Diario Viola Fiorentina

Cesare Prandelli, gli anni dell’ombra

Cesare Prandelli, immagine emblematica

C’é un’immagine simbolo della disastrosa spedizione azzurra ai mondiali brasiliani del 2014. La squadra risale mestamente sul pullman diretto verso casa dopo l’eliminazione per mano dell’Uruguay. Da una parte i giocatori, il mister, lo staff. Facce peste, quelle che abbiamo visto altre volte, a Stoccarda nel 1974, a Napoli nel 1990, a Città del Capo quattro anni prima. Facce di chi si preoccupa e si vergogna anche a proposito dell’accoglienza dei tifosi, oltre che della figuraccia rimediata. Dall’altra c’é lui, da solo, imperturbabile, Mario Balotelli, immerso nella musica delle sue cuffiette che paiono isolarlo dal resto dell’Italia e del Mondo quanto e più del proprio carattere di rabbioso, ingovernabile, inconsapevole genio e sregolatezza. Pare un adolescente in gita, che si disinteressa delle occhiatacce di professori e compagni. L’Italia piange e Balotelli se la ride.

Sic transit gloria mundi. La gloria è così che passa a questo mondo. Due anni prima, Cesare Prandelli era il nuovo verbo, l’uomo del momento, dell’ennesimo momento tra quanti ne erano seguiti a quel suo brillante esordio sulla panchina di un Parma in cui i Tanzi non mettevano più una lira di quelle salvate dalla bancarotta.

CesarePrandelli210324-003Due anni prima Cesare aveva fatto un miracolo, rivitalizzando la bollita nazionale del Lippi bis e portandola ad una finale europea in cui era mancato forse soltanto il coraggio di escludere alcuni big esausti, per vincere o quantomeno perdere più onorevolmente da una fortissima Spagna che pure nel girone avevamo già messo in difficoltà. Si fa male però a togliere un Cassano, per quanto zoppicante, o un Balotelli che appena tre giorni prima è stato battezzato come eroe per aver schiantato la Germania in semifinale praticamente da solo.

Dimenticato l’ingeneroso e non si saprà mai quanto inevitabile 4-0 di Kiev, a Manaos in terra di Brasile la spedizione guidata da Cesare sembrava avere comunque addiritura più chances, sempre affidate tuttavia all’estro incostante di Balotelli. Capace addirittura di rinverdire la vecchia staffetta Mazzola – Rivera sintetizzandola in se stesso. Fuori il dott. Jekyll, dentro Mister Hyde.

CesarePrandelli210324-002Sulla questione del controllo mentale di Balotelli, si giocò di fatto la carriera di Prandelli. Battuta ancora l’Inghilterra, come in Ucraina due anni prima, messi sotto dal football americano del Costarica, eliminati dal gol in chiusura dell’Uruguay seguito al morso irridente ed allucinante di Suarez a Chiellini, l’Italia era sembrata tuttavia pagare non solo le fasi lunari dell’ex Supermario ma anche il conto preparato da tempo e presentatole in quella occasione da Sepp Blatter, a cui non era andata già la vittoria azzurra a Berlino e che da allora aspettava la sua rivincita. Detto fatto, seconda eliminazione al primo turno per gli ex campioni del mondo.

Il Prandelli che risaliva sul pullman a Manaos cercando di non guardare verso l’inguardabile Balotelli era un uomo segnato, anche se avrebbe dovuto accorgersene soltanto in seguito dopo altre e se possibile peggiori batoste. Un giorno credi di esser giusto, cantava Edoardo Bennato. Che tutto ciò che tocchi seduto sulla Panchina d’Oro debba diventare oro per forza. Che il calcio e la buona sorte procedano sempre al tuo fianco.

CesarePrandelli210324-001Il giorno dopo il germe della sconfitta ti è entrato dentro in una maniera che si rivelerà incurabile. Il tuo nome non verrà mai accostato a quello di Pozzo, di Bearzot, di Lippi o di Valcareggi. Nemmeno a quello di un Vicini a cui non viene perdonato addirittura un terzo posto casalingo, ad un Sacchi a cui viene rinfacciato addirittura un secondo, come a Valcareggi stesso. Il tuo nome verrà accostato ingloriosamente ad un Lippi bis che manca poco viene buttato in mare a Viareggio dagli stessi che quattro anni prima facevano a gara per legargli la cima della barca al molo. O peggio ancora, a quell’Edmondo Fabbri diventato proverbiale, insieme al nome della squadra che aveva ridicolizzato i suoi campioni, la Corea del Nord capitanata da un dilettante di professione dentista.

Tutto questo si agita dentro Cesare Prandelli, che ha un bell’attingere ad un carattere e a dei valori capaci di fargli superare ben altro nella vita vissuta fino a quel momento. D’improvviso, la sua panchina non è più d’oro, anche se il suo mercato è ancora quello. Se le squadre che lo cercano si chiamano Galatasaray e Valencia.

FBL-EUR-C1-ANDERLECHT-GALATASARAYTu sei battuto dentro, nemmeno tu sai cosa dire a chi ti credeva ancora un vincente e si ritrova a gestire le tue sconfitte incomprensibili, per lui e per te. Ad Istanbul Cesare Prandelli va per dimenticare l’azzurro lasciato nelle mani di un altro panchinaro d’Oro, Antonio Conte, che col senno di poi non farà meglio di lui, e per rinnovare quel sodalizio professionale con l’amica Silvia Berti che a suo dire era stato ciò che gli era mancato di più negli ultimi infelici tempi della sua esperienza fiorentina.

Ma i turchi giocano un calcio diverso e sognano in grande, e tu purtroppo non sei più o non sei ancora di nuovo in grado di sintonizzarti su queste lunghezze d’onda. Il tuo calcio viene dalla provincia, alla metropoli ci arriva per vie traverse, che una volta conoscevi e interpretavi da maestro, e di cui adesso invece non ti ricordi e che non ritrovi più da nessuna parte.

Istanbul è una metropoli che si può permettere ben tre derby, e per la squadra di Galata finire dietro Fenerbahçe e Beşiktaş è un’onta da lavare con il contratto di Prandelli. Il cui score è stato simile a quello dell’ultimo anno a Firenze, perso il 50% delle partite giocate. Il suo calcio non è questo, non si sa più quale sia, o forse il trauma di Manaos è ancora lontano dall’essere superato.

CesarePrandelliValencia210325-001Nel 2015 rescinde il contratto con i turchi, per sottoscriverne un altro ancora più problematico. Valencia, nella Liga, aspira al ruolo di terzo incomodo tra Real e Barça. A Valencia sono stati lanciati o rilanciati allenatori come Ranieri, Cuper, Benitez. A Valencia, come in tutta la Spagna, si gioca il miglior calcio del mondo. A Valencia è facile risalire sulla cresta dell’onda, così come è altrettanto facile affogare. A Valencia, Cesare lotta ancora contro il suo lato oscuro, e contro una società che a suo dire non gli ha messo a disposizione proprio il miglior materiale umano e tecnico. A dicembre del primo anno di contratto è quattordicesimo in campionato, quando si dimette alla fine del mese è diciassettesimo. Il suo male oscuro lo ha perseguitato anche in Spagna, fino a matarlo.

Non va meglio con gli sceicchi dell’Al-Nasr, Emirati Arabi Uniti, la terra dei soldi facili e dei valori tecnici altrettanto facili. Non riesce a primeggiare neanche con la squadra più blasonata e più ricca del terzo mondo calcistico. Non riesce forse ad acclimatarsi in una realtà che per uno come lui può significare il prepensionamento, per quanto dorato. Chi va a giocare ad est ormai ci va per ritornare in qua da aspirante commentatore. Non è roba per Cesare Prandelli, non ancora.

PrandelliMontella190819-001Nel 2018 lo cerca il Genoa per guadagnare una salvezza con cui la squadra di Preziosi scherza come suo solito come con il fuoco. Il destino lo aspetta ad un varco significativo. All’ultima giornata di quel campionato 2018-19, la salvezza non è ancora conquistata. Per i rossoblu essa passa dal campo di Firenze, dove se la devono giocare contro una Fiorentina nel frattempo altrettanto disastrata. Finiti i bei tempi di Montella, il crepuscolo dei Della Valle sta regalando poche soddisfazioni e molte angustie. Caso vuole che sia proprio Montella, il successore di Prandelli nel cuore dei tifosi viola, a sedere adesso per la seconda volta sulla panchina che Cesare aveva reso d’oro. Sono due ritorni in quello stadio in tono assai minore quelli dei due mister che si giocano la salvezza soprattutto per le rispettive carriere e poi per le rispettive squadre, trovandole entrambi al termine di una partita fantasmagorica, allucinante, risoltasi positivamente su uno 0-0 a cui dà pregio soltanto la sconfitta dell’Empoli a San Siro con l’Inter.

Da quel momento, Cesare si rivede spesso al Franchi, ma nel suo posto di tribuna a cui si è abbonato come spettatore. Ha preso casa a Firenze, e ha preso a cuore la Fiorentina per cui ormai tifa apertamente. Allo stadio lui c’é sempre, almeno finché la Pandemia lo consente. Giocoforza, il suo nome viene sempre tirato in ballo ogni volta che i suoi successori in panchina appaiono in bilico.

CesarePrandelli210325-001Si consuma il destino di un Montella che si era illuso di poter fare ancora tiki taka a Firenze. Poi quello di Beppe Iachini, che si era illuso di poter fare calcio provinciale con giocatori che non sono né campioni né onesti pedatori come servirebbero a lui. Ad ottobre scorso, il nuovo patron Rocco Commisso non sa che pesci pigliare, e prende quello che abbocca più facilmente. Per Cesare Prandelli la Fiorentina è una scelta del cuore, non della testa. C’é di nuovo da salvarla, tra l’altro, e prima ancora da capire nel buglione del materiale umano e tecnico messogli a disposizione da due sessioni di calciomercato senza né capo né coda quale può essere quello che fa al caso suo. Senza Chiesa, venduto senza rimpiazzo secondo le migliori tradizioni a calciomercato ormai quasi chiuso, Cesare si aggrappa ai gol di Vlahovic ed alle sempre più sporadiche giocate di Castrovilli e Ribery. Più frequenti sono i mugugni di chi va in panchina, gente che a fatica aveva un posto da titolare in provincia e che qui si sente depositaria addirittura della numero 10. Gente che molla, sistematicamente e clamorosamente, non appena il gioco si fa duro e gli altri cominciano a giocare.

CesarePrandelliCommisso210325-001Non è più il calcio di Cesare Prandelli, o forse è Cesare Prandelli a sentirsi ancor più aggravato in petto quel peso che ormai si porta da tempo. La sua panchina non sarà più d’oro, ma ritrovarsi alle vie di fatto con dirigenti e giocatori proprio no. Non è così che giocava, non è così che insegnava a giocare, non è così che può andare avanti.

Nella sua lettera finale con cui saluta per la seconda e ultima volta i tifosi viola parla di un’ombra scura che si stende sopra di lui, e della consapevolezza che questo passo con ogni probabilità vale il suo addio al calcio professionistico. Sarà dura anche soltanto rimettere piede in quella tribuna da abbonato, quando il Covid lo consentirà.

Sarà, speriamo, molto meno duro, più piacevole per lui constatare che anche in questa seconda circostanza la tifoseria è quasi tutta con lui, e quasi per niente con la società. E che non c’é bisogno che si cerchi un’altra squadra, come gli disse qualcuno al tempo in cui portava i suoi ragazzi a dominare ad Anfield Road.

La sua squadra ormai ce l’ha, per sempre. Nessuno gliela leva. E nessuno leva più a Firenze il nome di Cesare Prandelli.

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Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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