Ombre Rosse

Coronavirus: Un anno vissuto inutilmente

Dunque è perduto tutto? Non la volontà invincibile, il disegno della vendetta, l’odio immortale e il coraggo che mai cede, che mai si sottomette. Che altro significa essere sconfiti?

(John Milton, Paradiso perduto)

Era la festa della Repubblica dell’anno scorso, quando il governo dichiarò la fine del lockdown e permise ai suoi cittadini di uscire nuovamente di casa anche per motivi non ricompresi nel famigerato modulo di autocertificazione.

L’Italia si scoprì alle prese con un nuovo dopoguerra, anche se la guerra stavolta non si era combattuta con le armi, almeno non con quelle convenzionali. Non c’erano macerie da sgombrare e ricostruire, ma in compenso c’erano una miriade di attività economiche – il cosiddetto tessuto produttivo del paese – da far in qualche modo riprendere se non addirittura da salvare.

Nessuno celebrò una Repubblica che per la verità aveva sentito più che mai distante, e tuttavia i suoi cittadini si riversarono verso la vita vissuta con una foga ed una fame sconosciute alle ultime generazioni, frammiste alla consueta aspettativa vacanziera che fin dagli anni sessanta trasformava nei mesi estivi una nazione operosa e industriosa in un rassemblement di viveurs.

L’Italia si divise in due: quelli che senza pensarci su come se nulla fosse successo traslocarono verso le coste e le montagne, gli stabilimenti feriali e le location delle movide; e quelli a cui quel pensiero fu tolto o quantomeno semplificato dal fatto di essere in cassa integrazione da mesi, e per di più dall’ulteriore fatto di non averla neanche riscossa.

Gufavano sui rami degli scheletriti alberi circostanti i profeti di sventura dal camice bianco (o che perlomeno avrebbero dovuto indossarlo, se invece che bivaccare negli studi televisivi e radiofonici si fossero occupati nei laboratori alla ricerca degli antidoti del virus. Il loro momento sarebbe tornato a settembre, come quello di sussiegosi maestrini di scuola che al suono del refrain «io ve l’avevo detto» bacchettavano le mani agli scolari ripresentatisi in classe. Cioé, quei cittadini a cui il governo paventava un lockdown 2.0, in quanto che il Comitato Scentifico di Salute Pubblica paventava una ripresa autunnale del virus e nuove sciagure annesse e connesse.

A ottobre eravamo di nuovo tutti agli arresti domiciliari, anche se l’aria non era più la stessa di primavera. Non c’era più il terrore dello nero periglio che vien da lo mare, anzi dalla Cina, e non convincevano più le stime di chi misurava l’emergenza con il numero dei posti letto occupati nei pronti soccorsi e nelle terapie intensive. Alcuni medici coraggiosi cominciavano a sollevare l’eccezione relativa all’esistenza di cure domiciliari che fino a quel momento autorità sanitarie, ordini professionali ed agenzie del farmaco si erano guardati bene dall’autorizzare. E cominciavano a mettere in discussione i protocolli ufficiali, improntati al ricovero, alla lungodegenza, all’intubazione indiscriminata ed alla segregazione indiscriminata dei contagiati, soprattutto se anziani residenti in case di riposo.

Alcuni avvocati altrettanto coraggiosi, confidando nel pari coraggio eventuale dei giudici davanti ai quali si sarebbero trovati, cominciavano a sollevare una eccezione altrettanto grave ed essenziale: quella della costituzionalità dei provvedimenti adottati da un governo in virtù di poteri emergenziali conferitigli da un parlamento che più che altro si era dileguato. E che aveva deciso sulla base di valutazioni mediche e giuridiche tutte da verificare.

Il paese reale si staccava sempre più dal paese legale, o per meglio dire istituzionale. Il governo ricominciava con i suoi DPCM sempre più simili alle gride di manzoniana memoria, gli addetti ai lavori della sanità a riempire il web con affermazioni che sostenevano tutto ma anche il contrario di tutto, mentre i cittadini rientravano in case ormai vissute come circondariali, luoghi di detenzione. Scapaccionando tutt’al più i ragazzi che con le loro movide nel frattempo erano stati individuati come gli untori della seconda e tanto attesa fase, quella del Covid 2 – Questa volta è guerra.

Peccato che, come era già successo in primavera, i giovani si dimostrassero poco collaborativi con questa weltanschauung in quanto ancora refrattari al contagio, mentre in compenso il governo che avrebbe dovuto riorganizzare trasporti e servizi anche a loro beneficio si era reso per tutta l’estate latitante se non addirittura neghittoso al pari dei famigerati e stigmatizzati vacanzieri.

Al contrario, agli anziani che invece il contagio lo subivano e non sempre gli sopravvivevano veniva offerta come unica alternativa alla morte per soffocamento quella di inedia nel chiuso delle loro camerette che ogni RSA del paese aveva avuto ordine di trasformare nelle Mie Prigioni, e loro stessi in altrettanti Silvio Pellico residenti allo Spielberg.

Ma era destino che le vecchie e nuove questioni che la seconda fase ereditava dalla prima fossero tutte messe da parte se non cancellate dans l’espace d’un matin, quello occorrente a tutti a metabolizzare la notizia secondo cui l’Unione Europea aveva firmato contratti per svariate quantità di miliardi di euro con alcune ditte farmaceutiche (o per meglio dire: che si affacciavano sul mercato farmaceutico) per la produzione, sperimentazione e messa in commercio di vaccini intesi a immunizzare la popolazione prevenendo la stessa insorgenza del Covid. In altre parole, non curare (che tanto quella era materia di guerra per bande tra primari, strutture ospedaliere, commissari e consulenti), ma prevenire. Bello, a parole.

Ad una popolazione già pesantemente stressata alla quale erano stati sottratti i propri diritti costituzionali con abilità da borseggiatore tranviario da parte del suo stesso governo, del parlamento e di tutte le alte cariche dello stato che avrebbero dovuto invece proteggerla, venne presentato di colpo uno scenario del tutto nuovo, decisamente fantascientifico, sicuramente surreale.

Anzitutto, lo stato di emergenza continuava per partenogenesi (cioé autovotato dallo stesso governo che già lo possedeva), anche se le cifre parlavano ormai di posti letto occupati in misura pari a quella dell’ordinaria amministrazione (volendo tacere misericordiosamente dei tagli effettuati da politici e managers alle strutture sanitarie negli anni della spending review) nonché di vittime che, al netto delle rubricazioni addomesticate denunciate in varie riprese dalla stessa Istat, pareggiavano più o meno quelle delle influenze di stagione degli anni precedenti.

Ma agli occhi arrossati dei cittadini che già avevano mandato giù la pillola amara della sospensione dei diritti si faceva balenare l’elisir di lunga vita, la pozione magica che avrebbe risolto tutto e permesso al popolo di riprendere la sua vita di prima.

E così, la Costituzione della Repubblica Italiana nata dalla Resistenza al Fascismo si dissolveva con la stessa rapidità della neve al sole, insieme alle certezze acquisite in tutto un secolo, il Novecento, in cui la medicina preventiva aveva fatto passi da gigante, sì, ma controllati rigorosamente l’uno dopo l’altro. I vaccini inoculati ai bambini della boom generation erano stati testati per cinquant’anni, a cavallo delle due guerre, e quando finirono nelle siringhe e poi nelle nostre tenere braccia si può dire veramente che il calcolo costi – benefici (prevenzione di malattie terribili e diffuse contro effetti collaterali ridotti al minimo) era tutto a loro – e nostro – favore.

Qui invece si diceva di punto in bianco che alcune ditte che fino a quel momento si erano occupate di altro, dal Viagra alle lozioni per capelli, improvvisamente si erano specializzate in vaccini di seconda o terza generazione, compresi quelli rivoluzionari che agivano sul RNA messaggero, quella cioé che in tempi non sospetti si era chiamata manipolazione genetica. E tutto questo nel breve volger di tre o quattro mesi, tra la firma del contratto e la rottura della fiala.

A gennaio del 2021, tutt’altro che l’alba di un mondo nuovo per chi aveva creduto che il mondo finisse l’anno precedente, il popolo italiano si trovò di fronte alla neanche tanto subdola alternativa postagli dalle autorità sanitarie e politiche: vuoi uscire di casa, andare a lavorare, andare a scuola, andare in vacanze, stare con amici, parenti e conoscenti, fare tutto quello che facevi prima? Scopriti il braccio, è un attimo e l’ago non lo sentirai nemmeno. Pic, indolor. Rifiutati, e resterai all’angolo, anzi, fuori dal ring. I tuoi diritti non esistono più. Il bene comune surclassa il bene individuale ed il diritto all’autodeterminazione. I tuoi avvocati possono studiare ed impostare cause quanto vogliono, ma la siringa dalla parte del manico ce l’abbiamo noi.

A gennaio, il popolo italiano riscoprì nelle sue essenze profonde il riaffiorare di sentimenti, credenze, pulsioni che sembravamo esserci lasciati per sempre alle spalle dopo il 1945. Gente che andava a farsi bucare con il sorriso sulle labbra, come quando i nonni erano andati a donare al Duce l’oro alla patria. Gente che indossava orgogliosa spillette con su scritto Io mi sono vaccinato, manco fossero i delegati a qualche conventon elettorale americana. Gente che cominciava a scagliarsi in maniera sempre più ferina contro chi dubitava, esitava, esercitava alla fin fine quella critica che a scuola ci avevano insegnato che avevamo acquisito come un valore assoluto dai tempi di Cartesio e di Kant. Gente che invocava provvedimenti draconani contro i recalcitranti, così come durante la guerra – pardon, le guerre – aveva invocato plotoni di esecuzione contro i nemici della patria. Gente che, e questa era la scoperta peggiore, più amara, non si faceva scrupolo di riscoprire, anzi esercitava con voluttà una vecchia propensione, un vecchio costume del tempo in cui i regimi anche da noi erano più che altro polizieschi: la delazione. Non si andava più a denunciare l’ebreo, o il sovversivo; stavolta toccava al non vaccinato, sprezzantemente etichettato come NO WAX, locuzione stupida ma di grande effetto come quel JUDEN appeso alle vetrine dei negozi non solo tedeschi e seguito dall’immancabile RAUS in circostanze drammatiche di un passato recente che credevamo che fosse bastata la carta Costituzionale del 1948 a cancellare per sempre dal nostro habitus nazionale.

Gli italiani si riabituavano dunque ai loro peggiori costumi, mentre il ministro Speranza incoraggiava apertamente questo mos delatorius, spionistico nella popolazione, mentre giuristi e addetti all’informazione ed alla sanità non ancora asserviti o comunque non condizionati dalle nuove filosofie politiche trasecolavano aggiornando increduli il conto dei principi costituzionali e delle norme violate dal potere sia legislativo che esecutivo.

Tutto ciò galleggiante sul mare magno del solito casino all’italiana orchestrato da chi avrebbe dovuto provvedere all’approvvigionamento delle scorte vaccinali per attuare un piano pandemico vaccinale che benché aggiornato al 2006 e continuamente smentito dalle evidenze scientifiche che riuscivano a filtrare la cortina di ferro della medicina ufficiale controllata da Big Pharma, ormai era vissuto da governanti e governati come il legittimo jolly da calare per chiudere la partita, la soluzione finale di questa epopea del Covid19.

In merito al quale Covid, pochi (nelle opportune e riservate sedi) avevano certezza circa la natura di cosa era realmente successo, ma che in compenso cominciava a rompere le scatole a tanti. Non sempre per i motivi più nobili, ma del resto le vacanze al mare sono o non sono il più sacro dei diritti costituzionali, in epoca repubblicana?

E insomma, a febbraio il casinista Giuseppe Conte aveva fatto il suo tempo. Era ora di ritirar fuori un altro prodotto tipico e certificato per i tempi di difficoltà, un reagente con un’altra delle patologie profonde dell’italico cittadino: il bisogno dell’uomo forte. Ce lo chiedeva l’Europa, come sempre e tanto per cambiare. Ma stavolta ce lo chiedeva anche la corrente profonda che scorre sotterranea nelle nostre anime.

L’Europa voleva uno che facesse quello che lei gli diceva di fare. L’italiano medio voleva uno che, continuando ad esautorare inutili partiti che si erano francamente comportati come la corte del re in fuga a Brindisi l’8 settembre 1943, facesse quello che c’era da fare. E pazienza se su questo c’é da fare la Costituzione, la vecchia cara Costituzione, aveva stabilito a suo tempo che ci si mettesse d’accordo in un certo modo, affinché non si ritornasse al modo di fare del faccia feroce che aveva governato prima, e sappiamo tutti com’era andata a finire.

Exit dunque Giuseppe Conte, il tombeur des femmes et des politiques di provincia che la follia del Joker aveva elevato a statista. Entrava Mario Draghi, che molti considerano tutt’ora il salvatore della patria del tempo in cui faceva scopa con Mario Monti. Ma che quando stringe gli occhietti libera una espressione inquietante come pochi altri travet dell’autoritarismo nella storia moderna. Un contabile, adatto a fare quelle cose che qualcun altro gli ha segnato su un foglietto, meglio se a quadretti. Ma anche Eichmann era un contabile, ed a suo modo anche Himmler. E anche loro facevano quello che era stato detto loro, con silenziosa efficienza e senza battere ciglio o muovere un muscolo del volto.

Al governo dell’assembramento nato per mettere fine definitivamente agli assembramenti partecipò anche la Lega, e chi è più avveduto capì che per la vecchia Repubblica i giorni erano contati. Un nuovo Impero galattico voleva sorgere, e gli unici cavalieri Jedi che restavano a battersi contro di esso erano quelli di Giorgia Meloni. Che da quel momento infatti cominciò a crescere, e ancora non smette (se ce la conservano in salute).

Il PD richiamava in servizio Enrico Letta, lo stai sereno più famoso dei nostri tempi, l’unico italiano di presunto intelletto che i francesi non hanno cercato di accaparrarsi definitivamente, come fecero per esempio con Leonardo da Vinci, e vorrà pur dire qualcosa. I 5 Stelle preparavano intanto il loro Ragnarok, la battaglia finale tra Grillo e tutti i grulli che si sono dimenticati che nasceva comico, e neanche tanto divertente.

Ma la politica non conta più (per ora), conta il foglietto che è stato messo in mano a Draghi, ed in esso c’é scritto: 1) Recovery Fund (e pazienza se l’Italia si indebita per le prossime sette generazioni); 2) campagna vaccinale (e pazienza se nel frattempo la gente ha cominciato a morire o a restare invalida a frotte, con numeri che fanno impallidire quelli dello stesso Covid), 3) Green pass o suoi succedanei (perché, come scappa detto sempre a Speranza – riconfermato Ministro della Mancanza di Salute – gli italiani escono di casa quando loro glielo concedono).

Un militare alla protezione civile é sembrato il cacio sui maccheroni, per tanta gente che i militari li ha visti all’opera nelle disgrazie vere, quelle in cui c’era da ritirare su una scuola elementare franata sotto il terremoto o da recuperare le povere vittime di spaventose (e colpose) alluvioni. Ma questo, dopo aver riscosso una indubbia simpatia iniziale, ha cominciato a fare discorsi che rievocano il Vogliamo i colonnelli di Mario Monicelli.

Per carità, nessuno rimpiange il prode Arcuri di dalemiana memoria e capacità. Diciamo che le idee personali del generale Figliuolo hanno lo stesso fondamento costituzionale di quelle di chi l’ha messo dov’é. Che si fa distinguere ad esempio per l’introduzione dell’obbligo vaccinale agli addetti della sanità. L’ultima frontiera per chi si rende conto che siamo sull’orlo di una svolta epocale: addio Costituzione, arriva il Grande Fratello, e non è nemmeno raffigurato così bene come quello di Orwell. E’ piuttosto l’ennesima cialtronata all’italiana.

Non siamo brava gente, non più di tanta altra gente, ma quasi tutti gli altri un po’ di dignità la ritrovano, specie con le spalle al muro. A Budapest la gente torna a riempire lo stadio, e così farà a Londra per la finale dell’Europeo. Nelle nostre città non è infrequente assistere allo spettacolo del singolo in macchina che guida con la mascherina.

E’ passato un anno. Sembra piuttosto un racconto di quelli che pubblicava Urania, e se proprio dobbiamo dire, di quelli più trash. E la sensazione è che non sia ancora finita. Un corpo sociale profondamente spaccato in due come il nostro, tra lealisti ed indipendentisti, fra resistenti e delatori, manterrà inevitabilmente la memoria storica dei torti che si è autoinflitto.

Ci ricorderemo di chi ci ha fatto contro la spia, di chi ci ha irriso mentre eravamo in difficoltà e con i nostri diritti e stipendi messi a rischio a causa del nostro nonconformismo. Di chi ci ha messi in disparte, emarginati, negandoci quegli stessi diritti che è pronto a concedere al più impresentabile e meno giustificabile dei migranti sbarcati dall’ultimo barcone. Inginocchiandosi davanti a chiunque meno che a quelli che fanno parte della sua stessa squadra.

Ce ne ricorderemo. Di tutto e di tutti. L’altra volta ci vollero almeno quarant’anni perché i comunisti e i fascisti smettessero di odiarsi e di saltarsi alla gola. E stavolta?

Bel mondo che stiamo lasciando ai nostri figlioli. Vaccinati o no.

(*) il titolo è una parafrasi di The year of living dangerously, Un anno vssuto pericolosamente, di Peter Weir, 1982

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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