«Sarà complicato per me parlare, sono diventato più emotivo e quindi certe cose preferirei evitarle, ma non ci riesco, è più forte di me e quindi spero questa volta di essere più audace e non farmi travolgere dalle emozioni. Un caso della vita ha voluto che due giorni fa è scomparso Dado Lombardi, che figo che era! La mia vicina di casa mi ha scritto un messaggio ieri: ha letto il mio libro e pensava che Dado Lombardi rappresentava quello che rappresenta per tutti noi a Trieste nei fantastici anni dell’Hurlingham, dove tra l’altro mio padre gli faceva da vice. Era una leggenda in casa Pozzecco, poi io ho avuto la grandissima fortuna di incrociarlo nella mia carriera ed è quello che mi ha portato a giocare dalla serie B alla serie A1 a Livorno. Poi le nostre strade si sono incrociate di nuovo quando a Varese in una annata complicata hanno chiamato lui in panchina. Adesso dirò una cosa impopolare: personalmente è stato l’anno più bello della mia vita. E’ vero che i giocatori di pallacanestro vengono pagati per vincere, è vero che ho sempre fatto di tutto per vincere, però fare quasi 30 punti di media (da quando è arrivato lui) e giocare in una squadra dove il tuo allenatore prepara uno schema per far sì che gli altri si passino la palla per poi fare in modo che ti ritorni e poi alla domanda “Dado, che cosa devo fare?” la risposta è sempre stata “Come al solito, quello che ti pare!”. Sono stati due giorni veramente tristi perché é morta una parte di me».
Gianmarco Pozzecco, l’ultimo enfant prodige del nostro Basket dei tempi d’oro, ha gli occhi lucidi quando si siede davanti al microfono della Sala Stampa del Palarubini Allianz Arena. La sua Sassari ha sbancato la sua Trieste, 21 punti di vantaggio alla fine ottenuti sul campo dove negli ultimi anni i sardi avevano lasciato più volte le penne e dove il coach triestino é nato e cresciuto.
Ma per Pozzecco non c’é gioia stasera. «Se volete parlo della partita, sono un professionista e vengo pagato per questo (…) Prima della partita ho fatto uno speech in cui ricordavo quanto fosse stato importante e bello per me giocare per Dado Lombardi. Ho chiesto semplicemente a loro (i suoi giocatori, ndr.) di onorare il nome di un grande tecnico e di un grande giocatore che mi ha regalato grande gioia di giocare a pallacanestro e grande fiducia. Ringrazio i miei giocatori che in una giornata così complicata per me mi hanno regalato questa gioia da poter dedicare a questa persona che non c’é più».
E’ legittima la commozione di Pozzecco, non soltanto per la sua storia personale. Se n’é andato l’ultimo testimone di un’epoca d’oro, quella dei Giganti del Basket italiano che chissà quanti ricordano e chissà quanti rivedranno di nuovo, se mai tornerà.
Gianfranco Lombardi detto Dado era uno di quei Giganti. Nato a Livorno il 20 marzo 1941, a quindici anni era già una promessa della società labronica. A diciassette era una promessa del Basket nazionale, acquistato dalla Virtus Bologna dove sarebbe rimasto per dodici anni prima di un clamoroso trasferimento.
A diciannove anni, non ancora maggiorenne secondo le leggi dell’epoca, finì nel quintetto ideale di Roma 1960, le Olimpiadi italiane a cui l’Italia della Pallacanestro si classificò quarta, dietro USA, URSS e Brasile. Sconfitti onorevolmente contro i sovietici di soli otto punti, con gli americani gli azzurri ne presero trenta, 112 a 81. Ma gli yankees intanto avevano messo gli occhi addosso a McLombard, come lo avevano soprannominato. Una macchina da canestri, un giocatore essenziale, corri e tira. Un candidato ideale per la NBA a cui all’epoca pochissimi non americani erano ammessi.
Era un’epoca in cui in qualsiasi sport lasciare il proprio paese era un trauma per gli italiani. Importavamo campioni, non ne esportavamo. McLombard ringraziò, dicendo che per lui la Virtus era il massimo. E alla Virtus rimase, nonostante le V nere all’epoca non fossero nel loro periodo migliore e non gli regalassero mai la gioia di uno scudetto.
Fino al 1970, anno in cui la pallacanestro ebbe il suo primo trasferimento clamoroso: Lombardi dalla Virtus alla Fortitudo, per venticinque milioni di lire dell’epoca. Come se Rivera o Mazzola avessero saltato il fosso verso l’altra sponda milanese.
Quando smise, nel 1972 a Rieti, Dado aveva nel palmarès soltanto un oro ai Giochi del Mediterraneo del 1963 ed altre due partecipazioni olimpiche (un quinto ed un ottavo posto). Ma soprattutto la considerazione generale di essere uno dei più grandi giocatori italiani di tutti i tempi, considerazione che è rimasta malgrado dopo di lui si siano succedute almeno due generazioni di fenomeni (quella di Meneghin padre e quella di Gianmarco Pozzecco e Meneghin figlio) e che gli è valso l’inserimento nella Italian Basket All of Fame.
A Rieti, Lombardi si scoprì allenatore, ed anche un allenatore innovativo, capace di infondere nei suoi giocatori un senso strategico e tattico che non gli era appartenuto da giocatore. Dopo Rieti, Trieste. E lì cominciò la storia raccontata da Gianmarco Pozzecco, con papà Gianfranco secondo del suo omonimo coach. Chiedete ad un qualsiasi triestino appassionato di Basket (non ce n’é uno degno di questo nome che non lo sia) qual è stato il periodo della sua squadra, la Pallacanestro Trieste, che ricorda con maggiore emozione ed affetto. Sono due: quello dello sponsor Hurlingham e quello della Stefanel. Ma il secondo periodo fu offuscato alla fine dalla decisione del patron di trasferirsi a Milano armi, bagagli e squadra, e di vincere lì in casa Olimpia lo scudetto che avrebbe dovuto essere di Trieste. La Hurlingham invece è leggenda pura, senza se e senza ma. E quella leggenda è stata possibile grazie a Dado Lombardi.
Poi Treviso, Reggio Emilia, Rimini, Forlì, Verona e Siena, negli anni in cui la futura dominatrice del campionato italiano, la Mens Sana, risaliva dalla B alla A1 grazie anche a lui. Poi ancora la natìa Livorno, negli anni immediatamente successivi al sogno scudetto della Enichem svanito per mano milanese, e Cantù, ancora Reggio e poi Varese, nell’anno ricordato dal giovane Pozzecco.
E poi, un altro ritorno a casa, l’ultimo e per l’esito il più clamoroso. Dado Lombardi, dopo un’altra vita spesa da allenatore girovago mai gratificato da una coppa ma piuttosto dall’aver creato e lanciato tanti talenti dell’ultima generazione d’oro del nostro Basket, venne chiamato a Bologna sponda Virtus, per assumere la carica di general manager.
La fortuna a volte non arride agli audaci, e nemmeno ai campioni. Erano gli anni in cui il Basket si allineava al Calcio con l’esplosione dei primi scandali economici e la sanzione dei primi fallimenti. Il giocatore Sani Bečirovič, costretto all’inattività da problemi al ginocchio, aveva aperto una vertenza con le V nere, lamentando la mancanza del pagamento degli emolumenti da parte società. Nel corso dell’estate, parallelamente alla causa Bečirovič sopraggiunsero altre richieste di lodo, mentre anche l’azienda del presidente Madrigali, la C.T.O. s.p.a., si trovava in cattive acque. Il 4 agosto 2003 il Consiglio Federale della Federazione Italiana Pallacanestro decretò infine la radiazione della Virtus e la sua esclusione dal tutti i campionati nazionali per la stagione 2003/2004. Dado Lombardi, che di quella società era appunto il general manager, finì per essere travolto dal tracollo economico-sportivo di essa e per incorrere a sua volta nella radiazione.
Da allora aveva commentato il Basket in televisione, risultando brillante nel raccontarlo come quando lo giocava o lo insegnava. Negli ultimi anni era tornato a vivere a Varese, una delle sue patrie. Se n’é andato a pochi giorni dal compimento degli ottant’anni. Tanti come quelli che scandiscono la storia degli anni d’oro di uno sport che una volta dava al nostro paese grandi soddisfazioni e che si poteva far praticare ai nostri ragazzi dentro e fuori di scuola con poca spesa e grandi risultati.
Gli ottant’anni di Dado Lombardi, i settantuno di Dino Meneghin, i quarantasei anni di Gianluca Basile (ieri), i quarantotto di Gianmarco Pozzecco ed i quasi vent’anni trascorsi dall’ultimo alloro olimpico conquistato da Recalcati & c. in quel di Atene.
Nomi e storie che sembra impossibile adesso raccontare alle nuove generazioni. Alle ultime edizioni delle Olimpiadi l’Italia neanche c’é andata più. Eppure non si parla di tanti anni fa.
Eravamo i Giganti del Basket. Qualcuno dovrà ricordarsene prima o poi, non solo per onorare la memoria di Dado Lombardi.
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