Diciamoci la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità. Roberto Fico presidente della Camera dei Deputati non è il massimo che ti aspetti dalla vita. Con quel suo faccione da animatore di Centro Sociale – in altri tempi si sarebbe detto, da extraparlamentare – il più Fico dei Cinque Stelle te lo fai andar giù soltanto se pensi a chi c’era prima su quello scranno. E ti consoli: peggio della Boldrini non può fare, e poi occupandosi di ordine del giorno dei lavori parlamentari e di ordine in Aula almeno non vota più. Dev’essere stato questo a far cadere su di lui la scelta di Di Maio & c. Del resto, dopo cinque anni al CdA della RAI, parlano i fatti per lui. O l’assenza di essi. L’azienda televisiva di Stato non sta peggio né meglio di prima del Fico. Sta. E la Camera starà altrettanto, dopo averne viste di cotte e di crude.
Di Maria Elisabetta Alberti Casellati, eletta come sua omologa al Senato come controparte dell’accordo M5S – Lega, poco da dire per adesso. Se non che è la prima donna ad essere eletta chairman (anzi, chairwoman, e non è un omaggio postumo alla Boldrini) di Palazzo Madama. E che nell’unica uscita pubblica di cui il vostro cronista si ricorda definì la sostituzione di Berlusconi con Monti da parte di Napolitano nel 2011 senza mezzi termini un colpo di stato. Difficile darle torto. Almeno la verità storica sarà grata alla sig.ra Casellati, in attesa di vederla all’opera. Anche qui, peggio di Pietro Grasso è difficile fare.
Il fatto è che i compromessi sono compromessi. Si chiamano così perché a qualcosa devi rinunciare, per parte tua. Tutto non si può avere dalla vita, e quella politica non fa eccezione. Come abbiamo fantasticato da subito dopo il voto, Cinque Stelle e Centrodestra hanno realizzato che per venire fuori dal pantano del Rosatellum e dalle insidie che li aspettano sul colle denominato Quirinale c’è un modo solo: mettersi insieme. La nomina dei presidenti dei due rami del Parlamento era il banco di prova: per vedere la reazione delle basi (a giudicare da quanto si registra sui social network, le ipotenusa non disdegnano quanto avviene sulla somma dei cateti), ma soprattutto per testare gli schieramenti, con relativi malpancisti.
Sembra andata non male. Un accordo a raggio più ampio si può fare, e i prossimi giorni saranno decisivi. Nei due schieramenti, gli opinion leaders dei salotti buoni (quasi tutti in mano alla sinistra mediatica) si affannano ad individuare Grillo e Berlusconi come riottosi al nuovo Compromesso Storico 5Stelle – Lega, e quindi garanti di fatto di un establishment che non si rassegnano a considerare finito. In realtà, il primo pare più propenso a tornare ad occuparsi di scie chimiche sul suo blog e di cose del genere. Avrà riempito a Di Maio la testa di sciocchezze, l’altra notte, ma è come uno zio anziano, ormai. Lo devi rispettare, dirgli di sì per garbo, e poi fare come ti pare.
Un po’ più sostanziale a destra il discorso Berlusconi. Il Cavaliere è comprensibilmente poco propenso a piegarsi alla legge di natura (oltre che elettorale) e lasciare il palcoscenico al più giovane (e in questo momento brillante) Matteo Salvini. Il quale ci ha saputo fare, mettendogli sul piatto la Casellati che non può rifiutare. Il Cavaliere, con un po’ di attenzioni, può essere adeguatamente soddisfatto. Alla sua età in fondo non chiede molto: solo che la Procura di Milano smetta di rompergli le scatole, e che gli sia riservato un ruolo di prestigio nel crepuscolo della sua esistenza.
In tutto questo, giova constatare che non c’è barba di santo che possa rivitalizzare il non compianto PD. Martina è un curatore fallimentare, al quale nessuna delle componenti degli schieramenti usciti vincitori dalle elezioni pare aver nessuna voglia di strizzare l’occhio.
E adesso? Sempre caro mi fu quest’ermo colle, pare dire sornione un Mattarella insolitamente silenzioso, che persegue un suo personale infinito. Lui che esterna su tutto e tutti, aspetta al varco leaders e forze politiche, per vedere se sia possibile un nuovo Mattarellum, come quello che prolungò – malgrado il voto popolare esplicito e contrario – la Prima Repubblica nella Seconda. Se Salvini, Di Maio, Meloni & c. non si dimenticano la fatica fatta per arrivare fino a qui, all’inizio della salita che porta – da trionfatori -a quest’ermo Colle benedetto, può nascere una Terza repubblica. E soprattutto, non ripetere errori e misfatti delle prime due.
Il vecchio democristiano è l’ultimo livello da superare. Dopodiché, game over. E che si cominci a governare come Dio – e soprattutto Italia – comandano.
Lascia un commento