(Oggi) Il piazzale antistante al supermercato sembra la Corte dei Miracoli come la descrive Victor Hugo. Ci manca il mangiatore di fuoco, la prostituta con il vaiolo e lo storpio che si trascina sul carretto a ruote al posto delle gambe. O perlomeno questa è l’impressione che mi dà.
Giuste o sbagliate che siano, noi italiani le file non le sappiamo proprio fare. Un pezzo qua, un capannello là, gente che non si sa a quale ramo del Lago di Como appartiene, gente che fuma svaccata in un angolo, gente che non si sa se è lì per aspettare il suo turno o perché é lì che la sua energia vitale si è esaurita, la benzina gli è finita. Malgrado la mascherina più o meno approssimativamente legata sulla faccia, é già spenta, il virus ha vinto, l’ha mangiata da dentro e adesso giace lì.
Chiedo a un paio di ceffi, a due bravados pigramente addossati a macchine altrui parcheggiate e dallo sguardo abbastanza strafottente, dove comincia la fila. Mi viene risposto in un idioma che ha poco di indoeuropeo, e con maniere che hanno poco a che fare con quelle che mi ricordavo si insegnavano in questo paese, prima delle varie riforme scolastiche. Alla seconda volta che chiedo il replay, possibilmente in italiano anche approssimativo (non tutti hanno risciacquato i panni in Arno come Manzoni, non sono mai stato così esigente), le risposte mi irritano al punto che se facessi un terzo tentativo sarei il primo a venire alle mani.
La plebe di Victor Hugo bivacca ovunque, la coda modello Lourdes comincia due strade più in là, devo farmene una ragione. Il capo del governo ha detto che, per effetto della sua ordinanza, i supermercati saranno sempre pieni. Il problema sarà entrarci. Questi lanzichenecchi e questi resti dell’Orda d’Oro frammisti a connazionali con cui mi sembra di avere ogni giorno sempre meno a che spartire sono capaci a cingere d’assedio il magazzino per giorni e giorni. E tra l’altro non è detto che sia tutta colpa loro.
Eccolo, infatti, puntuale l’omino che esce dal supermercato. In ogni storia in cui si esercita un minimo di potere, l’omino c’é sempre. Incravattato e infagottato nel completo blu che pare essere la divisa dei capi e capetti della locale filiale della lettera allungata, si piazza a gambe larghe (di scarsa apertura di compasso, il tizio è alto un ca…. e un barattolo, come si diceva quando andavo a scuola) e apostrofa la folla come un bravaccio o un armigero di manzoniana memoria.
«Ue, gente….vediamo di presentarsi con idee chiare e sollecite, altrimenti qui non ne usciamo più!». L’accento è indefinibile, il tono vorrebbe essere da managerotto milanese. Ue ciccio… (presente Aldo, Giovanni e Giacomo? molto meno simpatico).
Mi fa incazzare subito. Rispondo di getto un «Scusi, ma che diavolo sta dicendo?», dove il diavolo sostituisce un termine equipollente e più colloquiale. E’ troppo ormai che sto gonfiando, é il momento dello sfiato.
Il tizio mi appare sempre più una caricatura del caporale di Totò. Un piccolo Himmler di quelli che crescono come i funghi dove è stato seminato il potere. Un Caprottino, o almeno uno che vorrebbe diventarlo, magari arrampicandosi su quante più persone gli riesce.
Mi replica un «Che problema c’é?». Non mi dice ciccio, ma glielo leggo in bilico sulle labbra. In altre circostanze gli varrebbe un vaffa alla volèe, stile Federer.
Replico più urbanamente che posso, con sforzo immane: «Il problema è il suo discorso!»
«Lei che discorso farebbe?», mi rimanda la palla sfrontato, sentendosi forte perché due o tre italiani medi gli fanno cenno di essere con lui, pronti ad accorrere in soccorso dell’autorità.
Una carampana dai capelli rossi mi indirizza uno sdegnato «Eh, la gente a volte….». Le rimando al volo un «Signora, tocca a lei, la parrucchiera ha aperto, si sbrighi!».
Al cazzoncello stile sardina che se la ridacchia dietro di lei sparo un «Hai te qualche problema, visto che ridi?» Si mette a seguire improvvisamente il moto delle rondini in cielo. Non ci sono, e semmai non fanno ancora primavera, ma lui le vede, e a regola lo interessano più della mia espressione. Ho le scatole piene, sto cercando una rissa, è vero, e non la trovo. Devo avere qualcosa negli occhi che sconsiglia chiunque di accettarla, o anche soltanto di rispondermi.
A Himmler replico un secco: «Io ho le idee chiarissime ma con questo sistema entrerò costì dentro stanotte alle tre, genio!»
Caprottino capisce che è meglio ritirarsi nel forte e tagliare corto. Tanto ha ragione lui. La ragione dei prepotenti e degli incapaci a cui in questo paese a tutti i livelli si dà di preferenza ad organizzare qualcosa. Il più grande degli incapaci sta in cima, a Roma, a Palazzo Chigi, e intenderebbe tenere il paese in queste condizioni, con una grande distribuzione alimentare che funziona come un pizzicagnolo d’altri tempi. Dentro a tre per volta. Di questo passo gli italiani con la prossima ordinanza verranno dichiarati già mangiati.
Di questo passo, il prossimo step è la tessera annonaria, come aveva mio nonno. Ma come siamo arrivati a questo punto? Come diavolo siamo arrivati a questo punto?
(Quindici giorni fa, sembra una vita…..) Dove eravamo rimasti? Ah, sì. Alla zona rossa ed alle ordinanze che cominciano a stringere. All’inizio più che altro i cordoni della borsa. All’opposizione che chiede da subito la previsione di risorse economiche per supportare coloro che (moltissimi) cominciano a risentire della recessione economica, Giuseppe Conte replica con i 3 miliardi del Patto di Stabilità. Praticamente il cip a poker. L’Europa in questo momento non ci chiede nulla, soltanto di starle lontana, perché in questa fase (siamo alla fine di febbraio) pare che il coronavirus riguardi soltanto noi. Loro stanno tutti bene, e ti fanno ciao Italia con la manina. Siamo noi che dobbiamo chiedere qualcosa all’Europa. Maastricht e Schengen è il caso di dimenticarci per il momento perfino dove si trovano sulla carta geografica.
La prima ordinanza di Conte, dicevamo, è stata poco più che un galateo per signorine. Ricordatevi di lavarvi le mani, e se proprio dovete starnutire non lo fate nel viso a chi vi sta accanto. Il metro di distanza, francamente, in tante situazioni sembra come voler fare il gioco della bandierina. Ma comunque la paura e le notizie dalla zona rossa che la alimentano cominciano a fare 90. La gente un po’ storce la bocca, un po’ si lascia prendere la mano dagli ultimi sussulti di movida, il carnevale prima dell’imminente quaresima, un po’ comincia a dar retta a quel galateo e soprattutto a qualcuno dei medici che più seriamente illustrano i rischi connessi all’epidemia.
Il fatto è che i contagi aumentano, le strutture sanitarie lombardo-veneto-emiliane sono già sotto stress, si contano i primi morti. Quando l’apparato di governo ed i mass media cominciano a diffondere non più messaggi che minimizzano ma messaggi che in maniera neanche tanto subliminale mettono l’accento sulla più ancestrale delle paure, quella della peste nera (una nota trasmissione radiofonica della RAI passerà una intera settimana a rievocare il 1348 di boccaccesca ed il 1628 di manzoniana memoria, tanto per gradire), nessuno scherza più, nemmeno Conte e la sua maggioranza, impegnata fino a quel momento a farsi fotografare durante aperitivi né più e né meno come i giovanotti lungo i navigli milanesi o nelle piazzette romane.
Scatta qualcosa nel rapporto tra istituzioni e cittadino. Fino a quel momento, ed è un fatto senza precedenti perché di solito non lo tieni zitto nemmeno con il mal di gola, Sergio Mattarella si è tenuto in disparte. Il sistema non ha realizzato ancora il pericolo, o presunto tale, ed il custode del sistema non ha dedicato una parola – tra le tante che proferisce quotidianamente – a quella che si sta delineando sempre più come una emergenza. Per di più affrontata nell’isolamento totale o quasi dal resto d’Europa.
Una bella sera il Presidente annuncia un suo discorso a reti unificate. Al di là di quello che dice e della sua espressione finalmente preoccupata, è come un segnale. Da quel punto in poi il governo si muove con un altro piglio. Conte, che di lì a poco si paragonerà a Winston Churchill promettendo lacrime e sangue, prende in mano la situazione quasi come un governatore militare. Sì, ma di quelli di Caporetto. Nelle sue ordinanze successive si capisce solo che la zona rossa si allarga. Quanto agli altri provvedimenti, siamo allo stesso livello di chiarezza delle gride manzoniane.
Per chi predilige corsi e ricorsi storici più recenti, siamo appunto a Caporetto. E non è tutto. Si sta preparando il passo successivo. Quello dell’8 settembre.
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