La mia generazione è l’ultima che ha letto i Promessi Sposi. Credo di essere uno degli ultimi che li ha letti davvero, non per obbligo scolastico. Ricordo che alla fine della scuola l’estate successiva presi in mano il libro intenzionato a leggermelo tutto senza altro stimolo che quello di gustarmelo, avendone intravisto il fascino durante l’anno appena conclusosi.
Feci bene. Letteratura a parte, nessuno come Alessandro Manzoni tra i nostri autori è capace di dipingere un periodo storico complesso come quello della Milano del Seicento. Ma soprattutto di ritrarre l’animo umano secondo le sue costanti che sfuggono ad ogni contingenza, mantenendosi – che ci piaccia o no – universali.
Lettura istruttiva, dunque, che adesso mi torna estremamente utile. Mano a mano che escono da Palazzo Chigi le prime ordinanze di Giuseppe Conte, il pensiero mi corre inevitabilmente alle gride del gobiernador spagnolo della piazza di Milano. Quella congerie di ordini, raccomandazioni, prescrizioni buttate lì alla rinfusa in un linguaggio maccheronico frutto della commistione tra il castigliano dei dominatori ed il dialetto lumbard della popolazione. E dire che adesso Conte avrebbe solo da parlare in italiano, una lingua che quando si vuole – quasi mai, da parte della nostra politica – risulta precisissima e chiarissima.
El gobiernador messo lì da las cinco estrellas si è mosso tardi, e in modo tutt’altro che chiaro e razionale. Per un mese ha badato a dire che è tutto sotto controllo, a fare il cascamorto con le giornaliste e con le donne politiche europee. Ha lasciato campo a chi invitava ad abbracciare i cinesi senza sapere da quale provincia della Cina venissero e a depauperare le nostre scorte spedendo in Cina presidi sanitari (le mascherine FFP2 e FFP3, in primo luogo) che di lì a poco si poteva pensare che tornassero utili qui.
Poi ha cominciato con le sue gride. Emergenza sanitaria per sei mesi, zona rossa nel quadrilatero di Codogno e dintorni, sì, ma cosa vuol dire? A parte il galateo del metro di distanza che sembra più una raccomandazione da bon ton che una prescrizione, che cosa bisogna fare? E a che cosa può servire, esattamente?
Italiano o spagnolo che sia, il governo da queste parti – è un dato storico incontrovertibile – fa inevitabilmente casino. Forse perché deve badare a troppi interessi, pronunciabili o impronunciabili che siano (si perde un mese di tempo per esempio a discutere con il CONI a proposito dell’opportunità di continuare campionati e competizioni sportive, nel frattempo a Firenze per una sola partita, Fiorentina – Milan, si radunano in un colpo solo allo stadio 40.000 persone). Oppure perché deve ingaggiare, con il popolo che governa, l’antica partita a chi è più furbo.
Ancora di quella partita siamo alle prime battute. Conte dice e non dice, tu stai a casa, tu stai chiuso, tu invece no, tu fai come ti pare o come ti senti, segue circolare esplicativa. Nel frattempo alcuni buontemponi hanno la bella pensata di andare a farsi la zona rossa non dove è stato individuato il focolaio del coronavirus (battezzato nel frattempo dall’OMS Covid19 ma non ancora pandemia, ben svegliati) ma alla casa al mare o in montagna. Come i signorotti spagnoli al tempo dei Promessi Sposi, o i nobilotti fiorentini al tempo del Boccaccio. La peste ringrazia sentitamente.
A Milano, e non solo, impazzano intanto le movide e gli apericena. E non sai se è più cretino chi ci va, con atteggiamento oltretutto di sberleffo, o chi non glielo impedisce. Il sindaco Sala parla di Milano che deve riaprire i battenti, perché così non si può vedere. Peccato che, come qualche virologo comincia a dire a voce sempre più alta e stentorea per farsi ascoltare nella ridda di altre voci, siamo solo all’inizio. C’é da vedere ben altro.
Nelle gride di Conte si parla di zone dove è permesso tutto, compreso avventarsi sui supermercati secondo italico costume non appena si paventa la minima crisi politica e/o economica all’orizzonte, e zone dove non è permesso nulla, ma dove le maglie sono talmente lasche che qualche lodigiano viene rintracciato addirittura a Forte dei marmi. Quando già lamenta un po’ di malessere, e questa febbriciattola che non va avanti né indietro…..
Nella prima settimana di marzo tra la gente si diffonde la paura incontrollata. E qui si ritorna ai Promessi Sposi. Manzoni descrive da par suo la rivolta del popolo affamato dalla tassa sul macinato e su cui incombe già il terrore dell’incipiente epidemia di peste. Esseri umani che in pochi attimi perdono ogni parvenza di civiltà, e si trasformano in belve pronte a saltare alla gola di altre belve, al minimo segno di comportamento difforme da quella che dovrebbe essere la morale comune, instillata non da un codice etico ma dalla superstizione e dall’ignoranza.
Sono passati quasi quattrocento anni, ma si torna sempre lì. Adelante, Pedro, ma….con juicio! Giovani a cui è difficile fare entrare in testa che non è il momento degli aperitivi, anziani a cui è impossibile fare entrare in testa che se il cerchio sanitario si stringe è soprattutto per il bene loro. Nel mezzo c’é la mezza età, quella che dovrebbe avere nervi saldi e testa sulle spalle e invece, come la plebe milanese del Manzoni, perde tutto in un attimo e cade in un abisso di terrore senza possibilità di mitigazione, di ragionevolezza.
E’ la sindrome dell’8 settembre quella che si apre di fronte agli italiani, che da una settimana all’altra apprendono di essere il terzo paese per entità di infezione al mondo, dopo Cina e Iran. La vecchia partita ricomincia. Il governo fa il furbo, dicendo le cose al popolo a spizzichi e bocconi e nei momenti che esso reputa più opportuni (per non diffondere il panico, cosa in cui riesce invece puntualmente e benissimo), ma che in realtà non lo sono affatto.
Il popolo fa il furbo a sua volta. Se dicono così, significa che arriva colà. Se dicono di stare in casa, è il momento di scappare, o di precipitarsi a far man bassa ai supermercati. Se dicono che non c’é pericolo di mancanza di scorte, significa che domattina siamo alla fame.
Gli anziani queste cose dovrebbero averle già viste, tanto tempo fa, ed essere perciò più saggi, oltre che più esposti al pericolo di quella che qualcuno ancora definisce un’influenza più forte delle altre (in questa prima fase salta agli occhi dai dati OMS che nelle annate precedenti ne sono morti peraltro decine di migliaia più di adesso, ed erano influenze ritenute normali, a cui i giornali non hanno dedicato nemmeno un trafiletto). Macché, sono proprio loro ad andare a fare l’autoscontro con i carrelli dei supermercati, a prendere d’assalto come i pirati dei Caraibi gli scaffali della carta igienica e della farina. A casa non ci vuole stare nessuno, e del resto – va detto – siamo ai primi di marzo e ancora non c’é nessuno che ti abbia spiegato chiaramente ed in modo affidabile perché ci devi rimanere.
L’informazione, buona quella. E’ affidata soprattutto al web, con tutto ciò che ne segue. Complottismo e ideologia la fanno ancora da padrone, e le stesse informative del mondo sanitario partono con l’handicap della scarsa credibilità, dopo intere stagioni trascorse a spacciare il morbillo come la pandemia che avrebbe posto fine alla razza umana. Dopo l’H1N1 che ci è costato una fortuna per acquistare vaccini inutili, dopo la meningite che non si sa bene che fine abbia fatto, semplicemente ad un certo punto si é smesso di parlarne.
Il governo non si fida del popolo, e quando deve emettere una ordinanza lo fa, secondo costume, all’ora che tutti sono a casa, davanti alla pastasciutta serale. E la loro capacità di risposta è ridotta all’abilità nell’impugnare una forchetta.
Il popolo non si fida del governo. E’ dal ‘43 che quando annuncia una cosa, o è già successa, o Dio solo sa quando e come succederà realmente. Dopo cena si comincia a preparare i bagagli, da’ retta…..
Ai primi di marzo si sa soltanto per certo che tra Lodi e Codogno la gente si ammala e in certi casi muore, anche se i numeri non appaiono ancora inquietanti o addirittura drammatici. Si intuisce a pelle che il contagio potrebbe non essere stato contenuto, e non per colpa dei cinesi di ritorno dalla Cina, ma per colpa degli italiani a giro per l’Italia. I governatori del Lombardo – Triveneto intanto, avendo sulle spalle il peso dell’80% della crisi sanitaria, tornano alla carica con il governo perché stringa tutte le maglie. Il #chiuderetutto di Meloni e Salvini comincia ad avere il suo appeal, sinistro, brutale e forse irrealistico quanto si vuole, ma efficace. A sinistra, in compenso, nessuno li sbeffeggia più. Nessuno ride più o si fa fotografare con cinesi e aperitivi. La sinistra, del resto, al pari di buona parte della classe politica, si sta eclissando alla chetichella, come Vittorio Emanuele III e la sua corte tra l’armistizio di Cassibile e la fuga a Brindisi. La prima zona deserta d’Italia non è a Codogno, né a Casalpusterlengo. E’ a Piazza Montecitorio e a Palazzo Madama. Prima dello #staiacasa c’é il #tuttiacasa, ed è ancora una volta lo stato maggiore a dare il buon esempio.
Finché una sera un Conte che, probabilmente senza dispiacersene troppo, si trova come il fatidico uomo solo al comando, prende la decisione chiave di tutta la vicenda. Quella che fa rientrare tutto nel solito paradigma italiano di gestione delle crisi.
Lombardia e metà Veneto chiusi. Zona rossa estesa a quasi tutta la parte più produttiva e popolosa del paese. Solo che il decreto, secondo le migliori tradizioni giudiziarie e politiche, esce in anticipo sulla sua promulgazione. Alla stazione di Milano si registrano scene da film, con tutti i fuori sede che si avventano sugli ultimi treni diretti al centro-sud per far ritorno a casa. E’ in quel momento forse che si gioca il destino dell’Italia al tempo del coronavirus.
Quando l’ordinanza di Conte che blinda il Lombardo – Veneto viene ufficializzata, ormai è tardi. Il piccolo malefico bacillo sta già viaggiando per ogni dove sulle carrozze di Trenitalia.
Tra governo e popolo italiano, come nel 1348, come nel 1628, come nel 1917, come nel 1943, ancora una volta ha vinto il casino. La natura, la nostra natura, ha reclamato i suoi diritti.
Lascia un commento