Diario Viola Fiorentina

Fiorentina United

Il tre e il dieci, le regole che temevamo veder di nuovo applicate alla partita della Fiorentina anche in questo quarto di Coppa Italia. E’ successo. Tre gol per tempo, ma li ha segnati stavolta la squadra viola, più uno per soprammercato quando arbitro e quarto uomo stavano ormai consultando gli allenatori per proporre di soprassedere ad un recupero che più che un recupero sarebbe stata un’agonia, almeno per gli spettatori di fede giallorossa.

7-1, la terza peggior sconfitta di sempre per la Roma, dopo un’analoga scoppola rimediata nel 2007 in Champion’s dal Manchester United ed un 7-1 recapitatole a domicilio dal Bayern Monaco nel 2014, sempre in Coppa Campioni. Per la Fiorentina, ritrovare una vittoria di così larga portata significa risalire ai tempi di Kurt Hamrin, 7-1 a quell’Atalanta che la sorte ci mette adesso di fronte, avendo i bergamaschi regolato la Juventus in modo altrettanto impressionante: 3-0 e addio triplete bianconero. Con la Roma, il meglio che ci ha passato finora il convento è stato un 4-1 del 2009, Era Prandelli, o per meglio dire: Era Della Valle, due cicli e due progetti fa.

Anche la regola del dieci si è ripresentata, imperterrita. Solo che a finire in sottonumero sono stati i giallorossi grazie a qualcosa di irriferibile che Dzeko ha detto all’arbitro Manganiello, reo secondo i romanisti di non aver sanzionato un fallo di Veretout. A quel punto la Roma era già in confusione mentale, in rottura prolungata (come si dice nelle corse di cavalli), e per quanto errata possa essere stata la decisione arbitrale (anche se ininfluente, si era già sul 4-1 per i viola) l’episodio sa tanto di alibi cercato e trovato con sollievo da una squadra che non sapeva più come stare in campo e soprattutto come fare a tornare a casa.

Troppa grazia, Fiorentina? Chissà. Vittorie così sono impegnative da commentare. Dopo tanti bicchieri pieni a metà, su quello strapieno si discute male. C’é chi dice che dovevamo fermarci sul 5-1, e non infierire come il Maramaldo che dette il colpo di grazia a Francesco Ferrucci su un avversario già a terra, sconfitto, umiliato. Già, può darsi. Ma chi glielo andava a dire a Simeone di tirare il freno a mano quando è entrato in campo al posto di Chiesa, con dieci minuti da giocare, una difesa avversaria davanti consistente come la margarina e la voglia di spaccare il mondo che ha il Cholito in questi giorni?

C’é chi dice che ieri sera ai viola è girato bene tutto, e ai giallorossi niente, imperfezioni arbitrali a parte. Vero, ma il fatto è che i problemi della Roma vengono da lontano. Due come Totti e De Rossi non c’é verso di sostituirli, quando la natura fa il suo corso e l’età li reclama fuori. E’ triste, tra l’altro, vedere il capitano romanista entrare nei minuti finali a recuperare un po’ di dignità ai lupacchiotti che una volta conduceva a sbranare l’avversario come un branco famelico e insaziabile. Daniele avrebbe ancora gli occhi della tigre, mentre si sfila la tuta e si lega le scarpette. Ma sono le zanne che non ci sono più, e poi il branco è disperso. La Roma ha problemi tecnici, e di spogliatoio. Di Francesco ha fatto il suo tempo, e si vede chiaramente. Un palo di Cristante ed un paratone di Lafont su Zaniolo potevano rimandare la crisi se avessero avuto un esito diverso. Ma a Trigoria non sono comunque giorni facili, e non miglioreranno tanto presto.

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Anche la Fiorentina viene da diversi problemi, di origine più o meno lontana. Il suo tasso tecnico si è abbassato sensibilmente rispetto a quando Prandelli contendeva il posto in Champion’s a Spalletti, o Montella a Rudi Garcia. Ma a differenza di altre volte (soprattutto di quanto accadde nello sciagurato gennaio 2016), il calciomercato di gennaio sembra aver trovato la quadra di tante difficoltà con una semplice operazione: l’acquisto di Muriel.

Il colombiano, quando prende palla sulla tre quarti, è una ira di Dio, in questo stato di forma eccellente che si spera solo che possa mantenere a lungo. Ma anche quando non riesce a devastare la difesa avversaria, la tiene impegnata quanto basta per togliere dalle spalle di Federico Chiesa il peso della squadra, o almeno del suo reparto d’attacco. Con Luis al fianco, Fede è libero di svariare dove e come vuole approfittando di spazi enormi che prima si sognava, e quando arriva al tiro lo fa con la leggerezza di chi sa che dietro di lui – se sbaglia – ci sono compagni che possono rimediare. Muriel, appunto, ma anche Veretout e Benassi, il sorprendente cannoniere di questa stagione. I cinque gol che fanno di Chiesa il capocannoniere provvisorio di questa Coppa Italia non sono un caso.

Parlando di gol, i sette di ieri sera sono uno più bello dell’altro, ma soprattutto sono emblematici del momento viola. E degli schemi che possono portare la Fiorentina più in alto di quello che sembrava il suo destino stagionale. Il primo di Chiesa Federico è un gesto tecnico alla Chiesa Enrico, alla Gilardino. Il secondo, sul filo di un fuorigioco che poi la moviola dimostra inesistente, è un suo delizioso tocco sotto al termine di una fuga sulla tre quarti su assist di un Mirallas ieri sera incontenibile per i romanisti. Nessuno scampo per Olsen, che sul finale del tempo si deve superare per evitare la tripletta del gioiellino viola. Ma prima, dopo il gol di Kolarov che accorcia le distanze, c’é la zampata di Muriel al quale Biraghi offre all’indietro un pallone troppo invitante. Il colombiano fredda difesa è portiere giallorossi, si va al riposo sul 3-1, e sembra addirittura un risultato stretto per questa Fiorentina che ha fatto di difesa e contropiede la sua arma letale, stavolta senza sbavature di nessun genere.

Sembra di assistere ad un confronto con andata e ritorno condensati in novanta minuti. Lo stesso Chiesa lo sottolinea nell’intervallo ai microfoni di Rai2. Ci si aspetta la reazione rabbiosa della Roma, che nel primo quarto d’ora arriva puntuale. Si ha la sensazione di dover assistere ad un match del tutto diverso. Va giù Chiesa su un contrasto decisamente duro, ci sono minuti di apprensione per il fantasista viola che alla fine si rialza e riprende il suo posto. Poco dopo, il miracolo di Lafont sulla testata di Zaniolo. Il fortino viola pare sottoposto ad una pressione fin troppo consistente, ma stavolta regge.

E’ il 65° quando Muriel al limite dell’area vede con la coda dell’occhio Benassi che accorre sulla destra, completamente libero. La palla che gli serve è incisa con il bisturi nella difesa giallorossa. Il capocannoniere non sbaglia, e timbra il 4-1. Game over, perfino Pioli si permette di dare finalmente in festose escandescenze. E’ il gol più bello dei sette, a nostro giudizio, non solo perché chiude il discorso qualificazione ma anche perché frutto di un pregevole schema giocato in corsa, dopo un’ora in cui i viola hanno corso come dannati.

Va giù Pellegrini in contrasto con Veretout, è la seconda volta, ci potrebbe stare il cartellino giallo, non certo il rosso che reclama la Roma, addirittura con il turpiloquio che costa a Dzeko il rientro anticipato negli spogliatoi.

A quel punto, che fai? Smetti di giocare per non infierire, o continui, per rispetto ad un avversario che non vuole certo compassione? Fu proprio un mister giallorosso, Luciano Spalletti, a chiarire anni fa che la miglior forma di rispetto per un avversario è continuare a dargliele finché se ne ha dentro. Lo sport è questo, dicono. E allora ecco Chiesa avventarsi su un pallone messogli al bacio da Benassi a centro area. Fede pare ripreso dall’infortunio, e pare avere ancora fiato e voglia come fosse il primo minuto. Controllo volante di desto e cannonata di sinistro. Addio Olsen.

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E poi? Poi c’é il Cholito, che per due volte si vede sui piedi la palla giusta, lanciato a rete nel cuore di una difesa romanista che sembra quella italiana a Caporetto. 6-1 all’80° e 7-1 all’89°. Stasera c’é gloria per tutti, per Simeone che subentrando a Muriel non lo fa rimpiangere, e per Gerson che ha rilevato Chiesa. Stasera la Fiorentina è inarrestabile, la Roma è in ginocchio. Game, set and match. In semifinale ci vanno i viola.
In serata, arriva la notizia che forse molti attendevano. A Bergamo la Juve ne ha buscate 3-0 dall’Atalanta. La semifinale 2019 sarà dunque la stessa partita della finale 1996. La squadra di Gasperini è forte, molto forte, ma ci si può giocare, e la scomparsa della Juve crea oggettivamente un vuoto enorme da riempire.
Vedremo. La Fiorentina dovrà mettere da parte tutto ciò con cui si è complicata la vita finora. Restare essenziale e micidiale come ieri sera. Con quei due davanti pare tutto più facile. Con una squadra alle loro spalle che li supporta sempre come ha contro la Roma, lo sarebbe ancora di più.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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