Ci risiamo. Sono passati altri quattro anni. Dai quattro angoli della Terra le nazioni del football si preparano a far confluire nuovamente le loro squadre rappresentative verso il luogo prescelto dell’adunanza. La nuova Olimpia designata dalla FIFA, dove si deciderà chi è il più forte, chi potrà fregiarsi per i quattro anni successivi del titolo di campione del mondo. Quattro anni fa è toccato alla Francia, in casa della Russia. La prima volta ad est, un est che con il calcio ed altri passatempi e valori occidentali in passato aveva avuto rapporti spesso complicati. E che lo sono rimasti tutt’ora.
Stavolta tocca ad un luogo ancora più esotico. Quel luogo è il Qatar, che ospiterà anch’esso i Mondiali di calcio per la prima volta, ad una latitudine perdipiù finora accuratamente evitata da istituzioni che finora avevano a cuore il gioco almeno quanto il business.
Frutto della fantasia, diciamo così, di Michel Platini e di altri maggiorenti della FIFA che nel frattempo sono andati – grazie a Dio – a fare altro, il primo mondiale nella penisola araba tiene conto probabilmente di sollecitazioni a cui non si è potuto o saputo dire di no. E che creerà non pochi problemi materiali, costringendo le squadre a giocare in una stagione ed in condizioni ambientali decisamente inusuali per chi pratica o segue questo sport.
Era sembrata un’eresia far giocare Italia e Brasile la finale di USA 94 al Rose Bowl di Pasadena, nella parte più arroventata della California, ad un’ora che confaceva alle televisioni europee che anche allora pagavano bene, ma che si addiceva più ad un film western ambientato nella Desert Valley che al nobile gioco del soccer.
Ci risiamo, vero FIFA? Stavolta si deve sperare che a novembre sulle rive del Golfo Persico giocare a football non risulti un’impresa che avrebbe sgomentato perfino Lawrence d’Arabia. In ogni caso, comunque vada, i danni a Platini sarà difficile chiederglieli.
Per quanto ci riguarda, per la seconda volta le grandi correnti migratorie del pallone eviteranno accuratamente la nostra penisola. Quattro volte campioni del mondo, sempre presenti fino all’edizione 2014 tranne una volta in cui ci facemmo sorprendere dai carneadi dell’Irlanda del Nord per presunzione e sufficienza, siamo precipitati in una crisi epocale che ha fatto della Nazionale che vanta le quattro stelle sulla maglia azzurra una squadra di somari del calcio.
O perlomeno, somari a fasi alterne. I ragazzi di Mancini avevano vendicato quelli di Ventura vincendo nel frattempo lo strano europeo itinerante, il wandering championship che si è concluso post Covid a Wembley non certo come visibilmente speravano William e Kate, e tutti coloro per i quali il calcio era tornato una volta di più a casa.
Quella casa era stata ritrovata invece a Roma, ma probabilmente in un sito archeologico presto richiuso e dimenticato. Se nel 2017 c’era voluta tuttavia l’ostica Svezia (tradizionalmente nostra bestia nera) per lasciare a casa gli azzurri, stavolta i carneadi che ci hanno fatti fuori si chiamano Macedonia del Nord. Con il dovuto rispetto, gente che fino a pochi anni fa giocava con la proverbiale palla di pecora.
E così, con negli occhi il consueto fascino che riserva fin dalle origini la kermesse più importante del football ma anche stavolta e sempre di più con un velo di malinconia se non di rabbia, ci disporremo ad assistere nel prossimo inusuale mese di novembre ad un nuovo film, con i sottotitoli in khaliji (خليجي), il dialetto arabo del Golfo. Con tutti i colori del mondo, sulle maglie e sulla pelle dei giocatori. Tutti meno che il nostro azzurro.
Fino ad allora, fino alal cerimonia inaugrale che si terrà il 20 novembre prossimo allo stadio Al-Bayt di Al-Khawr, nord-est del Qatar, su questo giornale vogliamo raccontarvi la grande storia dei Mondiali di Calcio, a cadenza giornaliera. Una storia di cui siamo stati spesso protagonisti, ma di cui anche stavolta non concorreremo a scrivere l’ultimo capitolo.
Ma in fondo, cosa importa? Non si può togliere il pallone ad un bambino. E quando l’arbitro fischia l’inizio di una partita, ritorniamo tutti bambini.
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