Sono nato a Wuhan, in un posto che si chiama laboratorio cinese ad alta sicurezza BSL4. Talmente sicuro che poco dopo la mia nascita ero già fuori dall’incubatrice, e me ne andavo a giro per il mondo. E’ un posto abitato da gente strana, a cominciare dall’aspetto, con quegli occhi che sembra che ti prendano sempre in giro, e probabilmente è quello che fanno. Gente che parla una lingua strana, e fa cose ancora più strane.
Non che a giro per il mondo abbia poi trovato gente tanto più vispa. La razza umana è incredibile, poi dicono che siamo noi i parassiti. La mia razza, i virus, noi facciamo soltanto quello che ci serve per sopravvivere e riprodurci. Gli umani sono l’unica specie che usa il progresso e l’evoluzione non per prosperare ma per autodistruggersi. Salvo poi dare la colpa a noi, o a quelli come noi.
Insomma, sono nato in un posto in cui la gente quando parla non si capisce nemmeno per se stessa, è tutto un inchinarsi, un sorridere e fare versi strani. Andando avanti, ho capito da altri che masticano l’idioma locale che dovrei appartenere a quella specie virale che si chiama virus a corona, o coronavirus. Dice che al microscopio sono anche bello a vedersi, eppure mi odiano tutti. Tutti scappano da me (o vorrebbero farlo, io però corro più veloce di loro), tutti si coprono e si schermiscono al mio passaggio (o pensano di farlo, con quei cencini da verniciatore o da cinesi in gita che si mettono sulla bocca più o meno di sghimbescio).
Chi siano mio padre o mia madre, se esistono, non ho idea. E del resto a questo punto con tutto quello che è successo negherebbero loro stessi di esserlo, come Pietro di conoscere Cristo. Dicono che la colpa da voi è sempre morta fanciulla, o zitella. Diciamo anche che da quanto ho capito girellando e ascoltando i discorsi dei miei organismi ospiti, quelli come me sono il risultato di cose per le quali la colpa non la vuole nessuno. In Cina se ti beccano ti fucilano, nel resto del mondo si limitano a fare come se tu non esista, mettendo la testa sotto terra come lo struzzo. E lasciando i cinesi a preparare la prossima versione.
Mi chiamano Covid19, con l’inglese me la cavo meglio, lo parlano quasi tutti i miei infettati ormai. Ho capito che CO sta per corona, VI per virus, D per disease, malattia. Mentre mi mettevano il nome all’OMS (il governo umano mondiale delle malattie) un cretino che fa il presidente del consiglio in Italia disse che era tutto sotto controllo. Per me in effetti lo era, in Italia ci sono arrivato nel giro di poche settimane, e senza nemmeno passare da Lampedusa come gli altri migranti. Bastava respirare, come si suol dire.
19 sta per l’anno, perché l’uomo come al solito si è svegliato tardi, era già l’anno 2020, ma io sono a giro almeno da ottobre, secondo il calendario di Frate Indovino. Questa cifra, il 19, mi dà un po’ fastidio, a dire il vero. Venendo da un laboratorio, mi fa pensare che qualcuno stia già lavorando alla versione 20, che sarà molto più avanzata di me e magari anche più elegante a vedersi, grazie ad un restyling che terrà conto di tutte le esperienze fatte dai consumatori.
Ma insomma, il nome non si sceglie. Mi devo tenere questo Covid19, Covy per gli amici, e pare che ne abbia più di quanti era lecito aspettarsi. Tutti coloro che vogliono rimanere al governo senza passare da libere elezioni, come dice che funziona tra la razza umana da un secolo a questa parte. Dice che ora tra gli uomini invece si comanda per decreto, e tanti son contenti così.
In Italia, dove sono entrato con la facilità di un rigore calciato a porta vuota (termine che ho capito venire da un gioco che gli umani non hanno smesso di giocare e guardare del tutto neanche durante il periodo peggiore del nostro incontro-scontro), per esempio c’è uno che riunisce un comitato di 450 persone, paga un monte di consulenze e poi fa come gli pare. Un giorno chiude le scuole, un giorno chiude le discoteche, un giorno riapre il campionato di calcio, un giorno dice che riapre le scuole, ma dopo aver messo le rotelle ai banchi. A tutto pensa la Fata Azzolina, che sta studiando il modo di fare tutto nei Bed & Breakfast, dalle lezioni alle vacanze scolastiche.
Dicono che sono il virus (significa veleno, in una lingua che ormai non parla più nessuno, tranne quando per esempio dottori e scienziati non vogliono farsi capire dagli altri) più letale della storia dell’umanità. Sarà, ma a me sembra di non aver fatto nulla di particolare. Dice che sono pericoloso perché mi annido nelle vie respiratorie e nell’apparato gastrointestinale. Lo fanno tutti i miei simili, ma io sarei un assassino perché coagulo. Faccio seccare il sangue. Gli altri virus che fanno, giardinaggio?
Avendo imparato a leggere, per impegnare il tempo durante tutta la primavera in cui a giro per la strada non c’era nessuno e stavano tutti in casa a prepararsi per l’Apocalisse (significa fine del mondo, è curioso che in nessuna delle religioni praticate dalla razza umana è previsto che sarà scatenata da organismi come noi, ma sempre e soltanto dalle guerre combattute dall’uomo contro se stesso), sono andato a leggermi un po’ di dati.
Il mio banalissimo, ordinario collega che si è occupato di diffondere l’influenza stagionale l’anno scorso, mentre io me ne stavo bello tranquillo in provetta, ha fatto molti più danni, molte più vittime di me. Sono mesi che non muore più nessuno incontrandomi e infettandosi di me, ma non passa giorno che il bollettino della protezione civile (che ha sostituito quello della neve e quello dei naviganti) non diffonda cifre che al mio confronto fanno impallidire Hitler, Stalin e Pol Pot. Se vengo trovato su un tampone, parte un concerto di lamenti, grida strazianti che nemmeno sulla sponda dello Stige le anime dannate a bestemmiare Iddio e lor parenti in attesa di Caronte.
Il fatto è che la razza umana non impara mai dai propri sbagli, ma in compenso li ripete regolarmente e pervicacemente. Noi siamo microorganismi versatili e a nostro modo intelligenti, dobbiamo esserlo per sopravvivere e tramandarci nei secoli dei secoli. L’intelligenza dell’uomo dov’è, invece? Non aver capito che con noi soccombe soltanto chi ha l’organismo già minato da altre patologie, a questo punto è grave. Com’è bastato a sconfiggere la peste (categoria batterio, non confondiamo per piacere) che la gente si nutrisse meglio e soprattutto si lavasse (smettendo di considerare l’acqua uno strumento del diavolo, come qualcuno tenderebbe a fare ancora), così basta osservare alcune elementari precauzioni e aspettare il normale corso delle cose, delle stagioni, delle virosi e delle loro profilassi naturali e sanitarie.
Vi piace questo bel discorso? Ho imparato bene? O qualcuno preferisce piuttosto ancora credere che dopo tre-quattro mesi da qualche altro laboratorio dal nome impronunciabile (pare dalla Russia, così, tanto per gradire, più facile capirli che fidarsene, poi fate voi….) uscirà un potente vaccino in grado di debellarmi? Come se nessuno sapesse che il vaccino che vi inoculano quest’anno per l’influenza è stato messo a punto non più tardi di tre anni fa, e quando vi arriva in corpo il virus che dovrebbe combattere non è più nemmeno lontano parente di quello di partenza!
A settembre, ottobre, vi spareranno con l’ago in vena una sostanza che per me è acqua fresca. Una bibita refrigerante. Nel frattempo, qualcuno di voi avrà fatto soldi, mentre io sarò più vicino ad aver fatto il mio tempo, per legge di natura. A quelli di voi che ancora capiscono qualcosa, basti sapere che se proprio non volete avere a che fare con me è sufficiente non sputacchiarsi sul viso quando si parla e lavarsi le mani il più possibile. I vostri anziani lo facevano, per educazione e per sopravvivenza. Spagnola e Asiatica le avevano combattute anche così, e vi assicuro che nel nostro ambiente sappiamo tutti che erano nostri progenitori ben più cattivi di quanto possiamo esserlo adesso noi, ragazzi del ventunesimo secolo e della guerra viro-batteriologica che pretendete di combattere l’uno contro l’altro, pur avendo sempre meno gente che va a scuola, studia scienze e ci capisce qualcosa. Ma voi avete la Fata Azzolina….
Ecco quanto. C’ero durante questa estate in cui ve la siete spassata. C’ero a primavera mentre stavate tutti chiusi in casa, anzi ero nelle vostre case, con voi. Ci sarò anche l’anno prossimo, e quello dopo. Poi dovrò andarmene, in letargo, nello spazio, o dove vanno i virus quando hanno finito il loro ciclo naturale. Magari aspetterò di essere risvegliato fra un milione di anni, per infettare o magari convivere con chi avrà ereditato da voi il vostro pianeta. Difficile che si tratterà di una specie che faccia più casini di voialtri.
Ci sarò ancora, nel frattempo, mentre vi domanderete se il vostro vicino che vi guarda con quell’espressione strana, sospettosa, malevola, è un asintomatico o un posseduto dagli ultracorpi. Se un raffreddore vi seppellirà, visto che la risata non c’è riuscita.
Non sapete più ridere, né di voi stessi né delle vostre vicissitudini, così come non sapete più neanche avere paura, quando è il caso. E allora, nel salutarvi e augurare a voi e a me buon comune proseguimento, vi lascio con questa allegra filastrocca che ho sentito in giro tempo fa. Ed alla quale mi pare non ci sia bisogno di aggiungere altro.
Locco (*) down
Non c’è cosa più cretina
che indossar la mascherina.
Non c’è più grande scemenza
dello stato di emergenza.
Questi fanno comunella
al piacer di Mattarella.
Se governa ancora Conte
si finisce sotto un ponte.
Se dovesse vincer Giani
qui davver non c’è domani.
Quant’è ver che è notte o giorno
chiuso in casa non ci torno.
Come dice anche Cassese
sta boiata dura un mese.
Date retta voi a Burioni
patrimonio dei minchioni.
Se volete star distanti
vi saluto a tutti quanti.
(*) locco, termine toscano assimilabile per significato allo spagnolo loco
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