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Cuba Libre, addio al ventesimo secolo

Eric Horsbawm lo aveva definito il secolo breve. Cominciato in ritardo per colpa di un assetto sociale che si richiamava direttamente al medioevo feudale e che la Grande Guerra spazzò via tra il 1914 ed il 1918, finito in anticipo per il crollo, nel 1989, del Muro che simboleggiava l’ultima delle grandi sanguinose illusioni di portare le cosiddette masse a pieno titolo nella stanza dei bottoni della storia.

Il ventesimo secolo ha prodotto tante idee, quasi tutte nate da buone e progressiste intenzioni, altrettanto sangue ed una lunga galleria di ritratti raffiguranti leader carismatici come forse oggi non siamo abituati a vedere – e tantomeno a seguire – più. Popoli in cerca di riscatto dalla fame e dal tallone di ferro di governi nati quando i Barbari sostituirono le proprie istituzioni a quelle dell’Impero Romano affidavano la sorte della loro gloriosa rivoluzione a personaggi animati da ambizione pari alla loro personalità e spesso alla loro assenza di scrupoli.

Il modello era stato codificato da Napoleone Bonaparte, che aveva trasformato la Grande Rivoluzione del 1789 e la Prima Repubblica francese nel Primo Impero, ma gli archetipi rimontavano assai indietro nella Storia, da Giulio Cesare a Oliver Cromwell. Nel ventesimo secolo, quello che avrebbe messo a disposizione delle dittature mezzi che il genere umano non aveva mai visto prima in azione o anche soltanto immaginato, la galleria era stata aperta da Vladimir Ilic Ulianov detto Lenin da una parte e da Benito Mussolini dall’altra, alle due estremità di un arco politico che come tutte le figure geometriche all’infinito tendono a ricongiungersi, a toccarsi combaciando.

Fidel Alejandro Castro Ruz ( audio; Birán, 13 agosto 1926 – L’Avana, 25 novembre 2016)

La Repubblica di Cuba ha annunciato sabato mattina la scomparsa dell’ultimo dei grandi condottieri di questo ventesimo secolo che è durato poco, ma che è sopravvissuto a se stesso fin troppo nelle filosofie politiche riadattate ai tempi apparentemente nuovi, e soprattutto negli atteggiamenti di tanti che ad esse continuano almeno a parole a rifarsi scrutando l’orizzonte in cerca di nuovi lider maximi capaci di condurli epicamente e romanticamente ad una nuova vittoria del sole dell’avvenire. Una locomotiva come quella di Francesco Guccini, lanciata a bomba contro l’ingiustizia.

Fidel Alejandro Castro Ruz ha indossato tutta la vita la mimetica del guerrillero, del comandante militare. In realtà era un avvocato destinato al Foro dell’Havana, così come il suo compagno iniziale d’avventura, anche lui in mimetica per tutta la durata della sua vita (peraltro assai più breve), era un medico che dalla natia Argentina si era spinto a osservare e registrare le condizioni di vita della gente in tutta l’America Latina.

Fidel Castro ed Ernesto de la Serna Guevara detto el Che (in quanto argentino, poiché quello è da sempre l’epiteto un po’ irridente con cui gli altri sudamericani indicano gli abitanti di quel paese a causa di un loro tic dialettale) dettero a tutto il Sudamerica (e non solo) un destino diverso il 26 luglio 1953, quando alla testa dei Barbudos assaltarono la Caserma Moncada, dando il via alla Rivoluzione Cubana.

I Barbudos (di ispirazione comunista, un po’ come i Montoneros argentini e i Sandinisti nicaraguensi) ritenevano che il destino di Cuba fosse stato in realtà deviato dalla guerra ispano-americana del 1898. Lungi dall’essere riconoscenti ai gringos per la fine della dominazione coloniale spagnola, reagirono come i messicani, prendendo a detestare las ombras del Norte, il gran male capitalistico che stava arrivando dagli Stati Uniti d’America e che stava sostituendo il dominio coloniale con un altro per loro ancora più odioso.

Negli anni Cinquanta, l’isola che i Conquistadores spagnoli avevano battezzato Cuba era in pratica un enorme casinò ed un altrettanto enorme bordello a cielo aperto gestito dalle componenti peggiori del capitalismo nordamericano, che si possono definire con il nome sintetico ed evocativo di Cosa Nostra. Fulgencio Batista era uno dei tanti dittatorelli latino-americani che si erano sostituiti al gobierno colonial del Rey de España con metodi più o meno sanguinari.

Il Sudamerica attendeva i suoi lider per sollevarsi, e li trovò in Castro e Che Guevara. Il 1° gennaio 1959, quando il Che sgominò l’ultima resistenza di Batista a Santa Clara, militari e mafiosi dovettero abbandonare l’isola in fretta e furia. L’avvocato del Foro dell’Havana si ritrovò capo del governo rivoluzionario. El Che diventò una figura leggendaria, ritratto con il suo celebre basco di guerrillero heroico sui poster che sempre più ragazzi in Occidente appendevano in cameretta, man mano che si avvicinavano gli anni della contestazione.

Poteva essere l’inizio di una grande storia, ed in un certo qual modo lo fu. Quella cubana fu l’unica rivoluzione popolare di ispirazione comunista ad avere successo dopo quella bolscevica russa del 1917 (e fino a quella sandinista del 1979 in Nicaragua). Allo stesso modo di quella, fu costretta a dibattersi tra necessità di sopravvivenza drammatiche sotto l’attacco della reazione e scontri altrettanto drammatici tra personalità in cui l’ambizione finì per seppellire ben presto le migliori intenzioni.

con Ernest Hemingway

La storia di Fidel Castro e dei suoi rapporti con gli U.S.A. è quella di tante occasioni perse. Il governo americano di Eisenhower riconobbe ufficialmente la nuova realtà cubana, ma lasciò in eredità alla successiva amministrazione Kennedy lo sbarco disastroso alla Baia dei Porci organizzato dalla C.I.A.. Esuli cubani, fomentatori di professione, mercenari e agenti dei servizi segreti andarono a morire sotto le mitraglie dei Barbudos, confezionando uno dei più grossi disastri militari della storia, rovinando l’immagine internazionale degli U.S.A. proprio mentre si accingevano a lanciare la corsa alla Nuova Frontiera, e segnando per sempre il destino di un continente prima, di un mondo poi.

Kennedy sarebbe stato forse l’uomo giusto per avviare con Cuba una politica di buon vicinato. Ma la Baia dei Porci gettò i cubani nelle braccia dell’Unione Sovietica e avviò forse il nuovo presidente americano fin da subito sulla strada diretta a Dallas. Poco più di un anno dopo la rivoluzione, Fidel Castro si proclamava leader comunista, stringeva accordi con l’U.R.S.S. e portava la Guerra Fredda sull’orlo della effettiva deflagrazione.

Gli Yankees divennero nemici dichiarati, i sovietici accompagnarono la loro amicizia con i missili che per dodici giorni nel 1962 tennero il mondo sull’orlo della Terza (e verosimilmente ultima) Guerra Mondiale. Kennedy e Krusciov videro la loro faticosa distensione avviarsi allo sbriciolamento e le loro carriere e vite alla fine. Che Guevara riprese il suo viaggio sudamericano, estremamente perplesso per la svolta che avevano preso la rivoluzione cubana nonché i suoi rapporti personali con il lider maximo. Anche la sua strada aveva già una destinazione finale, in Bolivia a La Higuera. C’era anche una data, 9 ottobre 1967. E non si sopirono mai le voci secondo cui di quella tragica destinazione se non progettista quantomeno Fidel Castro fu non disinteressato osservatore.

con el Che

La rivoluzione che doveva liberare il popolo diventò una volta di più il suo strumento efferato di tortura. Le carceri cubane presero a riempirsi di dissidenti, i generi alimentari a scarseggiare sulle bancarelle dei mercati, il pensiero e la parola a diventare merce sempre più pericolosa da scambiare sull’isola.

A Guantanamo, dove era nata una delle canciones popular più celebri e struggenti del repertorio cubano, gli U.S.A. mantenevano la loro base militare per una di quelle compravendite tra Stati che andavano tanto di moda una volta, 2.000 dollari annui in cambio di 120 km quadrati di territorio, su cui si insediarono nel 1903 i Marines. Di là dal confine, la guarnigione sovietica (senza missili) che Gorbaciov avrebbe ritirato soltanto nel 1991, a comunismo ormai morto e quasi sepolto.

Fidel Castro perse la seconda occasione con Bill Clinton, a Guerra Fredda finita e con una nuova amministrazione americana più favorevole di quelle di Reagan e Bush padre. Anziché cercare la fine delle sanzioni, del’embargo, e una svolta liberista che in tutto il mondo post-comunista i nuovi governi eletti si affrettavano ad intraprendere, preferì rimanere l’ultimo baluardo di una ideologia che la storia aveva condannato senza appello, l’ultimo dittatore che usava le patrie galere come strumento principale nei rapporti con l’opposizione. L’ultimo dei non allineati che in realtà erano stati allineati eccome. Tito e Indira Ghandi erano scomparsi da tempo, lui era destinato a incontrare nientemeno che due Papi, Giovanni Paolo II nel 1998 e Francesco nel 2015, ed un presidente americano, Barack Obama nel 2016. Sempre se è vera la versione ufficiale della sua scomparsa, il precedente di Breznev (tenuto ibernato per due anni dopo la morte) qualche perplessità fatalmente la induce.

Fidel era in cattive condizioni di salute dal 2006 a seguito di una peritonite, questo è l’unico dato certo. Il fratello Raul, uno degli ultimi superstiti come lui di Moncada, aveva progressivamente preso in mano le redini della Repubblica Socialista di Cuba, la cui costituzione e ragione sociale non sono mai state mutate da quel 1960 in cui fu proclamato il partito unico.

Chissà se il lider è morto davvero l’altra notte, o chissà quando. Sopravvivendo comunque anche troppo al secolo e alla ideologia che l’aveva prodotto, e ritardando fino all’inverosimile l’ingresso della sua isola nel mondo moderno. Da sanità e istruzione per tutti, a sanità e istruzione che funzionano. Dal salario minimo al cibo su tutte le tavole. Alla fine dei Balseros, i fuggiaschi sulle zattere che sfidano i 90 km di oceano infestato da squali per raggiungere Key West in Florida, rinnovando antiche epopee tragiche di boat people in fuga da analoghi paradisi comunisti.

La fine di un’epoca, di un mondo. Quello dei dittatori e dei commandantes che si vestivano sempre in mimetica. Quelli che in nome di una ideologia rossa o nera tormentavano peggio di chi li aveva preceduti il popolo che li aveva acclamati come veri libertadores, pentendosene un istante dopo.

Rossi o neri, perché gli estremi si toccano, ed è uno dei teoremi infallibili che il ventesimo secolo ci ha lasciato in eredità, e la cui dimostrazione Fidel Alejandro Castro Ruz porta con sé nella tomba. Il ventunesimo secolo di lider maximi così non ne produce più. C’è soltanto da sperare che continui.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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