Calcio

Azzurri ad un passo dall’Anno Zero

Intristiti da un mediocre presente, eravamo aggrappati alle vestigia di un glorioso passato. A quelle quattro stelle che campeggiano sullo scudetto tricolore della maglia azzurra, simboleggianti gli altrettanti titoli mondiali vinti, in tre epoche diverse. A quel nome ripetuto sull’Albo d’Oro dei Campionati Mondiali di Calcio: Italia, sempre presente a tutte le edizioni disputate, tranne una. Seconda dietro al Brasile sempre qualificato, ma si sa, il Brasile nei gironi sudamericani ha spesso avuto vita più facile, vuoi mettere con le qualificazioni europee?

Nel 1958, l’Italia degli oriundi guidata dal C.T. Alfredo Foni (ex colonna portante delle Nazionali di Vittorio Pozzo che conquistarono l’oro olimpico a Berlino nel 1936 e il titolo mondiale a Parigi nel 1938) si era fatta sorprendere a Belfast dall’Irlanda del Nord nell’ultima decisiva partita. Convinto di andare a passeggiare, con una squadra che schierava gente del calibro di Ghiggia, Schiaffino, Montuori, Foni affrontò la prova con cinque attaccanti e nessun centrocampista, rinunciando anche al blocco difensivo della Fiorentina campione d’Italia due anni prima. Fini 2-1 per gli irlandesi, Ghiggia espulso per fallo di reazione alle provocazioni avversarie, assai pesanti a detta di chi assisté alla partita. Cornuti e mazziati. Italia fuori dai mondiali, ritorno degli azzurri nella notte per evitare contestazioni.

Fu l’unica volta, e sembrò più un incidente di percorso, dovuto allo scarso impegno di giocatori già allora superfamosi e superpagati. Ma il calcio italiano era e restava d’avanguardia, se fuoriclasse come Ghiggia, Schiaffino, Montuori, Pesaola, Da Costa e tanti altri lasciavano il loro paese per venire a giocare da noi, e addirittura accettavano la naturalizzazione per giocare in maglia azzurra.

A quanto pare, la storia potrebbe ripetersi lunedi prossimo, e stavolta si tratterebbe di una eliminazione giusta, per quanto cocente. Maturata per meriti, anzi demeriti sportivi non contingenti ma strutturali, epocali. Il nostro calcio non vale più niente, né a livello di allenatori né di giocatori. Gli stranieri migliori evitano ormai accuratamente la penisola per andare a giocare in campionati più prestigiosi, oltre che più ricchi. I pochi giocatori italiani di valore ormai si consumano i denti a forza di stringerli per tenere alto il proprio nome e quello del nostro calcio, ma non ce la fanno più.

Non è un caso che la batosta di Solna contro la Svezia, simile peraltro nei risvolti – diciamo così – tecnici a quella di Belfast di sessant’anni fa, sia maturata a due giorni dall’addio di uno degli ultimi campioni di Berlino 2006, Andrea Pirlo. E per una sfortunata deviazione del vecchio e carico di gloria guerriero De Rossi su un tiro dello svedese Johansson con ancor meno pretese dei classici tiri senza pretese. Ma tant’è, la sorte a volte sceglie di percorrere strade che in qualche modo hanno una loro giustizia intrinseca, recondita.

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1-0, lunedì a San Siro sarà durissima ribaltare questa sorte contro una Svezia tosta, non eccelsa ma non peggiore di noi, e storicamente determinata ad essere la nostra bestia nera. I precedenti non mancano, e non stiamo qui a ripercorrerli. L’Italia confusionaria e poco tecnica di Giampiero Ventura a Milano si troverà di fronte una falange di scandinavi compatta, ed è verosimile che martedi mattina saremo qui a commentare uno psicodramma collettivo: la certificazione del fatto che i nostri eroi i prossimi mondiali di Russia li vedranno comodamente seduti sui rispettivi divani. E via, come sempre alle interrogazioni parlamentari e allo strapparsi i capelli in pubblico.

E’ tardi, anche per sceneggiate che non servono a nulla. I nostri vivai, oppressi da una mancanza di sbocco nella massima serie – e addirittura negli stessi campionati Primavera – dalla stessa migrazione africana selvaggia che sta producendo danni od ogni livello della nostra società, nonché dal business che vede coinvolti procuratori e direttori sportivi nella caccia ai più economici ed in prospettiva plusvalenti slavi, sudamericani e – appunto – africani (di tecnica mediocre, pagati due piotte, rivenduti a cifre che permettono guadagni personali consistenti), non producono più e non possono più produrre campioni come quelli che avevamo fino a dieci anni fa.

Quei pochi che emergono, i Bernardeschi, i Chiesa, gli Insigne, devono sputare sangue per vedere il campo, ignorati da allenatori mediocri come l’attuale commissario tecnico, che in altri tempi avrebbe durato fatica a trovare una panchina in C1. Del resto, quei pochi bravi – un nome su tutti, Antonio Conte – preferiscono non compromettere più la propria faccia in quell’impresa disperata che è far bene con la maglia azzurra ed emigrare, anche loro, verso lidi più promettenti e remunerativi.

Vorremmo tanto essere smentiti, vecchi tifosi della Nazionale come siamo, ma crediamo che per i rabberciati soldati di Ventura sia arrivata ormai l’ultima battaglia. San Siro avrà poche luci lunedi sera, e verosimilmente non azzurre. Gli sberleffi svedesi saranno stavolta insopportabili. E non potremmo più dire: Italia, sempre presente, tranne una volta….

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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