La città è quasi deserta, spettrale, malgrado il sole che sta sorgendo sia ormai quello di primavera. Poche le macchine e le persone a piedi, malgrado l’ora sia già quella consueta per chi normalmente si affretta verso il lavoro o le prime commissioni del giorno. L’ora in cui, prima dell’Ordinanza, aprivano gli uffici, le scuole, i negozi.
Prima.
Adesso, ad essere in giro per strada ti senti quasi un fuorilegge, ed ogni tanto controlli di avere in tasca il tuo lasciapassare. I pochi altri esseri umani che incroci tengono lo sguardo basso, ed il metro e mezzo di distanza e di ordinanza. Si impara in fretta ad automatizzare certe precauzioni. Non c’é miglior insegnante della paura.
Ecco, i grandi autori di fantascienza – Ballard, Matheson – cominciavano così le loro storie, ambientate dopo l’apocalisse. La descrizione di un mondo sconvolto da una catastrofe, scenari che apparivano piacevolmente irreali fintanto che restavano confinati nelle parole che scorrevano davanti ai nostri occhi rilassati, stampate sul nuovo numero di Urania.
E poi il flashback, il salto indietro. Al prima.
Com’è cominciato tutto questo? Come ci siamo ritrovati a questo punto?
La prima notizia era scorsa tra le tante che fanno da riempitivo dei telegiornali, nella seconda metà prima della pubblicità. E nulla faceva presagire che sarebbe diventata LA NOTIZIA. E un giorno da essa avremmo datato l’inizio della cronistoria della crisi più grave che la razza umana abbia affrontato dalla fine della seconda guerra mondiale.
Quel virus, laggiù, in Cina. Notizia esotica come tante. Laggiù, succede sempre qualcosa di strano, combinano sempre qualcosa. Basta vederli, popoli che girano con la mascherina sul viso, tanto è mefitica l’aria che respirano e che avvolge la loro porzione di pianeta.
Ma stavolta non è un inquinamento o una zozzeria delle tante che laggiù producono, come un tempo – quello della nostra rivoluzione industriale – si producevano qui, da noi. No, stavolta c’é qualcosa di strano, di quello strano che fa drizzare subito le antenne ad una opinione pubblica che sta aggrappata al web come una volta si stava ai racconti dei viandanti ed alle prediche dei predicatori.
Laggiù è successo qualcosa di diverso. Di più pericoloso. Un nome ricorre nelle cronache, diventando sempre più sinistro ogni volta che viene pronunciato. Wuhan. Distretto industriale della nuova Cina di Xi Jin Ping, quella che vorrebbe conquistare il mondo con le sue stesse armi e sembra sempre di più sul punto di farlo. Le immagini che arrivano sono quelle di una città che può sembrare Hong Kong o Manhattan, irta di grattacieli ed edifici che ormai sembrano i nostri, in tutto e per tutto.
Le immagini che arrivano sono anche agghiaccianti, perché in quella moderna città figlia della globalizzazione la gente vive da tempo segregata, agli arresti domiciliari. E si tratta – secondo le proporzioni della Cina – di milioni di persone. Gente che si fa coraggio urlandosi domande e risposte, lamenti ed incoraggiamenti da un appartamento di un grattacielo all’altro. Sembra un film di fantascienza di serie B. Ma è la realtà, e una opinione pubblica che da tempo sta attenta a cogliere la realtà reale scambiandola spesso per quella virtuale dell’universo parallelo di internet capisce subito che c’é qualcosa che non va.
Adesso ce lo dicono!….. I cinesi non ti dicono mai cosa combinano!….. Chissà cosa hanno lasciato andare nell’aria stavolta!….. Chissà cosa stavano architettando e gli è scappato di mano!….
Il complottismo è cieco, ma quando deve abbeverarsi a nuove fonti ci vede benissimo. Il nuovo terrore che viene dall’oriente non è più il comunismo, e nemmeno Bruce Lee. E’ qualcosa di moooolto piccolo. Ricordate? E’ così che Merlino sconfigge Maga Magò nel duello di magia della Spada nella Roccia di Disney. Allora ridevamo, perché eravamo bambini. Ma qualcosa c’é rimasto dentro, sottile, inquietante. Abbiamo sempre saputo o temuto che saremmo stati sconfitti alla fine non da qualcosa di grande e potente, ma da qualcosa di insidioso e minuscolo. Qualcosa che avremmo creato noi stessi, apprendisti stregoni che non riescono mai a controllare le magie che evocano rincorrendo la propria stupidità.
E così, mentre viene meno l’illusione che qualunque cosa sia, resterà laggiù, da quei musi gialli che se la sono cercata e meritata, si affaccia alle cronache un altro nome sempre più sinistro ad ogni pronuncia. Coronavirus. L’abbiamo già sentito, è già stato da queste parti, uno degli inverni scorsi. Tra Sars, Suine, H1N1, Ebola e compagnia bella, è già passato di qui anche lui.
Solo che – e qui scienza e complottismo, news e fake news si rincorrono contribuendo a creare un unico marasma globale, l’unica cosa veramente globale di questo nostro mondo moderno – questo corona qui è di tipo nuovo. Chi è riuscito ad isolarlo – o almeno chi parla per lui – riferisce di una struttura strana, artificiale, non naturale. Roba da laboratorio, non da mutazione genetica spontanea.
Il coronavirus che a gennaio comincia a terrorizzare l’occidente e cala una cortina di ferro sull’oriente è una bestiola intelligente, dicono. Cattiva e intelligente. Si adatta velocemente agli organismi che assale, quanto e più dei predecessori. Non è poi così letale, a paragone di altri ceppi che hanno lambito le nostre coste negli inverni precedenti. Ma è molto più aggressivo. Alimenta la sensazione di impotenza e mancanza di difese da parte nostra.
Diffonde una incontenibile paura, non appena si scopre che per il coronavirus – che nel frattempo la scienza ha ribattezzato Covid 19 – non ci sono né est né ovest. Non c’é Grande Muraglia che tenga. Abbiamo appena finito di scannarci a proposito delle misure restrittive a cui devono essere sottoposti i cinesi nostrali, di ritorno dal loro Capodanno, che già giunge notizia del primo paziente occidentale ricoverato in uno dei nostri ospedali. E’ il paziente zero, anzi no, qualcuno dirà più tardi che lo zero non è italiano ma tedesco. Cambia poco. E’ il segnale che il virus, l’arma segreta di Mago Merlino, è qui tra noi.
(to be continued….purtroppo)
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