Io ft poi viAdolf Hitler
Il bambino nacque intorno alle 18,30 alla Locanda del Pomerano a Braunau am Inn, nel distretto di Linz nell’Alta Austria. Era il giorno di Pasqua del 1889, il 20 di aprile. A quanto pare, non ci furono presagi di alcun tipo a proposito di quale sarebbe stata la vita del neonato. E di tutti coloro che avrebbero condiviso il suo tempo.
La famiglia del piccolo apparteneva alla piccola borghesia austriaca, anche se – come era tipico del melting pot che era all’epoca l’Impero Asburgico – girava voce che al sangue germanico fosse misto sangue slavo (cecoslovacco, per la precisione) e addirittura sangue ebraico. Una ipotesi che avrebbe angustiato il neonato per tutta la vita. Maria Teresa d’Austria aveva concesso la cittadinanza imperiale a molti ebrei convertiti al cristianesimo, cosicché alla fine del diciannovesimo secolo quella di appartenere alla cosiddetta razza ariana pura era nella stragrande maggioranza dei casi una pretesa senza fondamento.
Il padre Alois era un funzionario doganale con tendenza all’alcoolismo, all’autoritarismo in famiglia, alla poligamia. Tutte caratteristiche che il figlio avrebbe imparato presto a disprezzare, allontanandolo irrimediabilmente dal genitore e dal suo stile di vita. Il campione dell’autoritarismo, colui che ne avrebbe messa a punto la forma più drammaticamente raffinata ed efficiente, aveva sofferto da piccolo quello del padre sviluppando invece un legame indissolubile con la madre. Klara Polzl era una casalinga remissiva e sottomessa, completamente dedicata ai figli ed alle incombenze domestiche. Probabilmente era legata al marito Alois, di cui era la terza moglie, da una certa dose di consanguineità. Tanto che i due avevano avuto bisogno della dispensa papale per sposarsi.
Il cognome della famiglia fu probabilmente cambiato, per fugare ogni sospetto rispetto a quei peccati originali che si portava dietro. Da Huttler o Heidler divenne un apparentemente più innocuo Hitler. Nessuno poteva immaginare, mentre il doganiere cambiava destinazione di lavoro da un anno all’altro ed il piccolo Adolf veniva sballottato da una scuola all’altra finendo per detestarle tutte, che un giorno quel cognome sarebbe stato pronunciato con terrore e disprezzo in ogni angolo della terra.
Il ragazzo che sarebbe stato il Fuhrer del Terzo Reich nei suoi anni verdi era un emarginato alle prese con un disagio familiare e sociale che lo aveva reso un disadattato pieno di rancore contro il mondo. Rimasto orfano a quattordici anni del padre e a diciotto della madre, in possesso di un certo talento figurativo che lo spinse verso la pittura ma che non gli sarebbe stato sufficiente per consentirgli di frequentare la prestigiosa Accademia di Belle Arti di Vienna, sarebbe probabilmente diventato uno dei tanti bohemiennes più o meno spostati che gravitavano ai margini del mondo dell’arte durante la Belle Epoque europea se non fosse intervenuta a dare un senso alla sua vita – un senso che più tragico non si sarebbe potuto – la Prima Guerra Mondiale.
Come suddito di Francesco Giuseppe si arruolò nell’esercito austro-ungarico, dove raggiunse il grado di caporale. Dopo la guerra, l’Austria aveva perso il suo Impero e come entità politica non esisteva quasi più, almeno a parere del reduce che sognava ormai la Grosse Deutscheland, la Grande Germania, l’unione di tutte le genti di lingua e razza tedesca. Sognava anche di liberare quella Grande Germania – ed il mondo intero su cui essa era destinata a primeggiare e dominare – dal problema ebraico. La leggenda nera del complotto sionista si era arricchita recentemente del capitolo dove si raccontava di come gli ebrei avessero sabotato lo sforzo bellico degli Imperi Centrali, portandoli alla sconfitta.
Fu a Berlino, non più a Vienna, che il giovane Adolf Hitler aspettò il suo momento, mentre la voglia di rinascita e di rivincita del popolo tedesco gli preparava il terreno. Fu nel 1938 che, dopo l’anschluss che aveva riunito il suo paese natale a quello di adozione, si recò nuovamente a visitare il cimitero di Leonding dove era sepolta sua madre, accanto al suo detestato padre. Dopo averle dato l’ultimo saluto trenta anni prima, tornava finalmente a farle visita non più da orfano sbandato ma da Cancelliere della Grande Germania.
Fu nel bunker scavato sotto la cancelleria del Terzo Reich che il 20 aprile 1945, a dieci giorni dalla morte e dalla fine dell’Armageddon che la sua lucida follia aveva provocato in Europa e nel mondo, che Adolf Hitler festeggiò per l’ultima volta il suo compleanno, il cinquantaseiesimo.
Che di lì a poco sarebbe stato maledetto, per sempre.
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