Quarant’anni fa partiva la corsa gioiosa di Marco Tardelli. L’urlo più famoso della storia insieme a quello di Munch. Poco dopo, nelle piazze italiane partiva una festa come tutti coloro che erano nati nel dopoguerra non avevano mai visto, o anche lontanamente potuto immaginare.
Fino ad allora, la bandiera tricolore eravamo stati abituati a vederla appesa davanti agli uffici pubblici e alle scuole. Era considerata quasi un residuo monarchico e fascista, un vezzo da nostalgici. Quella notte, ce la ritrovammo in mano tutti. E ci sentimmo per la prima volta e prepotentemente un qualcosa che nessuno ci aveva mai spiegato prima che eravamo: italiani.
La voce di Nando Martellini che intonò per tre volte il ritornello campioni del mondo fu come un segnale. Di colpo scoprimmo che non solo si poteva sognare, ma che anche i sogni più sfrenati e ambiziosi si potevano avverare. Di colpo non eravamo più il paese depresso che nonostante anni di boom economico era abituato a veder altri primeggiare e a chinare la testa con invidia e rassegnazione. Di colpo diventammo un popolo.
L’Italia del 1982 usciva dagli anni di piombo, un decennio che aveva pesato sui nostri spiriti prima ancora che sulle nostre istituzioni come una cappa di nube tossica. A lungo avevamo convissuto con la sensazione di essere sull’orlo di un baratro senza ritorno, destinati come già altri popoli ad avventure dall’esito incerto, quasi sicuramente catastrofico. Terrorismo, scandali, corruzione, crisi economiche ci avevano spinto in un angolo da cui sembrava impossibile uscire.
Solo dal calcio e da altri sport erano giunti segnali di ripresa e di orgoglio. Eravamo famosi per essere un popolo che dava il meglio di sé quando aveva le spalle al muro. Mancava solo l’occasione eclatante, la consacrazione. Nel 1970 il 4-3 alla Germania Ovest, la leggenda dell’Azteca, era stato ridimensionato purtroppo da Pelé e da un Brasile a cui avevamo saputo tenere testa solo per un’ora, nella finale. Nel 1982 si poteva temere la vendetta dei tedeschi dell’ovest, anche se avevamo già messo sotto un’Argentina e un Brasile più forti di loro.
A rivedere adesso il film di quei momenti, fu un’impresa epica quanto predestinata. A battere le mani a Rossi, Tardelli e Altobelli che mettevano in ginocchio i tedeschi c’era il Presidente partigiano Sandro Pertini, l’uomo che da solo con il prestigio ed il rispetto di cui godeva stava già rialzando l’immagine del nostro paese in tutto il mondo. In quel mondo di cui diventammo campioni di football, quella notte di quaranta anni fa.
E quando il vecio Bearzot gli mise nelle mani la Coppa del Mondo e lo abbracciò, ci sentimmo tutti fortunati, e non più vergognosi, di essere italiani.
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