E dunque, une autre gifle, un altro schiaffo in faccia della Francia ad un’Italia che aspetta giustizia da più di 40 anni, e che non si immaginava mai di vedersela negata all’infinito proprio dai cugini che un tempo esportarono anche qui da noi liberté, egalité, fraternité e insieme giustizia, democrazia e civiltà.
Lo schiaffo era atteso, peraltro. Il 22 giugno scorso la Corte d’Appello di Parigi aveva negato l’estradizione nel nostro paese degli ultimi 10 BR rimasti a gozzovigliare nel paese che ha dato loro ricetto fin dalla fine degli anni di piombo.
Eccoli qui, assassini, mandanti di assassini, fiancheggiatori e complici di assassini. Gente già condannata in contumacia (per propria scelta) e che si può tranquillamente definire come «disgraziata», come fa Adriano Sabbadin, figlio di Lino, macellaio veneto ucciso a sangue freddo nel 1997. Gente che non ha mai avuto una sola parola di ravvedimento, come sottolinea Mario Calabresi, figlio di Luigi, commissario di polizia ucciso a Milano nel 1972. Gente che se la gode nella ville lumière e continuerà a farlo, come twitta allegramente Enrico Galmozzi, ex mai pentito di Prima Linea.
Eccoli qui, da sinistra verso destra: Giorgio Pietrostefani, Marina Petrella, Luigi Bergamin, Enzo Calvitti, Maurizio Di Marzio. Alla riga inferiore: Roberta Cappelli, Sergio Tornaghi, Narciso Manenti, Giovanni Alimonti, Raffaele Ventura. Almeno Cesare Battisti, mandante dell’omicidio di Lino Sabbadin, il Brasile del famigerato Bolsonaro ce lo ha ridato. La civile Francia continua a difendere l’indifendibile, e questi dieci infami continueranno a beneficiare della sua malintesa battaglia di civiltà.
Ieri la Corte di Cassazione ha chiuso per sempre il discorso. Chi ha ucciso, chi ha versato sangue in Italia troverà rispetto eterno in Francia per una sua vita privata che a sua volta ha negato ad altri, togliendola loro del tutto. Erano gli anni di piombo, d’accordo, ma costoro sono quelli che il piombo l’hanno diretto verso altre persone. E non se ne sono mai pentite.
Ai tempi di Mitterand, i progressisti francesi sostenevano che in Italia il diritto penale ed il sistema giudiziario nel loro complesso erano arretrati, e non garantivano affatto l’equo processo e l’equa sanzione a chi era imputato di delitti politici. Per quanto paragonare un Oreste Scalzone ad un Sandro Pertini fosse una evidente bestemmia storica ed un misunderstanding di civiltà, un fondo di verità tuttavia c’era. Ma dopo la riforma dei codici del 1989, patrocinata da personalità del calibro di Giovanni Falcone (sfidiamo chiunque a trovare in tutta la Francia un magistrato capace di stare alla pari del nostro giudice coraggioso), la questione sembra diventata pretestuosa. Parte integrante di una forma di disprezzo complessivo a cui i nostri presunti cugini indulgono spesso, praticamente ogni volta che possono.
Perfino il presidente Macron si era accorto, dopo il grado precedente di giudizio esperito nel giugno scorso, dell’iniquità di fondo e perdurante della posizione transalpina, dando mandato alla procura generale del suo stato di chiedere la concessione dell’estradizione per persone macchiatesi di sangue che meritavano di essere finalmente giudicate nel loro paese.
Quel giudizio non ci sarà mai. La motivazione dei giudici francesi, che evidentemente ormai sono scaduti al livello di scarsa consapevolezza giuridica di molti loro colleghi italiani, si basa sulla assurda necessità di garantire la vita privata di chi dovrebbe da tempo vivere quella vita in galera.
Et bien. Prendiamo e portiamo a casa. Per i nostri poveri morti e per i loro familiari senza giustizia non c’é e non ci sarà pace. Per ringraziare quei nostri vicini che continuiamo a chiamare cugini (la parentela con i quali sarebbe l’ora di rimettere in discussione, così come tanta loro prosopopea circa il diritto di primogenitura della società civile sorta dopo il 1789) ormai basta solo una parola: la celebre e sintetica pronunciata a suo tempo dal loro generale Cambronne.
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