ma la risposta è negativa: da Mosca non arrivano più ordini, e nessuno se la sente di prendere iniziative che potrebbero tra l’altro facilmente portare ad una carneficina sotto gli occhi di tutto il mondo.

Il giovane russo che brucia i documenti è rimasto l’ufficiale di grado più alto dopo la fuga dei suoi superiori. Decide con notevole coraggio e sangue freddo di uscire in cortile a fronteggiare la folla, alla quale si qualifica come interprete e spiega che quello è territorio sovietico, e che lì non può stare.

Le sue parole sono lapidarie. «Ho 12 pallottole. Una la lascio per me. Ma compiendo il mio dovere, dovrò sparare».

A voi, è il sottinteso. Davanti, il russo ha un assembramento di migliaia di persone, ebbre di alcool e di libertà appena ritrovata. Ma in qualche modo nessuna di esse se la sente di andare a vedere se le parole di quel soldato solitario sono un bluff, o corrispondono alla realtà di quello che può davvero succedere.

La folla, è cronaca, si ritira. Il nome di quell’ufficiale russo, destinato a passare alla storia, è Vladimir Putin. E qualche anno dopo, il 26 marzo del 2000, verrà eletto per la prima volta presidente della Federazione russa sorta dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica.

A quest’uomo il suo partito, Russia Unita, da lui fondato, ha appena confermato il sostegno per la sua quinta rielezione alle elezioni politiche del prossimo marzo. Putin ha detto di essere stato un «ingenuo a non capire in tempo che obiettivo dell’Occidente era di approfittare di una disintegrazione anche della Russia dopo il crollo dell’Unione Sovietica».

Assicura di non volere inseguire alcuna rivalsa e nega ogni intenzione di attaccare Paesi della Nato, definendo fesserie gli allarmi di questo tipo lanciati dal presidente americano Joe Biden.

La Russia «non ha nessun interesse a combattere la Nato, né geopolitico, né economico né militare. Ma non può, non vuole, come altri Paesi, rinunciare alla sua sovranità ed essere il satellite di qualcuno in cambio di qualche salsiccia».

Un destino che invece, secondo la sua interpretazione, le era riservato dagli Usa dopo la caduta dell’Urss. Il presidente russo ha affermato che l’ex consigliere per la sicurezza nazionale americano Zbigniew Brzezinski aveva addirittura un piano per dividere la Russia in cinque parti e sfruttare le sue risorse.

Putin dice che gli anni passati come ufficiale del Kgb e poi capo dei servizi d’intelligence russi Fsb non bastarono a fargli capire quali progetti avesse l’Occidente. Per il presidente russo, dunque, la sua politica attuale, compreso l’intervento militare in Ucraina, è volta a rimediare a questo errore. E per questo si ricandida per un quinto mandato che lo porterà a guidare la Russia fino al 2030.

Sul risultato del voto non esistono dubbi, non solo perché praticamente tutte le voci critiche tra i politici, gli attivisti e i media sono state messe a tacere, ma anche perché, secondo i sondaggi di istituti non sospetti di connivenza con il Cremlino, la grande maggioranza dei russi condivide la visione del presidente.

Sostenendo l’Ucraina, noi siamo sicuri piuttosto di essere dalla parte giusta? Perfino il Congresso USA ha chiuso i rubinetti dei finanziamenti a Zelensky. Chi resterà con il cerino in mano?

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

Lascia un commento